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il commento

La raffinata strategia dell'opposizione: chiedere le dimissioni di due ministri “fascisti” al mese

Salvatore Merlo

L'ultimo è Valditara, ma prima c'erano La Russa, Delmastro e gli altri. Continuando così quelli della sinistra esauriranno entro fine anno la lista dei membri del governo da contestare 

"Le opposizioni insorgono”, è il titolo di un quotidiano di ieri. Ecco. Insorgete un po’ meno, verrebbe da consigliare. Adesso, per dire, chiedono le dimissioni del ministro della scuola Valditara perché c’è un clima da marcia su Roma. Comprensibile. Tuttavia sono passati circa quattro mesi dalla formazione del governo di destra, e tra una denuncia di fascismo e l’altra, tra reazioni di sdegno ed epiteti vari, quelli della sinistra hanno già chiesto, a varia intensità, le dimissioni di Pichetto Fratin, Delmastro, Donzelli, La Russa, Lollobrigida, Roccella e ora, appunto, anche di Valditara.

Se ne fosse poi dimesso almeno uno di questi, già sarebbe qualcosa. E invece niente. Nemmeno uno. Nada. Zero. Sono tutti ancora lì. Fosse scattata una reazione popolare, poi. Silenzio assoluto. Anzi, vincono pure le elezioni regionali. Il problema non è da poco. Considerato infatti che i ministri fascisti sono ventiquattro, calcolata una media (fin qui) di richieste di dimissioni pari  a circa due ministri fascisti al mese, è chiaro che di questo passo entro la fine del 2023  le opposizioni avranno chiesto la testa di ogni membro del governo fascista. Per fortuna, certo, ci sono anche i trentanove sottosegretari. Quelli abbondano sempre. C’è poi anche la presidente del Consiglio, grazie a Dio. Una in più di cui chiedere le dimissioni. E c’è infine pure il presidente della Camera (quello del Senato purtroppo è già stato obliterato). Quindi forse, in effetti, tirando un po’ a risparmiare, stringendo la cinghia, insomma centellinando, l’opposizione potrebbe anche arrivare alla metà del 2024, tra un’evocazione Di Gramsci e un richiamo al delitto Matteotti,  prima di aver esaurito ogni singolo uomo del centrodestra all’incirca installato al governo, nel sottogoverno e nelle istituzioni della Repubblica. S’intende bene, è chiaro, che gente capace di discutere per cinque mesi, in un congresso nazionale, a proposito della figura indubbiamente  centralissima di Matteo Renzi, oltre a essere indispensabile ai fisici per far capire con un esempio il concetto del vuoto, è anche capace di tirare avanti chiedendo dimissioni  random  per due anni e forse più. Le qualità, almeno nel Pd, le hanno. Ma poi? Che si fa, poi, una volta terminati i fascisti? Potrebbero anche ricominciare da capo, è vero. Come nel gioco dell’oca. Ripartiamo da La Russa! Sarebbe un’idea. Eppure persino i presentatori di detersivi e deodoranti sanno che la continua ripetizione di un’immagine  ingenera noia, disgusto, e infine una vera intolleranza fisica. “Oddio, arrieccoli”, potrebbe ben presto diventare   il generale grugnito con cui vengono accolti questi dimissionatori indefessi. E ancora non si sono accorti di una cosa, ovvero che Mogol è stato nominato  “consigliere per la cultura popolare”.

Segnaliamo il seguente passaggio della “Collina dei ciliegi”, la canzone scritta da Mogol per Battisti: “E noi ancora ancor più su / planando sopra boschi di braccia tese”. Braccia tese! Non solo. Mogol ha pure detto che Meloni gli sembra una “persona per bene”.  Com’è dunque evidente, anche Mogol va aggiunto al computo dei ventiquattro ministri più trentanove sottosegretari più due presidenti della Camera più un presidente del Consiglio di cui chiedere le dimissioni. Così, forse, in mancanza di altre idee, questi infaticabili deterrenti del pensiero, insomma le opposizioni,  potrebbero  persino riuscire a sfangarla fino all’estate del 2024. Dimissionando dimissionando. Solo che la legislatura finisce nel 2027. E questo modo di procedere, alla fine,  compone una specie di apologo sulla stupidità. Sicché non ci sorprenderebbe  se a qualcuno venisse voglia  di camminare a quattro zampe dopo aver letto questo articolo.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.