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Ritorno in Italia

Lega e FI circondano Meloni: la premier sulla guerra è sola

Simone Canettieri

Giorgia torna a Roma soddisfatta del bilaterale con Zelensky, ma è sfiancata dalle contorsioni estere dei suoi stessi alleati. L'avvertimento di Lollobrigida: "Il nostro ancoraggio alla Nato e all'occidente fa parte dell'accordo siglato prima delle elezioni. Sarà onorato da tutti"

Rzeszow, dal nostro inviato. Passa davanti alle batterie di missili che difendono il confine della Nato qui in Polonia. Occhialoni neri, e non il migliore dei sorrisi ad accompagnarla. Non sembra di buon umore. La missione a Kyiv di Giorgia Meloni sta per terminare. L’Airbus italiano l’attende sulla pista per portarla a Roma. La premier non saluta la delegazione dei giornalisti al seguito e non lo farà nemmeno una volta atterrata (e questa non è una notizia). Tuttavia, assorta com’è nei suoi pensieri, dimentica anche di stringere la mano alla delegazione che dall’Ucraina, via treno e poi con il van, l’ha portata fin qui. Tanto che è costretta, salita sulla scaletta dell’aereo, a scendere di nuovo le scale. La premier è soddisfatta del bilaterale con Zelensky. È riuscita a incontrarlo prima di domani, anniversario dell’invasione russa, al contrario di Olaf Scholz ed Emmanuel Macron, che la tennero fuori dalla cena a tre all’Eliseo. 

 

E però questi Patriot puntati verso est, così minacciosi, sembrano gli alleati di Meloni. Restituiscono l’immagine di una premier abbastanza sola sulla guerra. Non è forse esagerato dire “circondata”, da Matteo Salvini e Silvio Berlusconi. Tra silenzi, distinguo, dichiarazioni dei colonnelli. Tic, tac: è il suono di un logoramento che Meloni non vuole e non può permettersi. Le parole di Zelensky contro il Cav. – così dirette ed evocative come il riferimento  ai fraterni amici russi di Berlusconi – non aiutano la premier nella navigazione. Soprattutto quando dovrà prendere una decisione sul settimo invio di armi all’Ucraina e sul via libera ai caccia.

 

Alla possibile tenaglia di Lega e Forza Italia si aggiunge un altro aspetto non secondario: il peso dell’opinione pubblica, forse spaccata e titubante su costi e benefici del protagonismo italiano. Per un partito come Fratelli d’Italia, che nasce sovranista e populista, sono campanelli assordanti. “Ho fatto la cosa giusta, le immagini di Bucha e Irpin hanno rafforzato ancora di più il mio credo”, ripeterà la presidente del Consiglio una volta tornata a Palazzo Chigi a chi le chiederà ragguagli e impressioni su questa missione così strategica. Meloni si sente circondata, anche se non può darlo a vedere. Tuttavia il richiamo al rispetto del programma, pronunciato anche a Palazzo Mariinsky, non è stato casuale.

 

Un messaggio chiaro agli alleati bizzosi, pronti a vellicare la pancia di quel pezzo di paese che inizia a essere stanco delle conseguenze della guerra. Attenzione, amici, a giocare col fuoco, sembra dire Meloni. Una versione confermata al Foglio anche da Francesco Lollobrigida, ministro e vicepremier aggiunto nelle dinamiche dell’esecutivo: “Il nostro ancoraggio alla Nato e al fronte occidentale, così come il sostegno all’Ucraina, fanno parte dell’accordo che abbiamo siglato prima delle elezioni. E sono sicuro che sarà onorato da tutti”. Altrimenti vi arrabbiate e si torna alle urne? “Ora piano, con questi automatismi. Come ha spiegato Meloni a Kyiv, per l’ennesima volta, contano gli atti. Non fatemi aggiungere altro”.

 

D’accordo ministro, ma lei non può essere così ingenuo da non percepire un tentativo di fiaccamento dei vostri alleati sulla guerra. O no? “Anche se ci fosse, i sondaggi e soprattutto i risultati elettorali non lo stanno percependo, no?”. Le considerazioni di Lollobrigida vengono usate all’esterno per dare forza all’azione della premier, chiaro. E c’è tutta una narrazione, aiutata dai fatti, che proietta la presidente del Consiglio in un asse con l’America. Ha fatto la staffetta con Joe Biden, pur senza incrociarlo, e poi ha pronunciato parole definitive davanti a Zelensky su Vladimir Putin e sulla guerra. Non solo, sempre fra le righe, l’altro giorno la premier non ha fatto distinzioni fra armi offensive e difensive “perché per chi si difende da un’aggressione tutte le armi sono difensive”.

 

Questo significa che il governo è pronto al salto di qualità sulle forniture militari, seguendo i partner internazionali. E Salvini e Berlusconi? Lei è convinta di piegarli, loro puntano a logorarla. Ecco perché questo volto così scuro, nascosto dagli occhiali. La sindrome di accerchiamento si specchia nella solitudine politica della capa. E viceversa. Sicché i giornalisti italiani al seguito vanno evitati e nemmeno salutati (al contrario del Tg4, dove lavora il compagno Andrea Giambruno, a cui concede un’intervista subito dopo l’incontro con Zelensky). Piccoli dettagli rivelatori. Così come la scelta politica di inviare questa mattina una delegazione parlamentare di FdI all’ambasciata ucraina, come forte gesto politico. E poco importa forse di questi Patriot che continua a fissare prima di volare in Italia. Chissà cosa le fanno venire in mente.

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.