Il ministro per gli Affari regionali e Autonomie Roberto Calderoli (LaPresse)

Prima dell'autonomia, si decida cosa fare delle finanze regionali

Nicola Rossi

È necessario capire come il governo intende sostituire il gettito oggi derivante dall’Irap. E anche prevedere meccanismi in grado di associare alle crescenti competenze di alcune regioni un crescente grado di responsabilità delle stesse verso i cittadini

Non si dà una vera riforma fiscale – che contempli una apprezzabile riduzione della pressione fiscale – senza una autentica, incisiva (e, si dovrebbe aggiungere, difficile) attività di revisione della spesa. Ma senza una vera riforma fiscale, ogni tentativo di autonomia differenziata è destinato a riproporre il tema di fondo che ci accompagna dal momento in cui si pensò di dare concreta attuazione al dettato costituzionale istituendo le regioni a statuto ordinario. Quello di un trasferimento di competenze cui non corrisponde un trasferimento di capacità impositiva. Quello di un’autonomia che non è accompagnata da una concreta responsabilità fiscale. 

    
Ci perdonerà il presidente del Consiglio ma non è il presidenzialismo il naturale compagno di strada dell’autonomia differenziata. E non solo per l’evidente disallineamento nelle rispettive tempistiche di approvazione e attuazione dei provvedimenti di legge. Ma perché prima ancora che un equilibrio a livello dell’architettura istituzionale, è necessario un equilibrio fra la maggiore libertà di azione rivendicata da alcuni enti regionali e i maggiori oneri che a quella libertà di azione devono necessariamente essere connessi. Dal che consegue la stretta associazione fra il futuro percorso del disegno di legge che porta il nome del ministro Calderoli e la proposta di complessiva revisione del sistema fiscale che viene preannunciata per i prossimi mesi. Se non vogliamo ripetere gli errori già commessi in passato, la scelta dell’autonomia differenziata – che, a parere di chi scrive le regioni meridionali dovrebbero vivere come una sfida e non già come una condanna – dovrà essere accompagnata da una riforma del sistema fiscale che attribuisca agli enti regionali fonti proprie di entrata e una piena potestà fiscale sulle relative basi imponibili (a parità, ovviamente, di pressione fiscale complessiva). Non basta chiedere di poter gestire in autonomia le risorse già oggi appannaggio delle comunità territoriali – nella convinzione di poterlo fare con efficienza maggiore delle amministrazioni centrali – ma è assolutamente necessario che in buona misura quelle risorse derivino dalla attività impositiva delle stesse comunità territoriali che chiedono di poterne decidere la destinazione e l’utilizzo.

 
L’ipotesi di riforma fiscale avanzata dal precedente governo prevedeva, com’è noto, il “superamento” dell’Irap
. Un evento che – stante la irragionevolezza e incomprensibilità di quella imposta, ormai ridotta a un simulacro di se stessa – non potrebbe essere che benvenuto. E’ lecito (e auspicabile) presumere che l’attuale governo non voglia essere da meno del suo predecessore. Se così fosse potremmo anche ritrovarci, nel corso del prossimo anno, nella paradossale situazione di prevedere l’ampliamento delle competenze di alcuni enti regionali, limitandone contestualmente il grado di responsabilità. La premessa per un nuovo disastro. Prima, quindi, di varare il testo sulla autonomia differenziata sarà necessario capire come il governo intende sostituire il gettito oggi derivante dall’Irap o, più in generale, quale configurazione si intende dare alla finanza degli enti regionali. Perché non sarà solo necessario fare fronte al minor gettito derivante dall’eventuale abolizione dell’Irap ma bisognerà anche, nel quadro della riforma fiscale, prevedere meccanismi in grado di associare alle crescenti competenze di alcune regioni un crescente grado di responsabilità delle stesse verso i cittadini. Se possibile anche ipotizzando – come già è stato suggerito da Serena Sileoni – modalità di regionalizzazione limitata e sostenibile del debito.

  
Le regioni che rivendicano la loro maggiore efficienza e che, di conseguenza, rivendicano la possibilità di offrire servizi oggi offerti dalle amministrazioni centrali vanno prese sul serio. Ma non solo a parole. Nei fatti. Se la loro rivendicazione è fondata non dovrebbero avere difficoltà a sopportarne le conseguenze e a conquistare la fiducia dei propri i cittadini: in quanto utenti dei servizi ed in quanto contribuenti. Così come non dovrebbero avere difficoltà a segnalare concretamente ai cittadini delle altre regioni che il loro impegno è credibile. Insomma, anche per l’autonomia differenziata dovrebbe valere il principio che non ci sono pasti gratis. Un governo che – coraggiosamente e giustamente – ha affermato questo principio nei confronti dei beneficiari del reddito di cittadinanza abili al lavoro non dovrebbe avere difficoltà ad affermarlo nei confronti di una delle articolazioni dello stato.