Sull'invio dei caccia all'Ucraina s'accende una (inutile) zuffa di governo

Valerio Valentini

Il sostegno militare a Kyiv crea cortocircuiti nella destra. Un pezzo di FdI ci pensa, a rifornire Zelensky di Amx, la Difesa frena. L’ansia atlantica di Meloni e la sfida con Macron. Parlano Cirielli e Perego

Roma. Nel suo partito c’è chi liquida il tutto come “una ciriellata”. Ché insomma Edmondo Cirielli, salernitano classe ’64, ufficiale dei carabinieri in congedo, attivo in associazioni italoamericane, è un po’ così: “Il più atlantista di tutti”. Lui, però, a quest’idea che la sua sarebbe una “fuga in avanti”, non ci sta. “Semmai, mi sono permesso di ricordare a tutti che questa divisione ideologica sull’invio di armi all’Ucraina ha poco senso”, dice il viceministro degli Esteri, colonnello meloniano. Caccia compresi? “Sì. Perché, quando la Nato decidesse, e non è argomento all’ordine del giorno, di dare a Kyiv gli F-16, noi non potremmo permetterci di farci trovare ingarbugliati in un dibattito bislacco volto ad appurare se si tratti di un’arma difensiva o offensiva”. Estote parati, dunque. E però tanto è bastato per innescare una mezza zuffa di governo. 

Di certo c’è che ai vertici della Difesa ritengono quantomeno prematuro parlare di invio di caccia. Guido Crosetto tace. Chi lo conosce, il suo silenzio lo interpreta così: “Non crede sia utile alimentare questo dibattito”. Se Crosetto è laconico, leghisti e forzisti hanno predisposto “un fuoco di sbarramento”, come dicono nel Carroccio, per respingere l’ipotesi. “Forse sapendo di avere meno responsabilità rispetto a Giorgia Meloni  – prosegue Cirielli – i nostri alleati provano a darsi una linea che intercetti le comprensibili paure dell’opinione pubblica”. A Via della Scrofa, invece, in questa ostensione di gravitas atlantica, si registrano altri timori. Quelli, cioè, di non poter ben figurare nell’avanguardia degli oppositori di Putin. “Nell’ambito della Nato – prosegue Cirielli –  il Regno Unito è  il paese più assertivo. Quanto a noi, teniamo in grande considerazione le inquietudini di quei paesi, come Polonia, Estonia, Romania e Slovacchia, che sono in prima linea, esposti alle minacce russe”. Insomma, non vogliamo restare indietro? “Se, come Nato si deciderà di consegnarli, anche noi lo faremo”.

In effetti, c’è chi s’è mostrato più sensibile alle richieste di Kyiv. E finché a dirsi pronti a inviare i loro aerei da combattimento sono stati gli slovacchi, i danesi o gli olandesi, vabbè. Poi, però, quando Emmanuel Macron s’è lasciato scappare quel suo “nulla è da escludersi”, quando insomma a Parigi hanno iniziato a prendere in considerazione l’ipotesi di consegnare una mezza dozzina di Mirage 2000 –  in servizio dai primi anni Ottanta, in via di dismissione, e con un sistema missilistico ormai fuori produzione che andrebbe aggiornato – a Palazzo Chigi qualcuno s’è allertato. E l’ormai proverbiale ansia da prestazione patriota quando si parla di francesi ha fatto il resto. Possiamo noi essere da meno? L’idea degli Amx, coevi dei cugini transalpini, è nata un po’ così. E ci sta che allora il forzista Matteo Perego, vice di Crosetto alla Difesa, punti i piedi. “L’Italia – ci dice – non ha bisogno di farsi perdonare nulla. E’ sempre stata in prima fila, in relazione alle sue possibilità, nel sostegno militare a Kyiv. E così continueremo a fare, in coordinamento con gli alleati atlantici ed europei. Quanto all’invio di caccia, di cui tuttavia non c’è riscontro nelle decisioni del governo, dovremmo chiederci, al di là delle valutazioni politiche, quali implicazioni ciò comporterebbe  sul piano strategico e operativo”.

Insomma, la perplessità è anzitutto tecnica. Et pour cause: perché gli Amx sono aerei che oltre all’Italia ha in dotazione solo il Brasile, e dunque sarebbe quasi impossibile utilizzarli in coordinamento con altri velivoli, necessiterebbero di una non scontata linea di ricambio, essendo a fine ciclo, e soprattutto risulterebbero inutili ai fini di combattimento aereo, essendo predisposti solo per l’attacco al suolo.  Tanto più che i bombardieri di Putin lanciano i loro missili dallo spazio aereo russo: e dunque assai più utili  a garantire la sicurezza aerea sono i Samp-T. Finora Francia e Italia hanno concordato di darne a Zelensky uno ciascuno, con una dotazione di una sessantina di missili per parte: essendo il tasso di intercettazione pari al 40 per cento, il conto degli attacchi aerei sventati è presto fatto. Raddoppiare queste forniture sarebbe ben più utile di una manciata di Amx. Che è poi quello che ha ribadito ieri anche Jake Sullivan, il consigliere per la Sicurezza americano, spiegando alla Cnn gli F-16 non sono lo strumento chiave che risponde alle esigenze tattiche degli ucraini di questa fase. “Non servono per una battaglia a breve termine, ma per la difesa a lungo termine dell’Ucraina”, osserva Sullivan. Al che, forse, quando sarà il caso, per l’Italia s’aprirà un dibattito legato non agli Amx, ma ai più moderni Tornado o addirittura, chissà, agli Eurofighter. Ma, appunto, tra mesi. E nell’ottica di un coordinamento euroatlantico tutto da definire. E forse è per questo che ai vertici della Difesa ritengono l’intero dibattito precoce e sguaiato.

A meno che, certo, a dettare la fretta siano convenienze politiche. Quelle di chi, in FdI, ritiene valga la pena esasperare le tensioni dentro FI e Lega sul fronte ucraino, così da mettere gli alleati “con le spalle al muro della responsabilità”. Ma più che una scommessa, questa, pare un azzardo.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.