Il commento

"Schlein? Troppi slogan e una visione caricaturale del Pd". Parla Fassino

Marianna Rizzini

L'ex ministro commenta le parole della neosegretaria: “I leader politici non sono capibastone o cacicchi. Non è giusto rappresentare in questo modo il partito. La diversità di opinioni, lungi dal dover essere compressa o nascosta, è una ricchezza”

"Estirpiamo capibastone e cacicchi", ha detto la neosegretaria del Pd Elly Schlein al momento dell'insediamento, domenica, alla Nuvola di Fuksas, quartiere Eur. E ha evocato una primavera dem in cui “nuovo” non voglia dire “nuovismo”. “Cambiare per cambiare non è la strada”, aveva invece detto a inizio anno Piero Fassino, già ministro, segretario dei Ds tra il 2001 e il 2007 (un'eternità con gli occhi di oggi, vista la durata degli ultimi segretari dem), poi sindaco di Torino, oggi deputato che al congresso ha sostenuto con un suo Manifesto il governatore dell'Emilia-Romagna Stefano Bonaccini (a differenza dell'ex compagno di corrente in AreaDem ed ex ministro della Cultura Dario Franceschini).

"Il discorso di Schlein", dice al Foglio Fassino, “è costruito su valori ed emozioni, in stile americano, pensato per soddisfare la domanda di cambiamento quasi salvifico da parte di elettori demotivati per le troppe sconfitte di questi anni, per la vittoria della destra, per una percepita mancanza di energia e ossificazione correntizia. Stati d’animo che hanno portato a votare la Schlein in nome di una cesura radicale. In questo suo voler incrociare la speranza degli elettori delusi, Schlein ha scelto un timbro emozionale”.

Tuttavia, dice Fassino, “è un discorso scandito da affermazioni troppo generali e talora perfino generiche, non corrispondenti all’impegno di accompagnare ogni no con una proposta alternativa. Non puoi dire 'mai' all’autonomia di Roberto Calderoli, senza dire qual è la tua proposta. E se dici 'no' al precariato - obiettivo che tutto il Pd condivide - devi però dire qual è la tua idea di flessibilità. E se, com'è indispensabile, respingi il modo sciagurato con cui la destra affronta l’immigrazione, dobbiamo dire qual è la nostra proposta. E se parli di transizione ecologica dell’economia, quali sono le politiche che consentono di tenere insieme green e crescita? Su questi e altri nodi, per ora, la segretaria si è fermata alla denuncia. Mi auguro che arrivino presto le proposte”.

Quanto ai cacicchi, Fassino, che da segretario ha gestito a lungo “un partito con centinaia di migliaia di militanti e migliaia di quadri e amministratori locali”, pensa che “non sia giusto rappresentare in questo modo il Pd. I leader politici non sono 'capibastone', e la 'comunità' giustamente evocata da Schlein non può essere ricondotta a una visione caricaturale. Ci sono certo anche incrostazioni di potere. Ed è giusto destrutturarle, ma in qualsiasi partito convivono diverse sensibilità, tanto più in un partito grande e plurale. La diversità di opinioni, lungi dal dover essere compressa o nascosta, è una ricchezza”.

Schlein ha portato in Direzione molti giovani, plaudendo ai “ponti” tra una generazione e l'altra. “Un partito politico deve sempre avere la capacità di valorizzare le nuove leve e accompagnarle a essere classe dirigente”, dice Fassino. “Lo ha fatto Enrico Berlinguer con me, Massimo D’Alema, Fabio Mussi, Antonio Bassolino e altri giovani. L’ho fatto io da segretario Dd quando lanciai Nicola Zingaretti, Andrea Orlando, Maurizio Martina, Stefano Bonaccini, Roberta Pinotti".

Oltre al tema generazionale, si staglia all'orizzonte un tema alleanze: “In tutti i paesi europei i governi sono di coalizione e anche in Italia, se si vuole competere con la destra, bisogna costruire una coalizione. Ma è curioso che si chieda sempre al Pd “con chi volete allearvi”. Non lo si domanda mai a Giuseppe Conte e a Carlo Calenda che, come ha ricordato Bonaccini, le elezioni le hanno perse anche loro. Per costruire una coalizione ci vuole la volontà di tutti i contraenti”.

Ma la “sfida più grande” per la neosegretaria, dice Fassino, è “la riorganizzazione del partito, venendo da anni di contrazione delle iscrizioni, di sconfitte e di riduzione di radicamento. Nessuna politica vince senza un soggetto organizzato che la faccia vivere tra la gente. Serve un partito strutturato e radicato, certo con linguaggi e forme di oggi. Ma non un generico movimentismo. La boutade sui cacicchi non dà la soluzione. Se mai ispiriamoci a Napoleone: 'Ogni mio soldato porta nello zaino il bastone di maresciallo'. Ecco, dobbiamo far sí che ogni iscritto ed elettore si identifichi nelle politiche che perseguiamo e se ne faccia protagonista, altrimenti ogni proposta, per quanto ambiziosa e giusta, non ha gambe per camminare”.

Di più su questi argomenti:
  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.