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il colloquio

Con questo ambientalismo non vinceremo mai. Intervista a Francesco Rutelli

Luciano Capone

“Anziché costruire il consenso a favore della decarbonizzazione, l’Europa sta creando il consenso contro. Bisogna parlare meno di imposizioni e più di buoni posti di lavoro”, dice il fondatore della Margherita

Ha scritto un libro ottimista su come affrontare la sfida enorme del cambiamento climatico e della transizione energetica, ma è pessimista su come le cose stanno andando. “Sta succedendo un fatto enorme – dice al Foglio Francesco Rutellianziché costruire il consenso per la decarbonizzazione, l’Europa sta creando il consenso contro”. Rutelli nella sua lunga vita pubblica è stato un attivista per l’ambiente, il primo sindaco verde in Italia che riempiva Roma di autobus elettrici più di qualunque città al mondo, ministro della Cultura che ha realizzato il Codice del paesaggio. Ora al centro del suo saggio, “Il secolo verde” (Solferino), che parla dell’urgenza della transizione ecologica, c’è la riflessione sulle modalità adottate che si stanno rivelando impopolari. E senza consenso non ci può essere alcuna transizione. “L’Europa si sta intrappolando da sola sul tema climatico e sulla transizione, perché ha dato un’impostazione prescrittiva e iper regolativa che trasmette al popolo messaggi negativi”.

 

L’alfiere di questo approccio ortopedico è il commissario Timmermans. “Si è scelto di adottare una raffica di prescrizioni legate agli obiettivi globali per la decarbonizzazione per essere i primi della classe. La Commissione europea dice che vogliamo diventare una superpotenza green mondiale, ma non sarà così”. Anzi, il rischio concreto è che accada il contrario. Rutelli è convinto che ormai l’Europa si sia avviata lungo un sentiero politico già tracciato: “È pacifico che all’uscita delle elezioni europee ci sarà un cambio di maggioranza, che avverrà proprio attraverso la denuncia della macchinosità e delle conseguenze critiche per le persone comuni che scaturiscono dagli obiettivi della Commissione europea”.

 

Ci sono dei segnali politici in vari paesi europei che sono già evidenti: “Ne segnalo tre – dice Rutelli – il successo del Partito degli allevatori in Olanda, nato a partire dall’opposizione alle norme per limitare le emissioni del bestiame. Poi in Germania, dove pure c’è molta attenzione all’ambiente, salgono le proteste contro l’eliminazione delle caldaie a gas a favore delle pompe di calore, cosa che crea contraccolpi nei ceti medio-bassi per le ristrutturazioni non programmate. Infine in Francia l’estensione delle Zfe, le zone a traffico limitato nelle aree metropolitane stanno facendo ripartire una dinamica simile ai gilet gialli”.

 

Qualcosa di analogo sta accadendo in Italia, a Roma, con la contestata “fascia verde” che da novembre 2023 dovrebbe proibire la circolazione in una zona vastissima della città alle auto diesel euro 4. Così i ricchi vanno in macchina e i poveri a piedi, visto lo stato pietoso del trasporto pubblico. “Se non si usano solo imposizioni ma si danno le alternative, le persone sono ben disposte a cambiare. A Roma facemmo tantissime pedonalizzazioni, mettendo in esercizio 300 km di ferrovie nella città metropolitana. Abbiamo retto all’urto delle resistenze e ora nessuno vuole certo riportare un parcheggio a piazza del Popolo. Ma servono dei contrappesi e delle spiegazioni”. Invece molti dei provvedimenti, che riguardano cose come l’auto o la casa, vengono vissuti come imposizioni e producono reazioni di rigetto. “È un paradosso, perché l’80% della popolazione è consapevole che l’emergenza climatica non è un capriccio o una narrativa politica, ma un problema reale. È un disastro che tutti percepiscono, chiunque ha visto passare la Romagna dai terreni senz’acqua alla catastrofe degli allagamenti in pochi giorni. Ma poi la gente si tira indietro, perché pensa che si tratti di problemi molto più grandi di noi”.

 

Anche l’eccessivo utilizzo di una narrazione apocalittica non aiuta, perché induce a un senso di fatalismo e impotenza. “La predicazione colpevolizzante non funziona, perché se all’atto pratico significa che la tua casa varrà di meno e devi buttare via l’auto, la persona comune in cuor suo dice: ‘Sai che c’è? Tanto in Cina e Indonesia costruiscono centrali a carbone, noi facciamo solo l’1% delle emissioni, voto per chi mi allunga il brodo, per chi rimanda la transizione'”. E allora come si fa? “L’opinione va guidata, si forma in base a strategie e alternative. Il compito della politica è questo. La narrativa colpevolizzante sul mondo che va a rotoli si traduce in una raffica di prescrizioni anziché policy e strategie affascinati e concrete e in grado di mobilitare le persone per i benefici per la loro vita”.

 

In maniera sintetica Rutelli ripete questo concetto, quasi come un mantra, dicendo che la transizione green serve a “creare buoni posti di lavoro”. Se la politica vuole creare consenso deve dare un messaggio positivo. “Il governatore dello stato di Washington, negli Stati uniti, dice: ‘Non posso spostare un masso se non dico che crea posti di lavoro’. E questa è una cultura che ci manca. Per fare una transizione complicatissima come questa non serve una generica predicazione green, l’unico modo per avere consenso è quantificare, indicare quali sono i posti di lavoro che mancano, quali le carriere da creare e la formazione da mettere in pista. E questo per fare presto, perché sul clima si è perso fin troppo tempo”.

 

È come se Rutelli, per utilizzare le categorie di Hirschman, suggerisse di usare la leva degli interessi anziché quella delle passioni. Ma il problema principale, dice Rutelli, della strada che abbiamo imboccato è che “la competizione strategica tra Cina e Stati Uniti sta mettendo in ginocchio l’Europa, che ha legittimato e organizzato il trasferimento di produzioni in Asia. Così oggi in Cina si produce quasi l’80% delle batterie, si vende quasi il 60% di veicoli elettrici, si producono più dell’80% dei pannelli solari e viene raffinato l’80% di minerali critici e terre rare”. Gli Stati Uniti si stanno attrezzando: “Hanno fatto tre leggi: infrastrutture, chip e l’Ira che da solo vale 370 miliardi di dollari e ne mobilita ancora di più per attrarre imprese tech e green e creare buoni posti di lavoro”. E l’Europa? “Si trova con un una politica ideologica, il cui alfiere è il Commissario per il clima Timmermans, che non mostra ai cittadini quali sono i nuovi buoni posti di lavoro ma indica solo le nuove prescrizioni. Se alle persone si dà un messaggio del tipo ‘Ricordati che deve morire!’ – conclude Rutelli – alla fine la questione ambientale fa vincere la destra anziché rivitalizzare la sinistra”.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali