Lo spauracchio del Giorgetti furioso induce Meloni alla resa su Enel

Valerio Valentini

La rappresaglia sul Pnrr e sui balneari. I timori di Fitto di fronte a un Mef ostile. Le truppe salviniane già in fermento ("L'uomo solo al comando non va bene, neppure se è donna"). Dov'è nato il ripensamento della premier sulle nomine. E Salvini se la ride: ottiene più di quel che sperava, e senza parlare

Che sia stato tutto lì, il senso del ripensamento, chissà. Di certo, il timore di inimicarsi il più conciliante tra i ministri senza Fiamma, e di certo il più strategico, ha influito. E’ ora di pranzo quando un dirigente di FdI certifica, sia pur contestandolo, l’andazzo: “Siccome Giorgetti minaccia sfracelli, noi torniamo indietro… Mah”. Sono gli stessi minuti in cui Massimiliano Romeo squaderna il malumore leghista con una frase che sa d’apertura delle ostilità (“L’uomo solo al comando non va bene, neppure quando è donna”). E’ il segnale, e non è l’unico, che la rappresaglia sta per scattare anche sul più decisivo dei dossier: quello del Pnrr e dei rapporti con l’Europa. E’ lo scenario che paventava, da giorni, anche Raffaele Fitto.

Lo è andato ripetendo in più occasioni, anche a margine degli ultimi Cdm, il responsabile degli Affari europei. Le parole di Riccardo Molinari sui prestiti del Next Generation Eu, le prese di distanza dei leghisti rispetto a un piano, quello firmato da Mario Draghi, “che loro sì avevano contribuito a varare”. Di qui, la mozione d’ordine di Fitto:  “Distinguiamo i temi su cui possiamo fare polemica politica da quelli su cui è bene evitare scantonamenti”. Lo ha detto, il ministro meloniano, anche in riferimento a una baruffa che riguarda da vicino i rapporti tra Roma e Bruxelles, e che quei rapporti sta intossicando. “Sui balneari, se anche seguissimo la linea delle categorie, ci ritroveremmo contro sia l’Ue sia il Quirinale”, aveva ammonito settimane fa. Era stato facile profeta.

Eppure, proprio nelle ore in cui la trattativa sulle nomine si avvitava intorno alla prova di forza di Donna Giorgia, ecco che Maurizio Gasparri e Gian Marco Centianio, due vice presidenti del Senato, diramavano un dispaccio che sapeva di guerriglia: “Rileviamo l’assoluta necessità di accelerare l’adozione del decreto delegato di cui all’articolo 2 della legge 5 agosto 2022, n.118, per la mappatura delle concessioni demaniali”. Significa, in soldoni, intimare a Meloni d’avviare quell’inutile processo di monitoraggio delle spiagge che altra finalità non ha se non quella di prendere, e perdere, tempo. Proprio mentre il tempo a disposizione si è esaurito. Perché il 19 aprile prossimo dalla Commissione arriverà il parere rafforzato che di fatto inasprirà la procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia sulla Bolkestein. L’indomani, la Corte di giustizia europea emanerà una sentenza dall’esito scontato, che farà decadere tutte le proroghe delle concessioni, col caos giuridico che ne conseguirà. Se a fronte di questa doppietta clamorosa, i vertici di Lega e FI accusano neanche troppo velatamente il governo di lassismo (“I voti dei balneari li ha presi la Meloni, no? E allora…”), e se lo fanno in quel Senato dove i margini della maggioranza sono quelli che sono, allora vuol dire che la tensione sale.

Sale anche sul Pnrr. Perché da giorni dal Mef trapela insofferenza, per la scelta operata da Fitto di portare a Palazzo Chigi il vertice operativo della governance. E perché è proprio da Via XX Settembre che passa, tuttora, il filo diretto della diplomazia del Recovery che collega Roma e Bruxelles. Ed è un filo rovente. Ecco, allora, il richiamo, garbato ma puntuto, di Marco Buti, capo di gabinetto del commissario Paolo Gentiloni, che ieri mattina  ha ribadito con una lettera al Corriere della Sera una scadenza che a Palazzo Chigi continuano a ritenere trascurabile. “Ci aspettiamo di ricevere entro fine aprile ulteriori emendamenti ai piani con nuovi capitoli dedicati al tema della sicurezza energetica”. Quel 30 aprile, che Fitto considera scritto sull’acqua, è dunque di nuovo lì, come un’ennesima pietra d’inciampo su un percorso, quello del Pnrr, che è già di suo assai accidentato, come ha riconosciuto lo stesso ministro durante il suo intervento di ieri al Senato.

Ora, che tutto questo caos sia stato innescato dall’ira di Giorgetti, sarebbe ridicolo pensarlo. Che però, guardando a questo disordine, Meloni debba aver ritenuto assai poco saggio costringersi a fare a meno di un sostegno finora affidabile come quello del ministro dell’Economia, a dispetto di quanti, nella sua cerchia stretta, la esortavano comunque a tirare dritto, è invece una ricostruzione condivisa da più fronti, nell’esecutivo. Ed ecco, allora, la resa su Enel: ecco il sacrificio impensabile alla vigilia, quello di Stefano Donnarumma, per offrire il ruolo di ad al più salviniano dei candidati, quel Flavio Cattaneo che, si fa notare nel Carroccio, stava perfino alla festa dei 50 anni di Matteo Salvini. Il quale, e qui sta il colmo, ha ottenuto quel che sperava, forse perfino qualcosa in più se si pensa alla presidenza di Terna data a Igor De Biasio, senza neppure parlare. Lasciando forse solo capire alla premier che, con un Giorgetti indebolito e un partito in ebollizione, diventava complicato tenere le truppe in ordine.  Perfino sul Pnrr.
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.