Ritratto

Il balilla Donzelli. Chi è l'agitatore principe di FdI

Carmelo Caruso

Da Prato a Roma grazie alle sue attività “investigative” soprattutto contro Matteo Renzi, metà inquisitore e metà Clouseau. In lui si concentra il dramma dei vincitori che vorrebbero restare ancora tra gli sconfitti

Prendete un inquisitore con la frangetta, aggiungete un animatore di villaggi turistici, mescolatelo con un ex studente fuoricorso di destra, e avrete assemblato Giovanni Donzelli, il “commissario Donzelli”, un mezzo Piercamillo Davigo e un mezzo ispettore Clouseau. In una parola: il ballila. E’ toscano, di Prato, deputato e responsabile dell’organizzazione di FdI, il numero due del partito, vicepresidente del Copasir, coinquilino, a Roma, del sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro, l’anti Nordio al momento salvato da Nordio. Insieme, Donzelli e Delmastro, sono i “vitelloni” del 41-bis, quelli che “sappiamo cose sugli anarchici, la mafia… il Pd cosa dice?”. Possiedono entrambi informazioni “confidenziali” che però “sono pubbliche”, hanno provato a giustificarsi, salvo aggiungere che “basta fare un accesso agli atti”, insomma “nulla di secretato”, o meglio “non proprio pubblico, ma per un deputato è possibile…”. Capire se le informazioni divulgate da Donzelli alla Camera, vale a dire i dialoghi tra l’anarchico Cospito e i mafiosi detenuti al 41-bis, fossero “sensibili”, “confidenziali”, “riservate” è ormai una controversia da Accademia della Crusca.

 

L’unica cosa sicura è che per una manciata di ore Pierpaolo Pasolini, lo scrittore dell’“io so ma non ho le prove”, ha preso possesso del corpo del “commissario”. Il guaio di Donzelli è che lui le prove ce le ha, eccome, e si trovano tra la saliera e la moka di casa Donzelli-Del Mastro (citofonare). Non è vero che Donzelli sia chiamato “Minnie” e neppure il “Pipistrello”. E’ invece “l’onorevole accesso agli atti”, ed è uno specialista di fascicoli giudiziari, spese pubbliche, fino a questo fatale inciampo, il corpo del reato, la prova che in FdI anche i “professionisti” stanno vivendo giorni difficili.


Donzelli oltre a svolgere la funzione di “commissario” è infatti il fisico di Giorgia Meloni e conosce la formula dell’opposizione termodinamica che si compone di cinque leggi: 1) chiedere agli uffici dell’amministrazione pubblica l’atto che dimostra la malafede della sinistra; 2) sottoporlo al vaglio del giornalista; 3) sintetizzarlo con un comunicato; 4) spiegarlo in televisione; 5) attaccare e creare la linea del partito per concludere: “Noi di FdI siamo diversi”. Prima di essere eletto in Parlamento (alla sua seconda legislatura) ha svolto la sua “funzione ispettiva” a Firenze (consigliere comunale a 19 anni e poi regionale). Era l’uomo archivio. Donzelli possedeva le ricevute dei mutui della famiglia Renzi, gli scontrini al ristorante di Renzi, conosceva il numero di taxi che prendeva Renzi, gli alberghi dove alloggiava Renzi. Tutti i giornalisti che desideravano raccontare, e criticare, la rottamazione si rivolgevano a lui: “Vieni, e ti spiego io l’amministrazione Renzi”.

 

Ha sempre risposto alla stampa, argomentato con la più severa, ed è ipocrita scrivere ora di Donzelli come una macchietta dopo avere avuto centinaia di interviste sulla linea di FdI, sul pensiero della Meloni, sulla politica europea dei conservatori. A Firenze, il suo ufficio politico, la sua segreteria, equivaleva a un’agenzia di stampa. Perfino nell’arredamento la ricreava. Donzelli non ha solo lavorato “su” Renzi, ma anche “con” Renzi. Negli anni che hanno preceduto la sua “attività investigativa” sui bilanci del babbo Tiziano, il “commissario” era stato dipendente, strillone, della Speedy Srl, la società di famiglia dell’ex premier che distribuiva quotidiani e riviste. Lo ha rivelato lui: “Dalle 24 alle 3 vendevo i giornali freschi di stampa nei locali, poi li distribuivo ai semafori dalle 5 alle 8. Quindi restituivo le copie invendute. Era un lavoraccio”.


