Il caso

Meloni a Bruxelles spera in Zelensky per mitigare le amarezze su migranti e aiuti di stato

Simone Canettieri

La premier al Consiglio europeo vedrà il presidente ucraino che ha incontrato Scholz e Macron senza di lei. Intanto la partita sui migranti è in salita

A Palazzo Chigi ieri sera minimizzavano. O forse dissimulavano: “nessuna irritazione” per il vertice all’Eliseo fra Macron, Scholz e Zelensky, a cui non è stata invitata Giorgia Meloni. E non c’è nemmeno da sbattere la testa al muro se l’altro giorno, zitti zitti, i ministri franco-tedeschi dell’Economia, Robert Habeck e Bruno Le Maire, erano a Washington per “mitigare gli effetti” sull’Ue della legge per la riduzione dell’inflazione in vigore negli Stati Uniti. Nemmeno in quell’occasione l’Italia, secondo paese manifatturiero d’Europa, c’era. In questo contesto, che non la vede proprio protagonista, la premier Meloni è arrivata ieri sera a Bruxelles dove oggi è attesa da un Consiglio Ue su cui non aleggiano i migliori auspici per il governo della nazione, tra richieste presentate e reali successi da incassare. Per la presidente del Consiglio sarà comunque una giornata particolare.

Ha in programma un bilaterale con Zelensky, in tour per tutta la prima parte della giornata tra Consiglio ed Eurocamera, reduce dagli incontri pesanti a Londra e, appunto, a Berlino. I due parleranno del sostegno militare che l’Italia può continuare a fornire all’Ucraina, compito che il nuovo esecutivo ha svolto, al di là dei dubbi più o meno latenti di Lega e Forza Italia, con la massima diligenza e in perfetta continuità con il governo precedente di Mario Draghi. Chissà se parleranno della letterina “filtrata” che Amadeus sabato leggerà al Festival di Sanremo, caso perfetto di burocrazia (sovietica) Rai.

 

Di sicuro Meloni  gli annuncerà l’intenzione voler andare a Kyiv nelle prossime settimane, nonostante i problemi logistici. Questo sì.  E allora non è difficile immaginare che Meloni oggi punti alla potenza di una foto con Zelensky, con il quale esiste comunque un rapporto fatto di una buona consuetudine telefonica, per scacciare i fantasmi di un’Europa che continua a non vederla protagonista. Almeno al momento di tirare le somme.

Se infatti la visita al cancelliere tedesco non ha raccolto grandi frutti sulla faccenda degli aiuti di stato, non è affatto detto che il Consiglio europeo sorrida all’Italia sui migranti. Meloni chiede un “salto di qualità” nella politica migratoria e ritiene “fuorviante” l’attuale paradigma dell’Ue, basato sulla distinzione artificiale tra migrazione “primaria” e “secondaria”. 

In generale la difesa dei confini esterni continua a essere un obiettivo sulla carta che tutti i 27 paesi vogliono perseguire. Ma ci sono differenze non banali. L’Austria e altri sette paesi hanno inviato una lettera ai presidenti della Commissione e del Consiglio Europeo per esercitare pressioni per aumentare il contrasto all’immigrazione illegale. La lettera di Nehammer e dei capi di governo di Danimarca, Estonia, Lituania, Lettonia, Malta, Grecia e Slovacchia afferma che l’attuale sistema di asilo è fallito e avvantaggia principalmente i trafficanti. Si tratta della rotta balcanica, e non di quella del Mediterraneo, cara a Meloni. L’Austria chiede la creazione di barriere per controllare gli ingressi dunque di muri. Ipotesi a cui aprono fonti di Bruxelles, interpellate dall’Ansa. 

Tuttavia il Consiglio europeo straordinario, reclamato da Meloni, segnerà un punto generico a favore dell’Italia. Sicuramente per la difesa esterna dei confini, anche se nel merito rimangono le perplessità di Germania e Francia. Sia sulle sanzioni all’export dei paesi africani che non collaborano sul contenimento delle partenze, sia sull’atteggiamento avuto con le ong, contestato dalla Germania (e dal Consiglio d’Europa). Sicché meglio attaccarsi a Zelensky, nonostante il mezzo pasticcio di Sanremo, con il balletto sul video poi sostituito da una lettera, e il mancato invito all’Eliseo di ieri.  

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.