Il caso

Manovra, opposizioni divise: Conte e il Pd già litigano sulla piazza. E Meloni gongola

Simone Canettieri

Il capo del M5s punta a una mobilitazione come quella per la pace, ma a difesa del Reddito. Letta: un evento il 17 dicembre, senza Reddito al centro. Calenda si sfila

Giuseppe Conte punta al bis. A un’altra mobilitazione, come quella del 5 novembre, per la pace. Solo che questa volta a difesa del Reddito di cittadinanza. Enrico Letta ha già convocato una tre giorni di mobilitazione contro la manovra, con appuntamento finale in piazza il 17 dicembre. Carlo Calenda questa mattina presenterà la sua contro Finanziaria da modificare in Aula. La Cisl è pronta al dialogo con il governo, la Cgil è in attesa, la Uil è critica. Le Acli sembrano stare con Conte. Davanti a questo scenario così frastagliato si capisce perché Giorgia Meloni non tema la piazza. E nemmeno le opposizioni: “Non condivido, ma fanno il loro lavoro”, dice in conferenza stampa. Salvo ricordare che “il Pd votò contro la prima versione del Reddito”.  

  
Inseguendo le parole, Conte e i 5 Stelle sembrano quelli più netti e combattivi: “Non permetteremo un massacro sociale. Alzeremo un muro”. Enrico Letta, con un congresso che gli incombe   alle spalle, è stato il primo a preparare l’adunata anti Meloni. Ma vuole incentrare la protesta in piazza, oltre che quella della proposta in Parlamento, sul cuneo fiscale, sulle imprese e le famiglie. Visto che non è difensore tout court della misura bandiera dei grillini: “Il sostegno ai poveri va bene, ma qualcosa non ha funzionato nelle politiche attive per il lavoro”. Insomma, Meloni è consapevole che difficilmente si creerà un blocco sociale ampio e compatto contro di lei.

  

Ci saranno più piani di discussione. Conte, il più agguerrito, dice di voler “sensibilizzare l’opinione pubblica nel segno della giustizia sociale e della difesa delle fasce più deboli della popolazione piuttosto che marcare una mera difesa d’ufficio di una riforma targata Movimento 5 Stelle”. Sarà anche così, certo. Per ora  però non pare intenzionato a prendere parte all’appuntamento organizzato dal Nazareno. “Un modo - dicono i parlamentari vicini all’Avvocato del popolo – solo per occupare uno spazio e dire siamo arrivati prima”. Sicché nel bel mezzo della prima manovra meloniana si innesta le meccanica delle opposizioni. La ricerca di un fronte rossogiallo che ormai si è spappolato, i distinguo, i rancori e soprattutto gli strascichi di un’alleanza che non decolla (come dimostrano le prossime regionali nel Lazio e in Lombardia).

  

La posizione del Pd sul Reddito di cittadinanza diventa subito, per certi versi, tesi congressuale. Che fare? Andrea Orlando, per esempio, coglie la palla al balzo. E rilancia “un patto tra le opposizioni, con tutti quelli che ci stanno, proprio dopo una manovra come quella presentata dal governo”. L’ex ministro del Lavoro la definisce “una manovra non improvvisata, ma lucidamente reazionaria”. Ecco perché la sinistra del Pd prova a prenderla alla larga per non far bruciare tutta la carne al fuoco con i grillini. “Si può individuare un terreno comune di proposta alternativa che non prefiguri automaticamente alleanze strutturali o cose del genere: separiamo i piani per evitare che si ricominci con il gioco di veti, con quello sì e quell’altro no”. E qui entra in campo Calenda, pronto alla controproposta pragmatica su numeri e provvedimenti al documento meloniano. Con un’avvertenza a Letta e al Pd: non inseguite i grillini, lavoriamo insieme a un documento. Se a questo si aggiunge la posizione della triplice sindacale, abbastanza disunita, si torna alla premier. Meloni lavorando sulla fine del Reddito ha messo in conto “un calo di consensi”, specie al sud, a favore magari dell’occhiolino dei ceti produttivi.

  

E tutto accade mentre Pd e M5s iniziano già a litigare sulla piazza e sul senso di un’iniziativa. I dem rinfacciano a Conte di “concentrarsi solo sul Reddito”, il capo dei grillini dice agli ex alleati che “hanno dimenticato i poveri”. Un derby. Uno scenario ideale per il governo. Che, al netto dei possibili problemi di ordine pubblico su cui il Viminale tiene le antenne dritte, sembra intenzionato ad andare dritto. Costi  quel che costi. La premier si specchia nella sua coerenza: “Ho preso i voti dicendo che abolivo il Reddito”. L’opposizione si guarda allo specchio e si vede frammentata. “Di questo passo – si sfogava l’altro giorno un deputato dem di Roma – Giorgia governerà cinque anni rinnovabili”.

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.