Esiste un Donzelli pre Donzelli militante del Fuan, Msi, An, Pdl, e infine FdI,  ed è il Donzelli animatore turistico per Torre Macauda, capo villaggio, responsabile delle risorse umane della società di animazione turistica Pepe Srl, speaker radiofonico a Radio New Flash, insegnante di pianoforte. E’ stato baby sitter come Giorgia Meloni e anche manovale di allestimento mostre. L’unico documento che non ha inserito nel suo cv, e nella sua dichiarazione reddituale da deputato, è il libretto da studente universitario. Iscritto a Lettere, ha poi cambiato per passare ad Agraria, indirizzo tropicale e subtropicale, dove ha superato ventinove esami su trentuno. All’università per irriderlo gli urlavano “a Donzé laureati”. Sarebbe stato afferrato, così ha garantito, da alcuni studenti di sinistra ed esposto dal terzo piano a testa in giù, tenuto per le caviglie: “Ho subìto di tutto ma ho sempre difeso le mie idee”. Donzelli vive ancora a Prato, nessuna auto dichiarata. A Claudio Bozza del Corriere della Sera ha confidato che la moglie Alessia l’ha incontrata e sposata grazie a Meloni. L’11 gennaio del 2003 decise di mandarlo in Abruzzo, al suo posto, per partecipare a un dibattito. Si sono incontrati in quella occasione. A Matteo Pandini di Libero, in un’intervista che vale quanto una biografia, aveva dichiarato che “i gay non possono invocare il diritto di avere bimbi, diventare genitori è al massimo un desiderio”. Pure lui, come Federico Mollicone, ha ingaggiato una contesa contro Peppa Pig.


Ha due figli. Ha perso il padre a 18 anni. Era commercialista e socialista mentre la madre farmacista comunale, di centrosinistra. E’ quella madre che “pianse” quando Donzelli le ha comunicato l’iscrizione all’Msi. Il nonno, come il padre, era socialista e antifascista. I toscani usano con frequenza il verbo “dirazzare” e si intende perdere il carattere della propria famiglia, cercare un’altra strada. Donzelli ha dirazzato. Da giovane aveva trovato il suo modello in Giorgio Almirante, poi in Gianfranco Fini, oggi nella Meloni. Si è fatto una famiglia oltre la sua famiglia. I Donzelli sono conosciuti a Firenze e non solo per Giovanni, ma per il loro essere mela spaccata. Niccolò, il fratello, è un commercialista, di idee renziane, ed è finito agli arresti, protagonista, suo malgrado, di un video che come dicono gli specialisti del web è “virale”. A “Porta a porta”, quando Maria Elena Boschi fece notare al Donzelli politico di non avere avuto la stessa sensibilità che lei stava mostrando per il Donzelli arrestato, il Donzelli politico rispose che “l’unica cosa che unisce la vicenda di mio fratello alle vicende che hanno riguardato Boschi è che la sua famiglia vota per il partito di Matteo Renzi e mio fratello pure, ha sempre votato per il centrosinistra”.


E’ senza dubbio un pessimo avvocato perché Donzelli è un formidabile inquirente. In televisione ha provato, e male, a difendere il suo collega Galeazzo Bignami, uno a cui ogni giorno della sua vita viene rimproverato un errore di cui si pente ancora, la sua fotografia vestito da gerarca (esiste il condono degli errori?). Donzelli, all’ennesima domanda della giornalista che mostrava la fotografia di Bignami, rispose: “Una volta pure io mi sono vestito da Minnie, vi sembro Minnie?”. Il successo lo deve a Michele Santoro che lo ha ospitato per la prima volta nel suo “Anno Zero”. E’ allora che riesce a farsi notare. Sfida la sinistra sulla riforma Gelmini, è un rompiscatole con potenzialità. Cominciano a chiamarlo le televisioni Mediaset. Si moltiplicano gli inviti, i collegamenti. In quegli anni a cavallo del 2010, si inventa una specie di Leopolda, ma di centrodestra. E’ l’animatore di “Dedalo”, il seminario politico dei giovani del Pdl, una tre giorni a Viareggio. Tra gli ospiti fissi Meloni, Gelmini, La Russa, Quagliariello, Gasparri, Lorenzin, Rotondi, la blogger Yoani Sánchez collegata da Cuba e lo scrittore Nicolai Lilin. E’ lì che conosce Gianluigi Paragone, a quel tempo conduttore, che lo porta a “La Gabbia”, una palestra di scervellati. Diventa un ospite quasi fisso di Mediaset, La7 e quando serve va personalmente a fare visita in redazione. Dice un giornalista toscano: “Sarebbe stato un ottimo inviato delle Iene se solo non fosse diventato un deputato grazie anche al suo lavoro stile Iene”.


