Le capriole balneari di Meloni e Santanché: tra conflitto d'interessi e pasticci normativi. Occhio al Pnrr

Valerio Valentini

La responsabile del Turismo, proprietaria del Twiga, cerca scappatoi per evitare accuse d'incompatibilità. Palazzo Chigi si prende le deleghe sulle spiagge: ma a promuovere la riforma del settore, non più tardi di febbraio, dovrà essere proprio la ministra di FdI. Le scadenze del Recovery da non mancare, e il rischio di un cortocircuito legislativo. Tutto per non ammettere che forse occorreva un'altra ministra del Turismo

Liquidando le polemiche sul conflitto d’interessi, Giorgia Meloni l’ha scelta come ministro del Turismo. Del resto Daniela Santanchè si mostrava risoluta: “Cedere le quote del Twiga? Quando mai. Semmai, quando si discuterà di balneari uscirò dal Cdm”. Dunque tutto deciso: il ministro del Turismo è lei, la senatrice di FdI e proprietaria del  beach club della Versilia. Solo che poi la premier deve averci ripensato: lasciare che a gestire la  messa a gara delle concessioni balneari fosse la proprietaria di uno stabilimento balneare, è parso poco opportuno. E dunque, ecco la trovata: trasferire le deleghe sulle spiagge a Palazzo Chigi. Peccato che lo stratagemma crei un attrito normativo con la legge di riferimento sugli stabilimenti balneari. E quindi forse occorrerà una scappatoia  più ardita: cambiare la legge. Tutto pur di non ammettere che la soluzione più facile sarebbe stata un’altra: indicare un altro ministro del Turismo.

  

La legge  sulla Concorrenza parla chiaro. All’articolo 4, quello che assegna al governo la delega per il riassetto del mercato balneare, si legge che i “decreti legislativi volti  a  riordinare  e  semplificare  la  disciplina  in materia di concessioni demaniali marittime” andranno presi “su  proposta  del  ministro  delle Infrastrutture e  del ministro  del Turismo”. Insomma, dovrà essere proprio Santanchè, insieme a Matteo Salvini, a farsi promotrice della riforma. E non a caso è con l’ex responsabile del Turismo, il leghista Massimo Garavaglia, che la Commissione europea aveva mantenuto il canale diplomatico in merito all’attuazione della direttiva Bolkestein. Bruxelles aveva richiesto dei chiarimenti sulla normativa in fase di applicazione entro il 12 settembre, prima che Garavaglia chiedesse una proroga, rimettendo tutto nelle mani del suo successore.

  

Santanchè, in teoria. Che certo forse un po’ in imbarazzo sarebbe davvero, ad avviare la messa gara delle concessioni balneari e a rideterminarne (verosimilmente al rialzo) i canoni: non fosse altro perché il Twiga della neo ministra, ad agosto, ha bonificato 26 mila euro in favore di FdI, ben più dei 17 mila che ogni anno lo stabilimento della Versilia, con un fatturato da quasi 6 milioni nel 2021, versa allo stato. E forse  anche per questo le deleghe sulle concessioni balneari vengono ora portate a Palazzo Chigi. Ma che fare con l’articolo 4 della legge sulla Concorrenza? In FdI c’è già chi prospetta un’ulteriore capriola normativa: “Si può sempre intervenire per togliere al ministero del Turismo  l’iniziativa legislativa sul tema”. Cosa, per quanto bizzarra, comunque fattibile, in teoria. Ma non senza incognite sui tempi.

  

Perché la legge sulla Concorrenza va attuata interamente entro il 31 dicembre: così impone il Pnrr. C’è chi obietta, in modo un po’ capzioso, che la messa a gara degli stabilimenti balneari non rientra tra gli impegni specifici presi con la Commissione. Il che è vero. Com’è vero, però, quel che alcuni dei tecnici della cabina di regia sul Pnrr fanno notare: e cioè che sarebbe un brutto segnale nei confronti di Bruxelles se, nell’attuare un pacchetto di norme che libera il mercato dai vincoli delle rendite di posizione, si trovasse il cavillo per perseverare nella tutela della conservazione in un settore su cui, peraltro, l’Italia è sotto procedura d’infrazione europea da anni. E per un governo ansioso di trovare credito in Ue, non sarebbe  una mossa saggia.

  

Certo, per Meloni tutto ciò imporrebbe l’ennesima abiura. Perché della liberalizzazione delle concessioni balneari la leader di FdI ha sempre parlato come di “un esproprio”. Di più: “Uno scempio, una vergogna”. A gennaio scorso è arrivata perfino a fare ricorso presso la Consulta, vedendosi ovviamente bocciare l’istanza. Senza che questo, però, la facesse recedere dal suo convincimento, se è vero che ancora nei giorni scorsi, in un’intervista a Bruno Vespa, la premier ha detto che in Europa “vogliono costringere noi a fare le aste per le assegnazioni nel 2023, mentre altri paesi hanno prorogato le concessioni. Per me questa disparità è incostituzionale”. Evidentemente l’esaltazione del “merito” vale solo per rinnovare l’intitolazione di un ministero e alimentare la polemica politica: poi, nella realtà, Meloni preferisce premiare la rendita.

  

Ma quando anche si decidesse di snobbare le direttive europee, ché qui ormai la pacchia è finita, resterebbe comunque l’obbligo di avviare le gare per le concessioni balneari entro febbraio. La legge sulla Concorrenza, approvata a fine agosto, dava infatti al governo sei mesi di tempo per attuare la delega. E poi c’è la sentenza del Consiglio di stato, che determina la scadenza di tutte le concessioni entro la fine del 2023. Insomma, in ogni caso bisogna intervenire in tempi rapidi. E, se si vuole ridefinire le competenze legislative nel governo, togliendole al ministero del Turismo per assegnarle a Palazzo Chigi, occorre essere svelti, ed evitare cortocircuiti normativi. O magari sarebbe più saggio ammettere che è stato un errore assegnare proprio quel ministero a Daniela Santanchè. E rimediare.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.