le riforme del governo

Calderoli accelera sull'autonomia e manda in tilt sia FdI sia il Pd

Valerio Valentini

Il ministro leghista detta un nuovo calendario per le riforme. Obiettivo: accontentare Zaia e dare una mano a Fontana in vista delle regionali. Ma i meloniani brontolano: "Non è questa la priorità, prima serve il presidenzialismo". Il gioco di sponda coi dem, dove Orlando ne approfitta per fare uno sgambetto a Bonaccini

Fabio Rampelli dice “l’autonomia differenziata si farà”. Poi, in uno sbuffo, quasi si corregge, il pretoriano di FdI. “Si potrà fare”. A patto che? “A patto che si proceda prima a una riforma costituzionale di segno semipresidenziale, magari sul modello del sindaco d’Italia, per rafforzare i poteri dello stato centrale”. E allora prosegue, Rampelli, agitando le ragioni di chi ha già visto “la confusione generata dalla revisione del Titolo V”, e dunque ribadisce che “la ridefinizione di prerogative e competenze va fatta con attenzione”. Solo che le buone ragioni meloniane rischiano di non essere le stesse che avanza il ministro Roberto Calderoli, quando spiega che “il primo deciso passo verso l’autonomia va segnato entro il 2023”. E così attorno a questo argomento ormai logoro e fumoso al tempo stesso, ecco che già prende ad agitarsi una strana danza di posizionamenti che coinvolge anche le opposizioni, e il Pd anzitutto, tra frenatori e facilitatori, tra autonomisti e no.

Calderoli, in realtà, finora ha dissimulato la calma sorniona di chi non vuole ingenerare sospetti. “Al discorso sulla fiducia alla Camera mi sono presentato con una cravatta con su degli elefanti proprio per dire che l’autonomia è una riforma pachidermica”. E per un po’ è sembrato anche credibile. Poi però, quando ai governatori è arrivata la bozza di un disegno di legge tutt’altro che embrionale, qualcuno, specie al sud, s’è allarmato. E non solo a sinistra, se è vero che anche dal ministro Francesco Lollobrigida, capodelegazione di FdI e mente pensante del melonismo di governo, è stato sentire dire che “le priorità degli italiani oggi  sono chiare”. E tra queste, era il sottinteso della frase, l’autonomia non c’è.

Non dappertutto, almeno. Luca Zaia, in effetti, tornando da Roma, giorni fa, ha garantito di aver detto, a Matteo Salvini, di confidare nel fatto che “il prossimo anniversario del referendum sull’autonomia, il sesto, non dovrò chiedere ai veneti ancora pazienza”, come già fatto nei precedenti cinque. Significa che la scadenza è fissata al 22 ottobre? Calderoli in realtà qualcosa, per quanto  simbolico, vorrebbe portarlo a casa già prima. Perché a primavera si vota in Lombardia, e quello dell’autonomia è un tema che il ministro peri gli Affari regionali è convinto di poter agitare in campagna elettorale. Per questo  ha convocato per domani una riunione straordinaria della Conferenza stato-regioni, per “iniziare a illustrare” un disegno di legge che, garantisce lui sempre per mostrarsi rassicurante, è ancora “fluido”, ovvero aggiornato continuamente per accogliere richieste e osservazioni dei vari interlocutori coinvolti. Venerdì, poi, il sottosegretario alla Presidenza, Alfredo Mantovano, terrà un incontro più politico, più ristretto, sullo stesso tema: segno che, dietro l’apparente indolenza del “dentista”, come viene chiamato Calderoli nel Carroccio, c’è un tentativo di accelerare.

Dimostrato anche da certe dichiarazioni polemiche del ministro (“Puglia e Campania? La loro opposizione al progetto è puramente ideologica”) e dal fatto che, da quel che lascia intendere nei suoi colloqui, l’ex vicepresidente del Senato vuole seguire il sentiero più breve, tra quelli possibili, per raggiungere la meta. L’autonomia infatti può essere attuata con dei protocolli d’intesa firmati dal governo con ciascuna delle regioni che fanno richiesta di poter gestire in proprio alcune competenze, con le relative risorse. Teoricamente, si possono realizzare decine di “autonomie” diverse, in base agli accordi che le giunte trovano con Palazzo Chigi. La richiesta di chi paventa strappi consiste in una legge quadro che definisca  i Livelli essenziali delle prestazioni (i Lep), insomma una specie di fondo perequativo che eviti di acuire le differenze tra regioni ricche e regioni povere. Ma Calderoli, da vecchia volpe, va ripetendo da giorni che lui, nel procedere verso l’autonomia differenziata, non farà altro che seguire i dettami di un riforma costituzionale voluta, nel 2001 dal centrosinistra.

Dimostrando dunque di sapere bene che, più delle divisioni partitiche, contano quelle territoriali, che si riproducono speculari all’interno di ciascuna coalizione. E sembra insomma averle quasi sentite di persona, Calderoli, le parole allarmate con cui Piero Fassino, giorni fa, in una riunione di partito, avvertiva che “il Pd non può affrontare il tema dell’autonomia solo con l’atteggiamento difensivo di chi ha paura”, altrimenti “tanto vale non presentare neppure le liste per le prossime amministrative nei capoluoghi del nord come Treviso”. Il tutto mentre Andrea Orlando già pregusta la difficoltà che Stefano Bonaccini incontrerà nel raccogliere consensi al sud, “dove larga parte della sfida congressuale passerà anche per le posizioni dei candidati sul tema dell’autonomia”. Malizia non del tutto infondata, se è vero che anche tra i riformisti dem che vogliono sostenere il presidente emiliano, il quale resta sempre in procinto di entrare nell’agone per la segreteria, c’è chi ha messo in guardia sui rischi di un cortocircuito da Roma in giù sull’argomento.

Posizionamenti caotici, dunque. Che pure avranno un peso, laddove si arrivasse davvero a discutere seriamente di autonomia in Parlamento. Perché, a norma di costituzione, il disegno di legge per concedere maggiori poteri alle regioni che li richiedono va approvato alle Camere con maggioranza assoluta. E già sembra di vederli, a Calderoli, quei manipoli di senatori campani e pugliesi che si assentano strategicamente, al momento del voto. Per questo, nelle intenzioni del ministro, uno che come pochi ha saputo tessere legami trasversali in questi anni, c’è l’idea di cercare sponde anche nelle opposizioni. E chissà che allora non inizino anche i ministri di FdI a chiedere incontri ai parlamentari del Pd decisi a contrastare Bonaccini.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.