Molte volte ci ha preso. Su Wikipedia, la sua biografia è un crescendo di successi: “Fra le sue prime denunce il caso Quadra”; “dopo essersi occupato del caso Forteto…”; “dal suo esposto è scaturito l’arresto del sindaco di…”; “ha denunciato nell’aula del consiglio regionale”. Da ragazzo usava il megafono mentre da consigliere regionale affittava i camion pubblicitari che utilizzava per la propaganda e le sue battaglie. E’ stato querelato dal padre di Luca Lotti e si è avvalso, come prevede la legge, dell’immunità regionale. Ricorda l’ex governatore della Toscana, Enrico Rossi, uno che non si capisce perché la sinistra abbia dimenticato che “Donzelli era famoso per tappezzare tutta la città con le foto di Agnese Renzi. Una volta entrò di prepotenza nella mia sede violando il domicilio. Un’altra volta ancora lasciò per stizza l’aula dopo il mio discorso sul Giorno della memoria, discorso applaudito anche dai suoi colleghi. E’ votato per i gesti futuristi, per fare opposizione e gli riesce benissimo ma nel caso di Cospito gli è scappata la frizione”.


Non si potrà mai capire Fratelli d’Italia, e dirigenti come Donzelli, senza ragionare sulla minorità, sul sentimento dell’esclusione. Quando Meloni andava ad Arcore a trovare Silvio Berlusconi si lamentava e diceva: “Ci tratti come figli di un Dio minore”. La prima frase che ha detto a Berlusconi quando ha vinto le elezioni è stata: “Adesso non siamo più figli di un Dio minore”. E’ una ganga di uomini e di donne, quella di FdI, che ancora non si è resa conto che quella loro personale guerra per essere accettati è finita e che oggi si possono permettere le carezze, il sorriso, un po’ di dolcezza. Hanno combattuto ed è vero. Ma adesso che hanno preso tutto, perché farlo ancora? Donzelli per essere candidato alle regionali si dice che sia rimasto a vegliare ben 48 ore sotto la sede di Denis Verdini, allora coordinatore del Pdl, e la spuntò ma venne candidato a Pisa anziché nella sua città. Renzi per prenderlo in giro gli regalò una piccola Torre di Pisa in miniatura e lo canzonava così: “Ma tu non dovresti occuparti di Pisa?”.


Donzelli si è dovuto fare largo anche all’interno di quella comunità di destra che a Firenze può vantare un professore come Mario Tarchi e un trascinatore come l’ex senatore di An, Achille Totaro chiamato il “piccolo duce di Firenze”, avversario interno di Donzelli. Gli amici veri sono Francesco Torselli, anche lui consigliere regionale, e poi Stefano Mugnai, ex deputato di Forza Italia. Ha potuto contare sulla simpatia di Maurizio Gasparri ma non è mai stato simpatico a Guido Crosetto, ed ora è ritenuto l’invasore di Roma dopo essere stato nominato commissario al posto di Fabio Rampelli. Donzelli si è trovato a gestire quello che nei partiti viene definito “il muro di gomma”, quel muro di richieste, preghiere, perché  si alza alle sette di mattina e perché gli si riconosce di essere infaticabile perfino da un simbolo della destra come Riccardo De Corato. Salta i pranzi e mangia barrette di cioccolato ascoltando tutte le compilation di Renato Zero. A Firenze si permetteva, ma raramente, qualche pasto al ristorante I Fratelli Briganti, il più delle volte solo tranci di pizza. Ha la passione per i libri gialli, i preferiti sono quelli di Gigi Paoli, responsabile per più di 15 anni della cronaca giudiziaria de La Nazione. Donzelli ha gusto nel vestire ma è il gusto di chi guarda velocemente la vetrina di una griffe e la ripropone con le stoffe economiche, popolari. I suoi maglioni a vita alta cosa sono se non un altro modo per difendersi anche fosse solo dal freddo?


Ha rivelato di aver rinunciato alla possibilità di fare il ministro – il posto che gli era stato offerto dalla sua leader era quello per i Rapporti con il Parlamento – perché preferisce fare l’agitatore, l’ardito, che è un po’ come nei giornali fare l’inviato, il giornalista che vuole stare sempre fuori dalle righe, esorbitare. C’è in Donzelli tutta la bellezza e il dramma di un partito che ha sfidato il mondo intero, che si è preso gli sputi di tutti. La sua, la loro, è l’epica dei maltrattati, coloro che non riescono a credere che sia finita, quelli che ora chiedono all’autista: “Accendi la sirena”, quelli che dopo una vita passata sotto il muro di cinta non riescono a entrare nel palazzo e sedersi in poltrona, stare a loro agio: “Sul serio, posso?”. Sono rimasti come le vedette del poeta Clemente Rebora: “Tu uomo, di guerra / a chi ignora non dire la cosa, ove l’uomo / e la vita si intendono ancora”. Furono felici solo allora quando erano i vinti, quando FdI era solo un partito del 4 per cento, quando si abbracciavano e ballavano per farsi calore, quando potevano permettersi di dire “ribalteremo il mondo. Vedrete, vedrete”. Ora che ce l’hanno in mano nulla è più triste che avere l’incarico di cambiarlo. Essere gli sconfitti della terra è la vera grazia che un uomo di destra chiede al cielo.

  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio