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l'intervista

Ora la Lega in Veneto vuole la testa di Salvini: “Si dimetta, largo a Fedriga”

Francesco Gottardi

Dopo mesi di insofferenza repressa, la base del Carroccio deflagra dopo le elezioni: “Il segretario e i suoi fantocci ci hanno condotto al disastro”, attacca l’europarlamentare Da Re, trevisano come Zaia

Lo aspettavano tutti al varco. “Il disastro elettorale della Lega ha nome e cognome: Matteo Salvini. Ora abbia la dignità di dimettersi. E di corsa, anche”. Gianantonio Da Re è il megafono di una regione sventrata: il grande Veneto verde, formidabile feudo di Zaia, ridotto a brandelli in una domenica nera. Perfino quassù, più che raddoppiato da FdI. Superato dall’agonizzante Pd. “E se non cambiano le cose, fra poco finiremo anche sotto Azione e Forza Italia”, lo sfogo dell’europarlamentare del Carroccio al Foglio.

 

“Nel territorio, io e altri lo ripetevamo da mesi: così ci disintegriamo. Ho chiesto più volte un confronto al segretario per fargli capire cosa non andava. Lui non ha neppure voluto vedermi. Ho rispettato il silenzio elettorale, come del resto l’intera base veneta dissidente, proprio per non fornire alcun alibi ai piani alti. Oggi la disfatta è tutta loro”.

 

Loro chi? “Lo scriva bene”, si raccomanda Da Re, “La colpa non è tanto di Salvini, che ha corso come una trottola per mesi senza capirci nulla. Ma dei fantocci di cui ha scelto di circondarsi: Stefani, Bitonci, Ostellari, Fontana, Bof”. I simboli della Liga commissariata. Tutti rieletti. “Hanno solo pensato a pararsi il culo e il posto in Parlamento: in Veneto la chiamiamo ‘pattuglia acrobatica’, perché non si sa mai che casini può combinare”. Alla faccia del fuoco amico. Vista l’aria che tira, non è che qualcun altro debba temere per il suo, di posto? “Sono iscritto al partito dall’82. Ho ricevuto tanto e dato tutto. Ora che mi espellano pure: è mio dovere richiamare all’ordine quando le cose vanno a rotoli”.

 

E in effetti, peggio di così. “Dal Papeete in poi Salvini non ne ha azzeccata una: un segretario serio dovrebbe prenderne atto, ma lui ormai è arroccato nella sua Bastiglia e lì rimarrà finché non verrà sovvertito in maniera plateale”. Da Re alla Marat. “La battaglia ha inizio, non ci sono più giustificazioni: avanti coi congressi, per una Lega costruita dal basso e mai più disegnata dai salotti romani. E avanti con Fedriga”.

 

Tutti in cerca dell’uomo nuovo. Fa specie che proprio nel Trevigiano natio, i militanti non indichino Luca Zaia. Un nome pur sempre “affidabile e di peso”, per carità, “ma troppo attendista”. E cunctando restituit Lega, non è roba da partito di lotta e di governo. “Mentre il governatore del Friuli-Venezia Giulia è stato uno dei pochi a suonare l’allarme in tempi non sospetti. A intravedere la necessità di un rinnovato progetto politico. Non a caso, durante questa campagna elettorale Fedriga ha ben evitato di esporre manifesti di Salvini. Zaia invece sì. Capisco la diplomazia, però ora anche il nostro presidente deve rendere conto: la base lo accusa di immobilismo”. Una crepa inedita. A Pontida, non più tardi di una settimana fa, Zaia ancora gongolava per “il voto veneto, non chiamatelo più bulgaro”, rievocando il trionfo delle regionali 2020. Preistoria. “Comunque guai se non ci fosse lui”, raddrizza il tiro Da Re, che a un capo pur sempre risponde.

 

Ogni cosa a suo tempo. E il tempo di questa Lega è scaduto da un pezzo. “Date queste percentuali, adesso tutti si preoccupano del come raggiungeremo l’autonomia differenziata”, continua l’europarlamentare. “Ma l’obiettivo andava centrato finché eravamo forti a Roma. Siamo stati lì dal 2018. E Salvini e i suoi non hanno mai voluto davvero rovesciare il tavolo in Consiglio dei ministri, per portare ai veneti quel che spetta loro da referendum”.

 

Un malumore esploso come un campo minato, negli ultimi mesi, tra purghe ai dissidenti – il veterano è già ammonito – e sonora debacle alle amministrative. “Macché malumore. In Veneto siamo infuriati come delle iene. E in Lombardia è lo stesso”, Paolo Grimoldi ce l’ha confermato. “Paghiamo la sordità di un gruppo dirigente che non ha nulla a che fare con noi. Con la storia del nostro partito, fatto di territorio e competenza”. L’analisi della sconfitta passa dai bar di Treviso e dintorni. “Toni”, i vecchi elettori dicono a Da Re, “io ti torno a votare quando non avrete più quel segretario lì”. Magari stavolta, qualcuno ci ragionerà sopra. Anche in via Bellerio.