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alleati col botto

Salvini e il Cav. per Meloni sono più pericolosi della recessione

Salvatore Merlo

Altro che bollette. Ronzulli ha deciso di uccidere Tajani e il leader della Lega torna a fare le sue solite battaglie

Fare politica consiste nel fare concessioni, perché occorre cedere sugli aspetti secondari per non rinunciare all’essenziale. E poiché l’essenziale adesso per Giorgia Meloni è governare l’Italia senza farsi travolgere dai guai, ovvero poiché la priorità  sono le bollette (con un provvedimento che deve essere pronto entro la prima settimana di novembre) e la legge Finanziaria (che deve arrivare in commissione intorno al 10 novembre), ecco che la presidente del Consiglio è orientata per il momento ad accontentare i suoi instabili alleati Matteo Salvini e Silvio Berlusconi.

Il leghista, divenuto ministro delle Infrastrutture, potrebbe non subire lo scippo della delega ai porti. E il Cavaliere, il più imprevedibile dei due, potrebbe avere il suo sottosegretario agli Esteri nella persona di Valentino Valentini. Entrambi, assai più della crisi energetica e della recessione in arrivo, sono considerati “il problema numero uno” per la tenuta del governo. Per il momento Giorgia Meloni ha altre gatte da pelare, e dopo aver vinto la guerra dei ministri, dopo aver cioè piazzato Giancarlo Giorgetti all’Economia e Antonio Tajani agli Esteri, in teoria non avrebbe interesse a rinfocolare le ubbie di Salvini e Berlusconi. I quali ne coltivano tante già per i fatti loro, e sono diventati un composto chimico potenzialmente esplosivo. Il segretario della Lega, terrorizzato dall’ipotesi che Meloni gli tolga le deleghe ai porti e gli rovini la festa di potersi occupare fronte telecamera di quei poveri disgraziati dei migranti, ha piazzato un piede sulla porta convocando presso il suo nuovo ministero il comandante generale della Guardia costiera. Come dire: i porti me li tengo. Non solo. Ieri Salvini ha pure partecipato a una suggestiva, e secondo qualcuno anche un po’ lisergica, riunione “tecnico-economica” che, alla presenza di Giorgetti, ha esaltato la fantasia del noto Armando Siri, l’inventore della flat tax padana, “l’intellettuale” senza briglia che si è poi anche abbandonato a considerazioni di questo genere su Facebook: “Abbiamo discusso delle priorità dell’agenda economica dell’Italia a cominciare dall’estensione della FlatTax al 15 per cento e da quota 41”.

Due riforme impraticabili e prive di coperture, come sanno benissimo tutti, persino i leghisti, specialmente in un contesto in cui la priorità sulla quale concentrare ogni singolo centesimo spremibile dal povero bilancio dello stato sono le bollette del gas e dell’elettricità. “E in effetti nel corso della riunione in realtà abbiamo parlato di interventi da applicare ‘nel quinquennio’”, dice, minimizzando, un leghista che ha partecipato alla riunione e che non appartiene alla tipologia media del leghista avvinazzato di propaganda. Ma è a questa attività, per lui assai gratificante, che Salvini si è dedicato ieri, lasciando intendere che la vita al governo per Giorgia Meloni non sarà facile. E a complicarla, persino più di Salvini, almeno così la pensano i consiglieri di Meloni, potrebbe essere Berlusconi. L’altra corda pazza della maggioranza. Lui, a differenza del segretario leghista, è per sua natura portato a gesti non sempre razionali. Ovvero dettati non dal prevedibile calcolo di vantaggio, ma da pulsioni imponderabili in quanto legate a sentimenti come l’orgoglio e la rivalsa. E Berlusconi ha già fatto sapere che mercoledì parlerà in Aula, in Senato, nel giorno in cui si vota la fiducia al governo. Brividi.  

Così, di fronte alla mega incognita del Cavaliere, Meloni non ha troppa voglia né di aprire un fronte di contrasto con Salvini sui porti né di scontentare Forza Italia su una questione tutto sommato marginale come quella dei posti da sottosegretario. Tanto più che, nelle stanze di Palazzo Chigi, già ieri veniva osservata con un misto di divertimento e preoccupazione la guerra interna che sta scoppiando in Forza Italia con il tentativo di Licia Ronzulli, assistente del Cavaliere e capogruppo in Senato, di spingere sostanzialmente fuori dal partito sia Tajani sia Anna Maria Bernini, cioè i due ministri di cui Ronzulli pretende le dimissioni da coordinatore e vicecoordinatore di Forza Italia. Intorno alla Meloni il ragionamento è questo: “Il governo non è nemmeno partito che questi di Forza Italia già si dedicano al loro sport preferito, ammazzare i loro ministri e spingerli nel tunnel della morte”. D’altra parte Ronzulli non perdona a Tajani di comportarsi come un politico normale, cioè di non essere incline alla guerriglia contro il governo che in teoria tutti sostengono, né perdona a Bernini di non aver aderito con masochistica gioia alla strategia non perfettamente riuscita (per così dire) con la quale il 13 ottobre Forza Italia aveva tentato di ritardare a sfregio l’elezione di Ignazio La Russa alla presidenza del Senato. Con alleati così, non si capisce perché Meloni tema la recessione e le bollette. Ma tant’è. La premier, dopo aver assestato delle bastonate alla coppia scoppiata, cioè a Salvini e Berlusconi, adesso è disposta a farli sorridere un po’. L’uno forse giocherà con i porti. L’altro potrebbe  avere i sottosegretari che desidera. “A meno che non esagerino”. Il che è più che probabile.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.