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Cambiano il lavoro, i consumi, l’idea del lusso. E il laburismo che fa?

Giuliano Ferrara

La crisi del Pd e la necessità di riformularsi e perdere la polvere novecentesca. Perché niente consente a sinistra di richiamare in forme nuove e diverse il vecchio orizzonte della lotta di classe 

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La versione più accreditata è che il Pd si è spostato a destra, ha trascurato le fasce deboli della popolazione, il mondo del lavoro dipendente e precario, ha scelto un profilo di establishment più o meno eurocratico, tecnocratico e di palazzo, si è assoggettato alle categorie pratiche e concettuali del liberismo e della globalizzazione, ha privilegiato lo spirito manovriero e di governo sull’insediamento e l’attivismo sociale. Per questo ha perso identità e senso, anche al di là del risultato elettorale, per questo gli serve, se voglia riscattarsi, il solidarismo delle origini della sua componente cattolica democratica e un’infusione di laburismo con venature antiliberiste e anticapitaliste, il tutto sotto il manto angelico dei diritti come politica generale e dell’ecologia intinta in un catastrofismo ideologico-climatico. Dulcis in fundo, la famosa questione morale.

   

Lo scrittore Maurizio De Giovanni ha abbandonato il comitato per la ricostruzione del partito dichiarando che per la prima volta i poveri hanno votato a destra e i ricchi a sinistra, che bisogna invertire la rotta decisamente e trovarsi un capo che renda visibile l’inversione, che occorre una politica di parte e non un partito della nazione o pigliatutto (libera ricostruzione sommaria).

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Una minima parte di verità in questa diagnosi non si può disconoscere. Se l’europeismo è sensato e non ha alternative per nessuno, la retorica euromisticheggiante, professorale, tuttofare, è bolsa, non parla alle menti e ai cuori del paese reale, non è competitiva con la tigna vagamente e grossolanamente patriottica dei leader della destra. Se il Papa è pacifista, la sinistra pro Ucraina sembrerà un’appendice della Nato. Se i tuoi apparati viaggiano sulle ali della comunicazione sociale, più o meno prigionieri del sistema ferragnez, l’insediamento e l’attivismo sociale diventano un flatus vocis, un gargarismo territoriale. La destra ha i suoi territorialismi, i suoi classismi, il suo radicamento demagogico ma non per questo meno reale nelle piccole imprese e nelle partite Iva, ma si mette in sintonia con un senso comune italiano, antitasse e praticone, che intercetta anche il voto dei lavoratori dipendenti blandamente puniti dagli effetti della sua prima manovra di bilancio.  

       

L’altra pare della verità è più cospicua, però. I sindacati scioperano di venerdì sacrificando all’idolo del weekend, e salvo il loro ruolo istituzionale prezioso, sopra tutto in difesa della rendita pensionistica per quanto squilibrata, non hanno più molto da dire, come la Confindustria, del resto, che è ormai una round table di contrattazione mediocre, senza una visione del paese come una volta; niente consente a sinistra di richiamare in forme nuove e diverse, in un quadro laburista che è impensabile senza il sostegno e il contributo dei sindacati, il vecchio orizzonte della lotta di classe.

Orlando eterno ministro del Lavoro, Provenzano eterna giovane promessa e Cuperlo poeta decadente del futuribile sociale chiacchierano di radicalizzazioni varie, ma sanno benissimo che pauperismo non è sinonimo di laburismo, che il lavoro di cui parla la Costituzione non c’è più, dunque esiste e non esiste il fondamento ideologico della Repubblica del ’48, sanno che la malinconia tipo Censis ha sostituito la rabbia sociale, che il lusso è un ideale interclassista, che in un paese con questo grado di patrimonializzazione, e non solo del ceto medio, proporre una vera patrimoniale come obiettivo generale è un modo di tagliarsi le palle dal punto di vista del consenso, allora sì che la rabbia sociale si farebbe sentire. Se cambia il lavoro, cambiano i consumi, cambiano i modelli di riferimento, con il trionfo del diritto al lusso e alla moda, via, è chiaro che il laburismo deve riformularsi e perdere la sua polvere novecentesca.

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