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Meloni: "Sulle nomine non baratto". Si va verso la riconferma dei vecchi ad delle partecipate

Carmelo Caruso

La premier blinda Descalzi di Eni, attaccato da Lega e FI, e potrebbe riconfermare oltre a Del Fante anche Profumo ad di leonardo. Agli alleati disposta a cedere solo le presidenze

Roma. Intende farne una “questione nazionale”, non accetterà nessun tipo di “baratto”, Giorgia Meloni sceglierà da sola gli ad di Eni, Enel e Poste.  La premier potrebbe minacciare l’impensabile: “Sulle nomine mi gioco la reputazione. Nessuno deve condizionarmi o mettere veti”. Se dovesse accadere è pronta a rimettere il mandato. L’offensiva lanciata da Lega e Forza Italia su Eni ed Enel l’ha irritata. Da giorni il partito di Matteo Salvini, di sponda con Berlusconi, chiede una valutazione sul management delle due società. Meloni ritiene l’ad di Eni, Claudio Descalzi, una “pietra angolare”. Avrebbe aggiunto: “Chi indebolisce lui, vuole indebolire me. Io non apro un suk”.

 

Giovedì 23 febbraio, durante la presentazione del piano industriale di Eni, chi era presente è  rimasto “turbato” dalle parole di Descalzi.  Quando i giornalisti hanno chiesto all’attuale ad di Eni un commento sul suo futuro si sono sentiti rispondere: “Quello che voglio io non conta nulla. Questo piano (industriale) lo ha fatto l’Eni e nessuno è indispensabile. L’Eni è forte e può fare questo piano anche senza di me”.

 

Ministri, operatori finanziari parlano di “messaggio”. Un’azienda come Eni può essere governata solo se l’ad gode della fiducia del governo. Con questa frase l’ad ha come interrogato la premier. Lega e FI hanno un profilo alternativo. E’ quello di Paolo Scaroni e per FdI è una provocazione: “Ha operato per anni in Russia. In questo momento non sarebbe opportuno”.  Descalzi ha una squadra e se resta lui ad è fisiologico che il suo staff venga riconfermato. Non esiste fiducia a metà. L’uscita della Lega farebbe parte di una strategia: si chiede l’Eni per puntare a Enel e per poi incassare la guida di Poste. L’idea della Lega, condivisa da FI, è che va “posto con forza il tema dei troppi manager di sinistra o comunque scelti da sensibilità politiche lontane da questo governo”.

 

Meloni la guarda con il cannocchiale rovesciato: “Non mi importa se siano di sinistra, mi importa che siano bravi”. Descalzi è per lei “bravissimo”. Il rapporto si è rafforzato dopo i viaggi, comuni, in Algeria e Libia. Meloni è dunque  disposta a cedere sulle presidenze delle tre società, ma non sugli ad. I tre nomi li ha in testa. Descalzi resta all’ Eni, Del Fante alle Poste e Donnarumma si dovrebbe spostare da Terna all’ Enel. Uno degli uomini più vicini alla premier, il viceministro alle Infrastrutture di FdI, Galeazzo Bignami, intervenendo ad un convegno di Assovetro ha dichiarato: “Nella visione strategica di questo governo, le aziende con partecipazione pubblica è legittimo che operino in un’ottica di profitto ma devono anche farlo nell’interesse nazionale. Se un ente che produce energia elettrica, non è stato di supporto alle piccole imprese per noi non è un argomento indifferente”.  Serve a dire che su Enel c’è una valutazione in corso e la sta facendo FdI. La volontà della Meloni è “indicare Donnaruma a Enel”. L’unica novità si potrebbe avere a Leonardo dove è in corsa l’ex ministro Roberto Cingolani. Non è tuttavia esclusa la riconferma di Alessandro Profumo e la giustificazione sarebbe: “Leonardo produce materiale militare. Non si sostituisce il suo ad con una guerra in corso”. Descalzi, Del Fante sono manager nominati da Matteo Renzi mentre Donnarumma da Giuseppe Conte.

 

Tutto questo scrivere sulle nomine non si spiega se non si dice chiaramente che in Italia è un passaggio d’epoca. Sono aziende pubbliche giganti. Poste ha 121 mila dipendenti, Eni 31 mila, Enel 66 mila.  Meloni ripete: “Non userò il manuale Cencelli”. Ma Lega e Forza Italia  rispondono: “E che ci vuole lasciare? La guida dei poligrafici di stato?”. E’ un giro di boa per Meloni. E’ certa che se dovesse cedere “si tornerà a parlare di marcia indietro”. E’ una questione di affidabilità. Per arrivare alla conferma di manager nominati da precedenti governi è tuttavia necessario raggiungere l’intesa con Salvini e Belusconi. Per Meloni è una “questione nazionale” mentre per un ministro a cui non manca la schiettezza, al momento, “ più che stare a un tavolo di nomine sembra di stare sdraiati in una fumeria d’oppio”.

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio