(foto Ansa)

Botti nel nordest

Calenda all'attacco del Veneto: “Liberate Zaia da Salvini”

Francesco Gottardi

“I cittadini non si faranno ingannare da chi li ha fregati sull’autonomia”, il leader di Azione dà il via al tour elettorale in terra leghista. Obiettivo dichiarato: 20 per cento alle urne, strizzando l’occhio al governatore

La partita inizia da Mestre, in pieno feudo Brugnaro. Ma il raggio d’Azione in Veneto è molto più ampio: Carlo Calenda fiuta un grande animale ferito – la Liga con il suo cospicuo blocco elettorale – e va all’attacco per stanarlo. “Beccate chiunque creda che votare Salvini sia come votare Zaia: lo mettete a sedere, lo torturate verbalmente e alla fine capirà che sarebbe un suicidio suo. E pure di Zaia”. Mitragliate sparse. “Matteo è il contrario dell’industriosa serietà del nord: parla tanto dell’autonomia, quando c’era già il progetto Gelmini pronto per essere approvato, però ha preferito far cadere l’italiano più illustre del mondo per paura della Meloni. Spero che i validi amministratori leghisti ritrovino la voce e lo mandino a fare quel che faceva prima. Cioè il nulla”. E ancora. “Nessuno crede più a Salvini quando viene a raccontare della flat tax, perché tutti i veneti sanno come li ha presi in giro”. Cannonata finale: “Lo voglio dire in questa terra. Il problema di Salvini non è tanto che cerchi di far dimenticare le scemenze che ha detto ieri, ma che è l’unico politico talmente stupido ad avercele scritte sulle felpe”.

 

Naturalmente ne ha per tutti, Calenda. “Dico al mio amico Letta, che se da un lato mette Almirante e dall’altro Berlinguer si dimentica di tutti gli altri. Dalla Dc al Psi. E lui è pure democristiano!”. Come sempre. “La destra s’è messa in testa l’idea di abolire la bocciatura a scuola: una volta i fascisti se non altro erano legge e ordine, mo’ solo caos”. Il vero obiettivo però è un’impresa titanica. “Nel nostro programma non trovate promesse”, ribadisce il leader del Terzo polo, “ma approcci concreti a problemi reali complessi”. Che in campagna elettorale, vuol dire intercettare il consenso di un territorio in ebollizione. Calenda spara alto, altissimo, dice che in Veneto punta al 20 per cento. Come fu a Roma. E parte dalle certezze. Nel gotha del suo buon governo cita Norberto Bobbio – “La verità è senso di responsabilità” –, Abramo Lincoln – “La difficoltà di misurare il bene e il male è il fulcro di ogni provvedimento”, – Pericle – “Il cittadino che non si occupa dello stato non è innocuo, ma inutile”. Poi accanto a loro eleva il doge: “Ragionateci sopra”, sorride Carlo. “Zaia non c’entra nulla con questa Lega”. Ma noi c’entriamo con lui, assist sottointeso.

“Saranno giorni difficili”, continua, “dovrò andare a Padova, Vicenza, Verona. Però confido nella grande qualità dei nostri candidati”, a partire da Alberto Baban, ex esponente di Confindustria Veneto e oggi fiore all’occhiello del Terzo polo agli uninominali. “La stessa competenza ed esperienza che si richiede per la gestione di un’attività economica, noi la pretendiamo in politica. Basta etichette. Non è un caso che il Pd dica che votare Calenda è come votare Meloni e viceversa. Tutte queste retoriche sono figlie dello stesso parlamento: la rivoluzione del vaffa, del prima gli italiani, del sono una madre cristiana. E alla fine è da trent’anni che siamo fermi. L’unica rivoluzione che il paese aspetta è il metodo Draghi, il suo discorso al Senato in cui scelse di dire al paese con chiarezza cosa si può fare e cosa no”. Cavallo di battaglia: rigassificatore. “Sia il Pd sia la destra, al governo non lo farebbero mai. Noi invece una volta al governo andremo a Piombino, prendendo anche le contestazioni, ma intanto spieghiamo ai cittadini perché quella nave va fatta lì”. Analisi costi-benefici. “Altrimenti ci mancheranno 5 miliardi di metri cubi di gas e senza quella nave, se a marzo arriva una gelata, le imprese chiudono. Questo lo capiscono gli italiani e lo capiscono i veneti”.

 

Prove d’intesa, con qualche memorandum. “Andate a vedere chi ha votato no al referendum sulle trivelle: erano tutti insieme ai 5 stelle, perché il populismo in Italia affonda ovunque. Berlusconi sfiduciando Draghi ha perso il diritto della rappresentanza dei popolari e dei moderati”. Applausi. “Non c’è alcun voto utile: fermeremo la destra al proporzionale”. Ovazione. “Il paese serio finalmente si è alzato in piedi, lo vedete ogni giorno nei sondaggi. Perché le comunità non si reggono sui diritti, ma sui doveri: manca l’85 per cento degli obiettivi del Pnrr da realizzare. Questa classe politica non è stata in grado di farlo, troppo faticoso. Più facile farneticare programmi da 180 miliardi come fa la destra o psichedelie sui 10mila euro ai diciottenni professati dalla sinistra. C’è il mondo intero che ci deride. Il mio è un appello al merito, al buonsenso, al votare per e non contro qualcosa”. Più che un petardo, sarebbe un’apparizione. Un fuoco d’artificio del Redentor. Calenda saluta Venezia e va avanti.

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