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Poltrona per due nel Pd

Schlein fa eleggere capigruppo Braga e Boccia, scontentando sul “metodo”

Marianna Rizzini

Un mese e due giorni di trattative per scegliere due nomi molto vicini alla neosegretara. I dubbi di Guerini e Zampa, le parole di Malpezzi. E si intravede il fantasma di Enrico Letta

Un mese e due giorni. E’ il tempo impiegato dalla neo segretaria del Pd Elly Schlein per arrivare alla nomina per acclamazione dei nuovi capigruppo di Camera e Senato Chiara Braga e Francesco Boccia, nomi di stretta osservanza schleiniana, ufficialmente in sella ieri, dopo il tempo trascorso in un groviglio di trattative (trattative ancora in corso, ché ora restano sul tavolo le partite collegate di uffici di presidenza e segreteria). Calendario alla mano, c’è chi, nel Pd, alla vista a ritroso dei trentadue giorni appena trascorsi, vede affacciarsi sull’uscio del Nazareno il fantasma del temporeggiatore per antonomasia tra gli ex segretari, quel Nicola Zingaretti che, per mettere in piedi la segreteria, impiegò addirittura tre mesi. Ma c’è anche un altro fantasma, stavolta evocato in positivo dai critici del metodo Schlein (quello improntato, sui capigruppo, al “chi vince decide”, come spiega la deputata dem Marianna Madia in un’intervista al Repubblica): il fantasma dell’ex segretario Enrico Letta, che “si era comportato in altro modo”, come fa notare l’ex ministro ora senatore Graziano Del Rio nel corso della riunione a porte chiuse che porterà all’elezione di Boccia. E anche se, al mattino, in Senato, la segretaria Schlein ringrazia subito la capogruppo uscente Simona Malpezzi (come poi ringrazierà alla Camera l’altra capogruppo uscente Debora Serracchiani), sarà proprio Malpezzi a dire che i modi non l’hanno soddisfatta, e che avrebbe preferito si parlasse meno sui giornali e più nel partito, prima che la decisione fosse presa.

 

Per non dire dell’ex senatore Andrea Marcucci, già pilastro di Base Riformista, che da fuori, su Twitter, commenta: “La segreteria, attraverso la scelta dei capigruppo, ha mandato un messaggio inequivocabile. Per i riformisti e ancora più per i liberaldemocratici nel Pd non c’è spazio, sono ai margini e forse danno anche fastidio. Peccato”. E a un certo punto Schlein interviene per rassicurare, anche se la minoranza la sta aspettando al varco del 5 o 6 aprile, giorni in cui, in teoria, si definiranno le nomine per la segreteria, per gli uffici di presidenza e per la carica che potrebbe riequilibrare il tutto, se davvero, oltre al nome dello schleiniano Marco Furfaro, nella vicesegreteria Schlein decidesse di includere — questa la voce ricorrente ma ancora appesa ad altre decisioni (uffici di presidenza, appunto) — un secondo nome bonacciniano e femminile (Pina Picierno?). “Stiamo lavorando a un assetto complessivo ed equilibrato, rispettoso del pluralismo e dell’esito delle primarie, con Bonaccini ci sentiamo spesso”, dice Schlein, mentre Bonaccini manda gli auguri di buon lavoro ai due eletti.

 

Ma nel Pd non v’è certezza – praticamente di nulla, a proposito degli “assetti” che la segretaria vuole “chiudere entro pochi giorni”: incerte le tempistiche, incerti i nomi che entrano ed escono dalle rose ipotetiche. C’è, sì, la consapevolezza che il fatto di aver messo a dirigere i parlamentari due figure così vicine permetterà alla neo segretaria di occuparsi delle battaglie in piazza, quelle che assolutamente vuole fare, senza troppo patema. Altra certezza: le parole visibilmente contrariate dell’ex ministro bonacciniano Lorenzo Guerini: “La complessità richiede condivisione se si vuole andare a una prospettiva unitaria e quindi, formulando un mio giudizio di verità per non essere omissivo nel dibattito, ritengo che questo passaggio abbia avuto elementi di forzatura politica sia nell’interpretazione del risultato congressuale che nel rapporto con l’autonomia dei gruppi parlamentari”. Anche sulle priorità politiche esposte da Schlein il giorno prima, Guerini sottolinea il suo dubbio: meglio evitare “battaglie identitarie” (della serie: dobbiamo parlare a tutto il paese). Non è solo, Guerini. La senatrice Sandra Zampa esprime perplessità: “Avrei preferito una rosa di nomi” per la scelta del capogruppo. E auspica, Zampa, il superamento “della rappresentazione secondo la quale chi ha votato Schlein è di sinistra e chi ha votato Bonaccini è un ex renziano”. La sera non porta lumi. E la domanda corre da una Camera all’altra: quanti nomi per la minoranza ci saranno in segreteria? Si danno letteralmente i numeri, da un lato all’altro del Pd: 4? 5? 6? Oggi si ricomincia a trattare, prima che la segretaria si rechi in Friuli per le amministrative.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.