Foto di Angelo Carconi, via Ansa 

screzi in maggioranza

Tra Piantedosi e Tajani qualcosa non va

Valerio Valentini

Questione di viaggi, di incrocio di agende e di ricerca di visibilità: i rapporti tra Farnesina e Viminale non sono granché. E anche Musumeci è scettico sull'operato del ministro dell'Interno

C’è il suo “parlare da questurino”, certo: quella retorica al tempo stesso glaciale e incontinente che induce non solo i suoi avversari, ma pure alcuni alleati, a farne una caricatura. “Altre due conferenze stampa, e regaliamo cinque punti alla Schlein”, sbuffa un deputato di FI. Sulle chat dei patrioti meloniani gira invece una specie di meme che lo paragona al Grinch, il mostro verde che ruba il Natale, per via di una vaghissima somiglianza somatica.

Cattiverie di Transatlantico, vabbè, da registrare semmai solo per segnalare un clima. Ma che il termometro del malcontento verso di lui, verso Matteo Piantedosi, sia iniziato a salire, lo dimostrano del resto certi risentimenti che al capo del Viminale riservano, si dice, due sue colleghi ministri: Nello Musumeci e Antonio Tajani.

Nel primo caso, neppure troppo sottaciute. “È solo un fraintendimento, voleva essere un complimento e non una critica”, si premurano di specificare dallo staff del ministro del Mare. Sta di fatto che per due volte in pochi giorni il complimento presunto ha preso sostanza in una critica evidente, quando Musumeci ha ripetuto che “Piantedosi è un ottimo prefetto che imparerà anche a comunicare”. Non proprio una carineria. Se poi davvero si è trattato di un omaggio espresso male, allora tocca refertare il tutto come un caso di cattiva comunicazione a commento di una comunicazione sbagliata. Roba da perderci la testa.

La tesi che circola nel governo è però un’altra. Ed è cioè che Musumeci, arrivato agli onori dell’esecutivo dopo essere stato sabotato da Lega e FI nelle sue ambizioni di riconferma alla presidenza della Sicilia, sperava davvero che il suo altisonante “ministero del Mare”, novità assoluta nella propaganda patriottica, servisse a garantirgli il proscenio mediteranneo promesso. E invece, macché, s’è ritrovato con un ministero del Mare che non ha deleghe né sui porti, trattenute al Mit da Matteo Salvini, né sulle spiagge, rimaste in sospeso a Palazzo Chigi.

E insomma se in questi giorni, nei conciliaboli coi confidenti, s’è lasciato scappare qualche sbuffo di troppo sull’operato di Piantedosi riguardo alla tragedia di Cotrone – sbuffo di amarezza, si dice, più che di rabbia, di chi considera “inaccettabile” quel che è successo, lontano mille miglia dalla sua affezione alla cultura siciliana improntata all’accoglienza – sarebbe per via di questa sorta di inoperosità forzata alla quale è stato costretto, privo di competenze rilevanti com’è.

Poi c’è l’altro attrito, questo più sotterraneo. E qui va subito detto che al Viminale lo negano risolutamente, alla Farnesina lo ridimensionano, liquidandolo quasi a pettegolezzo sfuggito di mano, cresciuto di bocca in bocca. Sta di fatto che qualche sfogo, dell’uno verso l’altro, c’è stato. E non che manchi la stima, tra Tajani e Piantedosi. E neppure la consuetudine. Anzi, di consuetudine ce n’è perfino troppa, e forse è questo eccessivo incrocio di agende e di impegni che ha generato qualche fastidio. Perché più volte, nel recente passato, il ministro dell’Interno e quello degli Esteri si sono ritrovati a condividere onori e oneri nel corso di medesime missioni. Insieme in Tunisia a metà gennaio, insieme in Libia qualche giorno dopo, come insieme erano stati già in Turchia. Con quel che ne consegue, ed è facile immaginarlo, in termini di ricerca di visibilità, dell’uno e dell’altro, a volte dell’uno sull’altro. 

Chi conosce bene Tajani, in FI, la mette giù così: che è passata l’epoca in cui Marco Minniti, era il governo Gentiloni, nella gestione del dossier immigrazione faceva il ministro dell’Interno ma un po’ anche degli Esteri, e alla bisogna s’occupava pure di intelligence e servizi. E insomma, se Piantedosi si è sentito un po’ oscurato da Tajani nelle sue missioni mediterranee, non è un problema che possa essere gestito dalla Farnesina. Chissà. Di certo c’è che i prossimi viaggi, Piantedosi li ha già fissati. Egitto e Costa d’Avorio, un mini tour africano che dovrebbe svolgersi nella seconda metà di marzo. In solitaria, stavolta. O, almeno, così pare.

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.