Foto di Alessandro Di Meo per Ansa

Che cosa dice il caso Liz Truss sull'Italia di Liz Meloni?

Claudio Cerasa

Stabilità? Italians do it better. In un’Europa politicamente fragile il nostro paese è un modello di governabilità, nonostante i litigi. Tutte le toppe dell’Economist sull’Italia pizza, mandolino e instabilità 

Italians do it better? Chissà. Il direttore dell’Economist, Zanny Minton Beddoes, ieri ha avuto la brillantissima e originalissima idea di raffigurare Liz Truss, sfortunata premier conservatrice inglese costretta alle dimissioni dopo appena sei settimane di governo, con i panni di un’improbabile gladiatrice italiana, armata di una gigantesca forchetta traboccante di spaghetti e di uno scudo smozzicato a forma di pizza margherita, dietro al quale sorprendentemente non si intravedono però né mandolini in festa né piovre mafiose in agguato. Il messaggio offerto dall’Economist è chiaro ed è interessante da mettere a fuoco: cari amici inglesi, forse non ve ne state accorgendo fino in fondo ma con le vostre buffonate economiche state rischiando di diventare instabili, inaffidabili, ingovernabili e impresentabili come il paese della pizza, della mafia e del mandolino.

 

Lo spunto dell’Economist è utile da inquadrare perché consente di affrontare due temi gustosi che riguardano entrambi, seppure con sfumature diverse, il rapporto curioso e per certi versi sorprendente che esiste oggi tra l’Italia e l’Inghilterra.

 

La prima questione che meriterebbe di essere evidenziata è che oggi, di fronte al disastro inglese, chi dovrebbe nutrire una certa preoccupazione nell’evocazione di un modello al posto di un altro non è certo l’Inghilterra ma è sicuramente l’Italia (visto e considerato il fatto che la premier in pectore del nostro paese, Giorgia Meloni, che oggi pomeriggio riceverà l’incarico dal capo dello stato, Sergio Mattarella, ha più volte indicato negli ultimi mesi Liz Truss come un modello politico da seguire e a cui ispirarsi). Gli inglesi, oggi, attraverso l’Economist, si dicono dunque terrorizzati dal poter trasformarsi in una nuova Italia. Ma gli italiani, di fronte al caos inglese, potrebbero dire lo stesso, rispetto al destino dell’Inghilterra, e ci sarebbero ottime ragioni per sostenere oggi, lato italiano, che immaginarsi di trovarsi un giorno lontani dal mercato europeo, isolati nel continente, ostaggi di investitori finanziari che hanno preso il controllo della politica economica del paese (e chissà, diciamo con un sorriso, se era questo il senso del “take back control” evocato dai sostenitori della Brexit) sarebbe quello sì uno scenario da incubo.

 

Da questo punto di vista, si può dire che l’errore commesso dall’Economist nella sua analisi è quello di non aver capito che l’instabilità politica che caratterizza oggi l’Inghilterra non è un tema che riguarda un singolo paese ma è un tema che riguarda un intero continente. La situazione inglese la conoscete. Dalla fine della coalizione di governo nel maggio 2015, la Gran Bretagna ha avuto quattro primi ministri (David Cameron, Theresa May, Boris Johnson e Liz Truss), così come l’Italia. Da luglio la Gran Bretagna ha avuto quattro cancellieri dello Scacchiere, con un turnover che in Europa in materia di gestione dell’economia non si vedeva dai tempi gloriosi dalla giunta Raggi. Il ministro dell’Interno ha rassegnato le dimissioni questa settimana ad appena 43 giorni dal ricevimento dell’incarico, poche ore prima di Truss. La fiducia nella classe politica è crollata al 40 per cento, contro il 50 per cento di fiducia registrato nel 2010. I mercati obbligazionari hanno sfiduciato il governo in carica più o meno come successo nel 2011 in Italia (nel 2011, la crisi in corso era quella del debito sovrano, nel 2022 la crisi in corso in Inghilterra è quella del debito sovranista). E infine, scrive ancora l’Economist, esattamente come gli italiani, a partire dal 2011, hanno iniziato a preoccuparsi dello spread fra i titoli di stato di riferimento e i Bund tedeschi, allo stesso modo i britannici hanno dovuto seguire un corso accelerato in crisis management su come i rendimenti dei Gilt (titoli di stato britannici) influiscano su tutto, dal costo del mutuo alla sicurezza delle loro pensioni.

 

L’instabilità politica, come dicevamo, è però diventata ormai da anni non solo la cifra della politica inglese ma più in generale di quella europea. E il caso inglese, in fondo, è solo l’ultimo di una serie di casi non troppo diversi. La Spagna fa i conti ormai da anni con un governo di minoranza. La Germania fa i conti ormai da anni con precari governi di larghissima coalizione. L’Austria, allo stesso modo, da anni non riesce a trovare continuità nelle sue coalizioni di governo. E persino la stabilissima Francia, alle ultime elezioni legislative, ha dovuto accettare di dover fare i conti con un Parlamento ingovernabile. In questo senso, l’Italia, nella grande stagione della ingovernabilità e della non stabilità politiche, si presenta in Europa, per la prima volta da tempo, come una realtà politica sì litigiosa, sì caotica, sì frammentata, ma anche come un paese che in fondo è riuscito a mostrare agli altri stati europei come si fa a trasformare la non stabilità nella quintessenza della governabilità. Lo ha fatto attraverso un uso sapiente della cultura del compromesso. Lo ha fatto utilizzando le fasi di ingovernabilità come occasioni per smussare gli angoli dell’estremismo politico. Lo ha fatto trasformando la democrazia parlamentare in un argine contro ogni genere di populismo. Lo ha fatto usando il trasformismo come un alleato della stabilità del paese. Lo ha fatto, infine, attraverso una fase di maturazione dei piccoli e grandi partiti, compresi quelli populisti, che conoscendo i punti deboli del paese, a partire dalla precarietà del suo debito pubblico, hanno scelto con sapienza di non mettere più in discussione, come invece accadde nel 2018, i fondamentali dell’Italia, al punto che oggi, nonostante la caoticità della coalizione che governerà l’Italia a partire dalla prossima settimana, gli investitori  internazionali hanno almeno finora mostrato grande fiducia in quelle che saranno le capacità del nostro paese di smussare ancora una volta gli angoli degli estremismi con un mix felice fatto di cultura del compromesso e trasformismo politico. In un’Europa in cui tutti i grandi paesi europei hanno a che fare con il tema dell’instabilità, l’instabile Italia si presenta oggi sorprendentemente, nonostante i bisticci  nella futura coalizione di governo, come un modello di possibile e insospettabile stabilità. A condizione, naturalmente, che la leader che si prenderà in carico il compito di governare il paese sappia essere incoerente non solo con se stessa, e con le sue idee del passato, ma anche con tutti i modelli europei individuati negli ultimi mesi come esempi giusti per guidare l’Italia. A partire ovviamente da Liz Truss. Italians do it better. Si spera, of course.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.