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Cronaca di una sera con Gualtieri

Altro che vendetta sul Pd, il talento di D'Alema è la memorialistica

Salvatore Merlo

Quando l'ex presidente del Consiglio molla la maschera del Conte (nomen omen) di Montecristo, quando cioè rinuncia al talento sabotatore e alla sua ormai eterna vendetta nei confronti del Pd, ecco che diventa spiritoso. Brillante. Quasi magnetico

Galleria Esedra, a un passo da Termini. Di fianco alla vetrina del vecchio bar Dagnino, insomma affacciati sulle cassate siciliane, una sessantina di teste canute attendono. Si ferma una Volkswagen, scende Massimo D’Alema. Ne arriva un’altra. Più grossa. Con i finestrini oscurati. Si apre lo sportello. Non scende nessuno: è Roberto Gualtieri. E bisognava proprio venire alla presentazione di un libro del suo maestro D’Alema (“A Mosca l’ultima volta”, la storia di un viaggio in Russia con Berlinguer) per vedere il sindaco di Roma. Le altre rare occasioni di appurarne l’esistenza fisica, e per così dire materiale, sono in genere quando il sindaco suona la chitarra per Vasco Rossi o quando fa gli auguri (in portoghese) al presidente brasiliano Lula. Battuta che circola: “Ma il ballottaggio a Roma quando finisce?”. Eppure eccolo Gualtieri, esiste. Eccolo con Luciana Castellina e D’Alema. Aiutati da Luca Telese, i tre discutono del Pci. Parlandone da vivo. Insomma come se il Partito comunista esistesse, pressappoco come pare esista anche Gualtieri. E mentre ne parlano, ogni tanto si confondono pure (“... come ben vedete questi sono tutti i limiti del ‘Pd’ che ha dimenticato le politiche sociali... ehm... volevo dire del Pci”). Perché D’Alema ha rieditato questo libro su Berlinguer, scritto vent’anni fa, accompagnandolo con una nuova prefazione che usa il Pci  per parlare – in realtà – del Pd. Insomma di oggi. Di qui e di ora.

 

“Il riformismo ha assunto un significato radicalmente rovesciato rispetto alle origini”, dice. “La sinistra democratica appare come garante dello status quo. Non è sorprendente che il suo messaggio arrivi ormai quasi esclusivamente al mondo della borghesia urbana”. Come si risolve? Tornando al socialismo con Giuseppe Conte, è all’incirca la risposta che già conosciamo. Eppure, non appena D’Alema smette di fare D’Alema, quando molla la maschera del Conte (nomen omen) di Montecristo, quando cioè rinuncia al talento sabotatore e alla sua ormai eterna vendetta nei confronti del Pd, ecco che diventa spiritoso. Brillante. Quasi magnetico. Come quando, strappando sorrisi al pubblico, racconta del quadro naïf che Luigi Longo aveva comprato a Madrid sotto le bombe della guerra civile spagnola, il quadro che poi s’era portato dietro, in un fagotto, per tutta la guerra mondiale. O quando descrive lo stupore dei sovietici che si ritrovano un aereo proveniente da Roma al cui interno, insieme, quasi in un’unica delegazione inviata ai funerali di Andropov, c’erano Pertini, i membri del governo, due cardinali inviati dal Papa, e pure i rappresentanti del Pci. L’anomalia italiana. “Scusate se mi abbandono all’aneddotica”, dice D’Alema prima di tornare alla vendetta sul Pd. Eppure è a questo che dovrebbe forse dedicarsi, finalmente guarito da se stesso: al racconto. La catarsi.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.