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l'analisi

Tenuta o scissione? Perché il sostegno all'Ucraina sarà la linea rossa per Schlein

Valerio Valentini

L'avvertimento di Guerini ("Quella linea andrà confermata, perché la scegliemmo insieme"), le raccomandazioni di Letta, i timori di Franceschini. Conte già provoca il Nazareno: "Siete per la pace o per le armi?"

Che sia “sottile” è evidente. Basta interrogare Lorenzo Guerini per capire che, nel nuovo corso del Pd, quella che riguarda il sostegno all’Ucraina, la bussola atlantista, sia una linea rossa. Da non oltrepassare. “Penso sarà una linea che dovremo confermare perché è stata la linea che il Pd, tutto, ha sostenuto fin dall’inizio”. Lo dice, il presidente del Copasir, con la gravità di chi, da ministro della Difesa, se l’è assunta fin dall’inizio, e quasi come scelta necessaria, la responsabilità di ancorare il partito all’asse che da Washington, passando per Bruxelles, porta fino a Kyiv. “È stata la scelta dovuta, ma non scontata, e che dovremo saper rivendicare”, raccomanda lo stesso Enrico Letta, segretario ormai dimissionario che sulla necessità di sostenere, anche militarmente, la resistenza del popolo ucraino, non ha mai vacillato.

 

Lia Quartapelle, che il suo mandato da responsabile Esteri del Nazareno ha voluto concluderlo proprio a Kyiv, stringendo la mano a Volodymyr Zelensky, il suo timore per possibili contorcimenti geopolitici del suo partito non lo ha nascosto, neppure lei, riferendo ai suoi colleghi dem il resoconto dei colloqui avuti coi vertici delle istituzioni ucraine, e insomma mettendo in guardia sul fatto che davvero l’Italia sia osservata come il primo possibile disertore dell’alleanza Occidentale.

 

Non che si mettano già in preventivo strambate clamorose da parte di Elly Schlein. Che davvero, come si dice, già sul prossimo decreto per l’invio di armi a Zelensky il Pd possa deflettere, non è scontato. Che di lì, poi, debbano conseguire necessariamente rotture o scissioni, è improbabile al momento. Però c’è un motivo se Dario Franceschini, nelle ore in cui lo spoglio dei voti decretava anche stavolta la giustezza della sua tattica, tranquillizzava i maggiorenti della mozione di Bonaccini, li rassicurava, li esortava a scacciare i fantasmi indicibili. Facendo riferimento, tra le varie cose, proprio alla coerenza in politica estera.

 

Che è poi il chiodo su cui Giuseppe Conte ha già deciso che bisognerà battere: e ha subito sfidato la neo segretaria del Pd a dire cosa pensa del tradimento del governo giallorosso in nome del draghismo e dell’invio di armi all’Ucraina. È proprio pensando a quell’incalzare grillino che Enzo Amendola, altro fedele interprete dell’atlantismo dem, dice che “la fase costituente del Pd ora dovrebbe iniziare davvero”, come a sottintendere che per lui sia il sostegno a Draghi sia quello a Zelensky sarebbero meriti da intestarsi, non certo colpe da espiare.

 

Ma che la ricerca della sinistra perduta, che l’ansia di riconnettersi col popolo anche a costo di scivolare nel populismo, possa indurre Schlein a mettere in discussione la bussola geopolitica del Nazareno, è al tempo stesso una speranza e una paura che circola in varie anime del partito in subbuglio. E così, se Marco Furfaro, prossimo coordinatore della segreteria, ribadisce col tono di chi dirama un avviso ai naviganti che “il sostegno alla resistenza ucraina da parte del Pd non è mai stato né verrà messo in discussione”, Francesco Boccia, che coordinatore è stato della mozione Schlein e che s’è dunque guadagnato sul campo i galloni di futuro capogruppo al Senato, consiglia di distinguere tra le posizioni di Salvini e Berlusconi, “che mettono in discussione la linea di Meloni sulla guerra per fare un favore a Putin”, da quella “di Conte e del resto del fronte pacifista”.

 

Segnali di un dibattito che s’aprirà, evidentemente. Che forse è già squadernato, se è vero che un ruolo di rilievo, nella nuova segreteria, Schlein vorrà darlo a uno di quegli esponenti di Articolo 1, come Arturo Scotto o Nico Stumpo, che già a gennaio si rifiutarono di votare il decreto Armi per Kyiv, invitando il Pd a “scegliere la pace”. Ora a scegliere dovrà essere Schlein. E non sarà una scelta indolore.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.