Giorgia Meloni (Ansa)

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Tagliare il Reddito di cittadinanza è più complicato del previsto. Meloni e i conti con la realtà

Lorenzo Borga

Il problema principale è che il sussidio viene percepito dai nuclei familiari, e non dagli individui. Bisogna poi considerare che ci sono famiglie con anziani o minori a carico, oltre quelli che proprio non possono lavorare. Le promesse e gli slogan elettorali adesso si scontrano con la realtà. I numeri

La maggioranza che sostiene il governo di Giorgia Meloni è stata eletta con la promessa di “sostituire” il reddito di cittadinanza. Il programma di Fratelli d’Italia parlava perfino di “abolirlo”, per introdurre una misura che tutelasse solo chi effettivamente non può lavorare.

Ora le promesse elettorali fanno i conti con la realtà. Tagliare il reddito di cittadinanza, da cui dipendono più di un milione di famiglie residenti in Italia, si sta dimostrando più complicato del previsto. Anche perché Giorgia Meloni nel suo discorso di insediamento ha promesso che chi è “effettivamente fragile” e “non in condizione di lavorare” manterrà il sussidio: si tratta – ha affermato la premier – di “pensionati in difficoltà”, “invalidi” e “chi è privo di reddito e ha figli minori di cui farsi carico”. Categorie già indicate anche nel programma elettorale di Fratelli d’Italia. Tutti gli altri, a cercarsi un lavoro.

 

Ma i numeri, appunto, si scontrano con gli slogan. Il problema principale che riscontrerà l’esecutivo è che il sussidio viene percepito dai nuclei familiari, e non dagli individui. Un bastone tra le ruote per chi vuole togliere l’aiuto ai beneficiari che teoricamente sono abili al lavoro, visto che così facendo si potrebbero lasciare in difficoltà le famiglie di cui fanno parte. Per questo motivo non si può dire – come hanno scritto diversi quotidiani – che ammontano a 660mila i percettori a cui potrebbe essere tolto il reddito di cittadinanza, perché abili al lavoro. Questo numero deriva dall’ultimo rapporto di Anpal. Si tratta dei beneficiari indirizzati ai servizi per il lavoro – che cioè non sono inviati ai servizi sociali, perché minori, inabili al lavoro, invalidi, o con carichi familiari troppo impegnativi – esclusi chi un lavoro già ce l’ha (ma guadagna poco) e chi viene rimandato ai servizi sociali. Ma di questi percettori non conosciamo le famiglie: non sappiamo con chi convivono, se hanno figli minori. Se li venisse revocato il reddito di cittadinanza, queste persone che fine farebbero?

 

Basta leggere l’ultimo bollettino mensile dell’Inps per fare qualche conto. Partiamo dagli anziani: i pensionati che ricevono la pensione di cittadinanza (il corrispettivo del reddito per gli ultra 67enni) erano a settembre 136.138. Oltre a questi andrebbero aggiunti i nuclei che al loro interno comprendono anche un anziano, magari un nonno o una nonna che convivono con il resto della famiglia. Ci sono poi gli invalidi, e soprattutto – per consistenza – le famiglie con minori. L’Inps stima che nel 43 per cento delle famiglie che ricevono il sussidio ci siano minorenni e/o persone disabili. Non sappiamo a quante persone corrispondano, molto probabilmente si arriva a circa 1 milione e mezzo di individui. Vale a dire due percettori su tre. Se davvero il governo Meloni non toccherà il reddito di cittadinanza a questi beneficiari, sarebbe ottimistico pensare di ricavare più di un miliardo di euro dall’operazione (la misura nel 2021 ne è costata 8,8).

 

Per ora Giorgia Meloni non scopre le carte. Nel corso della sua ultima conferenza stampa ha affermato che la discussione è “rinviata” alla legge di bilancio, e che ogni cambiamento sarà prima discusso con i sindacati. Non la pensa evidentemente così il suo scalpitante alleato Matteo Salvini che negli ultimi giorni si è lanciato in un annuncio spericolato: “per andare in pensione a 61 anni con 41 di contributi secondo i calcoli dell’Inps serve poco più di un miliardo, lo recuperiamo sospendendo per sei mesi il reddito di cittadinanza a 900mila percettori”. Un’uscita smentita dallo stesso ministro dell’Economia Giorgetti (della Lega), che ha annunciato che ogni misura – soprattutto in ambito pensionistico – andrà finanziata con risparmi provenienti dallo stesso ambito.

 

Rendere più efficiente il reddito di cittadinanza si può, spingendo alcune decine di migliaia di persone a cercare un’occupazione. Basterebbe copiare altri paesi europei che hanno introdotto prima dell’Italia una rete di protezione contro la povertà e alleggerire la perdita del sussidio quando si guadagna reddito da lavoro. In sostanza chi oggi prende il reddito di cittadinanza e incassa dei soldi grazie a un lavoro – sia che si tratti di una nuova occupazione, sia che riceva un aumenta se già lavora – perde lo stesso ammontare di sussidio. Questo scoraggia i percettori a trovare un’occupazione, o alla peggio li spinge a lavorare in nero. Per evitarlo si può introdurre un décalage di perdita del sussidio all’aumentare del reddito da lavoro, come indicato dal comitato scientifico voluto dal governo Draghi le cui proposte sono rimaste lettera morta.