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verso il nuovo governo

Meloni prepara i colonnelli al gran sacrificio, ma ce l'ha con Salvini

Simone Canettieri

La situazione che aspetta la leader di Fratelli d'Italia è complicata. Il nodo dei ministeri e il pressing degli alleati

Sarà stato il richiamo della foresta. La voglia di non passare per “normalizzata” o “draghiana” davanti ai suoi colonnelli. O forse le bordate di Giorgia Meloni al governo in carica sono state usate come un balsamo sulle ferite di chi l’ascoltava: il direttivo nazionale di Fratelli d’Italia. Una comunità che per l’eterogenesi dei fini – bloccare le velleità di Lega e Forza Italia – potrebbe trovarsi in gran parte fuori dal governo per far spazio ai tecnici. “Se la competenza dovesse essere trovata al di fuori degli eletti, a partire da FdI, questo non sarà certo un limite”, è stata la frase della premier in pectore che ha riempito la sala di Via della Scrofa di un’aria pesante: quella del gran sacrificio.

 

Di fatto con un certo stupore da parte di Palazzo Chigi, Meloni infila due siluri nella sua relazione durata una trentina di minuti. Si va dall’ “ereditiamo una situazione difficile in riferimento ai ritardi sul Pnrr” per finire con il timore di un possibile “fallimento” dell’Italia a Bruxelles al consiglio europeo in programma il 20 e il 21 ottobre. Quello sul gas, da cui dipenderà la luna di miele del nuovo governo. 

 

In Europa ci sarà Mario Draghi perché i tempi sono troppo stretti, dice la capa ai suoi. Troppo banale scrivere che Meloni veda nero, ma la situazione che l’aspetta è complicata. Ecco perché predica nervi saldi. Nel corso dell’assemblea – durata tre ore con solo una piccola pausa per addentare i tramezzini – nessuno dei presenti alza il dito né per avanzare richieste né per indicare ministeri che potrebbero andare a Fratelli d’Italia. Ai bordi di questo tavolo quadrato, con Meloni al centro di un lato fra i due capigruppo di Camera e Senato, è troppo facile capire chi siano i convitati di pietra: Matteo Salvini, in primis, e poi Silvio Berlusconi.

 

Prima che il direttivo inizi, in Via della Scrofa gli inediti capannelli intorno alla nuova razza padrona (cameraman: “C’è Gemmato, corriamo!” e subito il collega che lo segue: “Sì, ma chi è Gemmato?”) portano sempre la stessa domanda in dote ai big di FdI: glielo date il Viminale a Salvini? “Chiedere non costa nulla, ma poi saranno valutazioni che spetteranno al premier e al capo dello stato”, dice per esempio Fabio Rampelli, che non si fa problemi ad affrontare la selva di telecamere (ha due spalle importanti da ex campione di nuoto qual è). E così fanno capire, con diverse sfumature lessicali, tutti gli altri che contano e concedono due battute in pasto ai cronisti costretti a saltare il pranzo. Sicché Giorgia bifronte. Da una parte crea un incidente diplomatico non secondario con Mario Draghi, dopo giorni da coro polifonico. Dall’altra, illuminando una situazione dagli sviluppi drammatici “per la Nazione”, mette in mora gli alleati. Dice che non si farà imporre nomi dagli alleati se non saranno di alto profilo. Il concetto che manda a dire a Lega e Forza Italia, usando i suoi fedelissimi, che ascoltano e non battono ciglio, è chiaro: se anche noi di Fratelli d’Italia faremo sacrifici per mandare al governo personalità di altissimo livello lo stesso dovranno fare Salvini e Berlusconi. Quindi mettetevi l’anima in pace, fa capire Meloni. “E questo non cambia la natura fortemente politica del governo perché i governi sono politici quando hanno un mandato popolare, un programma definito, una visione chiara e una guida politica”. La leader di FdI fa capire che il metro di scelta sarà un profilo come Fabio Panetta all’Economia. E cioè puntare al massimo sperando di raccogliere più sì che no (al contrario del giornalista di Sky Andrea Bonini a cui ha proposto di coordinare la comunicazione istituzionale del governo, ricevendo un interlocutorio “ci devo pensare” che sembra tendere al rifiuto).

 

Chiede dunque “uno sforzo di fantasia e creatività” a Matteo Salvini e a Silvio Berlusconi per tirare fuori una rosa di nomi che sia slegata dai vecchi governi Conte o da quello Draghi. “Sempre gli stessi nomi e magari negli stessi posti: mica sto facendo il Conte Quater o il Dragoloni”, confida Meloni in queste ore quando legge i nomi di Centinaio, Stefani, Garavaglia, Bongiorno. Il discorso è estendibile anche a Forza Italia, certo. Ma il problema rimane Matteo Salvini: se davvero il leader della Lega dovesse impuntarsi sul Viminale come farebbe la premier incaricata a non portare il suo nome al Colle? Il capo Carroccio, che vive una fase interna abbastanza agitata, studia piani B e C. Adesso sembra intenzionato a puntare al Mise, che fu di Giancarlo Giorgetti, o in alternativa c’è sempre l’Agricoltura con il vicepremeriato. Problemi che prima o poi dovranno risolvere all’interno della coalizione. Ma prima Meloni ha un problema: si chiama Mario Draghi. Che ha non ha gradito le uscite su Pnrr dopo il lavoro di questi giorni “per una transizione negli interessi dell’Italia”.    

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.