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L'intervista

“Salvini riconosca il flop: ora congresso o la Lega muore", dice l'assessore veneto di Zaia

Francesco Gottardi

Roberto Marcato è la voce saggia del Carroccio allo sbando nel nordest: “Ci vuole un bagno d’umiltà per tornare a essere territorio. Un buon leader ammetterebbe le proprie responsabilità e reagirebbe. Il governatore del Veneto non sarà il prossimo segretario"

 

Il risveglio è stato come un pugno in pieno stomaco. “Sono distrutto”, ammette Roberto Marcato. “Una botta enorme: lunedì mattina quasi mi mancava il fiato mentre ascoltavo i risultati definitivi”. Il fido ‘bulldog’ della Liga barcolla. Attorno a lui è una mattanza. “Due anni fa, un veneto su due aveva votato per noi. Effetto Zaia, ma non solo: io sono stato il candidato che ha ottenuto più preferenze in regione, pur figurando in lista Carroccio e non in quella del presidente. Com’è possibile aver dilapidato un patrimonio elettorale del genere?”. Domanda retorica. “Senza i congressi, senza i luoghi della discussione, questo partito muore”. E invece gli hanno messo la museruola, con al collo un guinzaglio che si allunga fino a Roma. “Occorre analizzare i fatti, ammettere le proprie responsabilità e reagire subito. O almeno, questo è ciò che farebbero i grandi leader”. Dunque Salvini, aggrappato alle più puerili scuse di chi perde al gioco, non lo è. “Pagare lo scotto dell’appoggio al governo Draghi spiegherebbe in parte una flessione. Ma qui siamo di fronte a una colossale ecatombe”.

Marcato è un militante stremato. “Prima della pandemia, negli ultimi due mesi del 2019 avevo preso parte a 98 incontri pubblici: per uno come me, che ha dedicato l’intera vita alla Lega e al territorio, un quadro del genere spezza il cuore”. Il calo alle urne se l’aspettavano tutti, l’umiliazione no. “Doppiati da FdI, beffati dal Pd: due forze politiche che hanno sempre fatto del centralismo una loro prerogativa. Eppure, ci hanno spazzato via da casa nostra, federalista per eccellenza”. Come un bulldog, l’assessore regionale allo Sviluppo economico è perennemente sull’attenti, pronto a battersi per la causa. Ma allo stesso tempo, non ci pensa neppure ad azzannare il proprio padrone. “Io non chiederò mai la testa di qualcuno”, sottolinea Marcato, a differenza di altri veterani leghisti pronti allo scontro. “È evidente però che non abbiamo saputo interpretare la nostra terra. Smettendo di ascoltare la strada”, mentre da mesi, con vana pazienza, lui metteva in guardia via Bellerio dal rancore della base. “A San Giovanni Lupatoto, in chiusura di campagna elettorale, Salvini aveva dichiarato di puntare ad affermarsi primo partito in Veneto. L’obiettivo è stato completamente disatteso. Ora basta prendere in giro gli elettori”.

All’assessore interessa più la riflessione della rivoluzione. Non va necessariamente in cerca di nuovi capi, “purché Salvini apra al dialogo per rimettere in moto la Lega”. Ma soprattutto, ne depenna uno dalla lista. “Zaia lo conosco da una vita, tra pregi e difetti”, ricorda Marcato. “Insieme abbiamo condiviso mille battaglie. E lui ha sempre sottolineato di non voler essere una figura politica: resta un grande amministratore. Non si può chiedergli di assumere la segreteria, un ruolo che non sente suo. Coerenza da ammirare”. Diversi esponenti locali rimproverano al Doge di aver fatto un po’ l’indiano, lasciandoli al proprio destino dopo le diatribe scoppiate con la Lega capitale. “Ma non immischiarsi sulle questioni di partito vuol dire anche sorvolare sui dissidenti”, lo difende invece Marcato. “La vocazione di Zaia è governare il Veneto: farlo scendere nell’agone del Carroccio sarebbe una forzatura. Lo so io e lo sa anche lui”.

Quindi da dove ripartirà questa Lega? La batosta è talmente forte che il primo pensiero non va nemmeno alla fatidica autonomia. “Un bagno d’umiltà, o ci scaveremo la fossa. È il momento di mettere da parte la rabbia ed essere lucidi: noi siamo il territorio per definizione. Occorre farsi coraggio e affrontare questa crisi identitaria. Perché invece quasi ci si vergogna di provare a capire? Fino a ieri la gente ci votava a man bassa, dal mare alla montagna, in campagna come in città. Può tornare a essere così. L’emorragia però si ferma con i congressi e il coinvolgimento di tutti, mica a pacche sulle spalle”. Un ringhio finale, Marcato se lo concede. “Basta che a Roma si ricordino che noi veneti siamo soci di maggioranza, in termini di consenso. Non possono trattarci come provincia dell’impero”. Anche se di quella volatile visione nazionale, la Padania oltre la linea del Po, ormai restano soltanto i cocci. Salvini li rivendichi pure. Quant’è vero che chi rompe paga.

 

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