"Covid, giustizia, economia. Perché Meloni deve cambiare idee, per governare". Parla Cattaneo (FI)

Valerio Valentini

"Sull'ergastolo ostativo ha dovuto riconoscere che noi avevamo ragione e lei torto. Bene. Sulla pandemia, seguirei la linea Mattarella: attenzione a non cedere all'ideologismo, ora FdI non è più all'opposizione". L'intervista al capogruppo azzurro alla Camera, che avverte: "Basta veti. La responsabilità del Cav. non può essere l'alibi per l'arroganza dei nostri alleati"

La chiacchierata che si presumeva finalizzata a rimproverare quello che non va, nel rapporto con Giorgia Meloni, parte invece con un tono di soddisfazione. “Perché sull’ergastolo ostativo la premier ha di fatto riconosciuto che noi di FI avevamo ragione e che FdI aveva torto”. Alessandro Cattaneo la conosce bene, la vicenda. Era tra i banchi di Montecitorio, l’attuale capogruppo azzurro alla Camera, quando nel marzo scorso si approvò un provvedimento – poi rimasto monco per via della fine anticipata della legislatura – che in sostanza accoglieva le osservazioni della Consulta. I meloniani si astennero, parlarono di un mezzo favore alle mafie. “Oggi, come primo atto, il governo recupera pedissequamente quel testo”. Ravvedimento positivo? “La materia è complessa. Certo che chi sbaglia deve pagare, e quando si parla di criminalità organizzata non si scherza. Ma la pena va improntata a principi di umanità e di rieducazione. E siamo rassicurati dal vedere che la nostra linea garantista diventa la linea del governo”. Così non è, o non del tutto almeno, sul Covid. “E questo in effetti un po’ ci preoccupa”.

Preoccupa, a ben vedere, anche alcuni presidenti di regione, anche di centrodestra, che hanno fatto arrivare fino a Palazzo Chigi le loro rimostranze rispetto a una svolta aperturista un po’ azzardata. “Bisogna essere seri”, dice Cattaneo. “Dare un segnale di distensione, ora che la pandemia sembra mordere con meno ferocia, è giusto”. E però? “E però va mantenuta una ragionevole cautela, e occorre evitare di lanciare dei messaggi che sembrano denunciare un cedimento all’ideologismo. Francamente eliminare anzitempo l’obbligo di mascherine negli ospedali e nelle Rsa non mi sembra un trionfo della libertà, ma un atto poco responsabile nei confronti degli anziani e dei fragili”.

Eppure forse è fatale che, dovendo seguire un percorso di continuità obbligata sul terreno economico, sui temi laterali la Meloni cerchi allora di marcare una diversità. “Ma in questo voler rivendicare la propria identità, nel cercare di difendere ancora le tesi sostenute quando FdI era all’opposizione, si rischia di giocare col fuoco. Perché col Covid non si scherza, come ha ricordato opportunamente anche il presidente Sergio Mattarella. Dopodiché, mi chiedo: affidarsi a medici che non credono nella scienza e nei vaccini non è un po’ come commissionare un progetto a un ingegnere che non riconosce la forza di gravità?”. Del resto la Meloni non ha mai citato la parola “vaccino”, nei suoi discorsi d’insediamento alle Camere. “Noi di FI, in questo senso, siamo orgogliosi di avere sempre sostenuto la linea del buon senso”. Ed è un caso che le maggiori tensioni tra FI e FdI in questi giorni siano gravitate intorno alla figura di chi, come Licia Ronzulli, più di altri ha mostrato intransigenza sulla lotta al Covid? “Voglio sperare di no. Perché la linea di Licia è la linea della scienza. Oltreché quella del Quirinale”.

Continuità, si diceva. Covid a parte, il paradosso pare evidente: la Meloni, che era l’unica all’opposizione di Draghi, ora esibisce il maggior tasso di draghismo. “E questo sta a dimostrare che governare è un’arte complessa. Ben più complessa del fare opposizione. Ma qui non starei a rimproverare abiure e paradossi: anzi, mi rassicura che su molti dossier si stia realizzando quella transizione senza traumi che noi di FI avevamo chiesto”.

Sul campo economico, ad esempio. La legge di Bilancio non sembra ammettere spazio per mosse fantasiose. “Il ministro Giorgetti ha detto che il 70 per cento delle risorse andrà impiegato sul caro bollette. Forse è stato perfino ottimista”. E dunque, tutte le altre proposte del centrodestra vanno accantonate? “No. Alcune, come quelle sulla lotta alla burocrazia, sono a costo zero. Sulla pace fiscale occorre puntare, anche perché garantirebbe un’entrata, sia pure una tantum, di qualche miliardo”. E qui la discontinuità col Draghi che diceva “mai più condoni” è notevole, invece. “Non deve essere un condono. Semmai, un atto finalizzato a quella pulizia del cassetto fiscale invocata più volte anche dai vertici dell’Agenzia delle entrate. Nessun favore agli evasori”. E poi? “E poi si può intervenire sul Reddito di cittadinanza. Che va riportato subito ai connotati che aveva il Rei, per cui l’erogazione dei servizi di welfare deve essere quanto più possibile delegata agli enti locali. E poi si potrebbe lavorare per fare anche sulle pensioni minime quel che è stato fatto con l’assegno unico: razionalizzare bonus e sgravi e concentrarli in un solo strumento”.

Proposte che dovranno confrontarsi con un approccio, quello della Meloni, improntato al decisionismo. “Sì, un approccio che abbiamo toccato con mano, in queste settimane e ancora in queste ore nella designazione dei sottosegretari, e che oggettivamente ci ha lasciato amareggiati. Berlusconi ha ricordato che non si fa politica coi veti. Poi, ovviamente, è prevalsa la generosità del Cav., e alla fine siamo stati quasi sempre noi a fare passi indietro, per il bene della coalizione. Ma questo metodo non può funzionare. Il nostro senso di responsabilità non può diventare l’alibi per l’arroganza, vera o apparente, dei nostri alleati”. 

Certo anche FI ci ha messo del suo, con scontri interni mica da ridere. “Sono tensioni fisiologiche, che verranno riassorbite ora che il lavoro del governo verrà avviato”. C’è stato, si dice, chi tra i vostri alleati ha speculato su quelle fratture, provando a fomentarle dall’esterno, privilegiando una componente sull’altra. “In FI decide Berlusconi. Perché FI è Berlusconi. E credo lo abbia capito anche la Meloni. Illudersi che non sia così, e che possa prevalere una corrente sull’altra, sarebbe quantomeno velleitario”. 

 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.