Il caso

Draghi attacca Salvini, Meloni e Conte: "Serve coerenza internazionale"

Simone Canettieri

Il premier contro il leader della Lega: "C'è chi parla di nascosto con Mosca e chiede di togliere le sanzioni". Poi punge la capa di FdI su  Orbán: "L'Italia sta con Francia e Germania"

Mario Draghi dice che andrà a votare, “ed è importante che tutti gli italiani ci vadano”, ma non rivela per chi (“è segreto”, risponde con una risata alla domanda del Foglio). In compenso, in una conferenza stampa dagli inediti toni iper politici, sembra indicare di sicuro i partiti su cui non scommetterà. Più di tutti ce l’ha con la Lega di Matteo Salvini, che qualche ora prima in Cdm ha votato contro il provvedimento sulle concessioni balneari. Primo affondo: “Con il dl Aiuti ter abbiamo stanziato 14 miliardi di aiuti che sommati ai 17 del decreto precedente fanno 31: come uno scostamento di bilancio, no?”. Caramelle in confronto alla stoccata sulle ombre russe in Italia: “La nostra democrazia è forte, anche se c’è stata un’opera sistematica di corruzione in questi anni. Siamo più forti dei pupazzi prezzolati e anche di chi parla di nascosto con Mosca e poi chiede di togliere le sanzioni a Putin”. 


Draghi dice di aver con Giorgia Meloni “rapporti normali al di là dei giornali che ci ricamano sopra”, ribadisce come ha fatto al Meeting di Rimini “di non aver previsioni negative” sul futuro dell’Italia, ma non rinuncia all’affondo su Fratelli d’Italia. Il partito che con la Lega, a Strasburgo, ha votato contro la condanna Ue all’Ungheria di Orbán. “Noi abbiamo una certa visione dell’Europa, difendiamo lo stato di diritto, siamo alleati alla Germania e alla Francia. Cosa farà il prossimo governo non lo so. Ma mi chiedo, uno come se li sceglie i partner? Certo, c’è una comunanza ideologica ma anche credo sulla base dell'interesse degli italiani. Chi sono questi partner? Chi conta di più? Datevi le risposte voi”, dice, con arte retorica, ai cronisti che lo incalzano. Sarà che è alle ultime battute della sua esperienza a Palazzo Chigi – “niente bis”, ribadisce per spazzare via le sirene del Terzo polo, mandando in visibilio Pd e Forza Italia – ma il premier è in versione via i sassolini dalle scarpe.  Stigmatizza infatti la posizione di Giuseppe Conte e del M5s sull’Ucraina “che da una parte si dice orgoglioso per la controffensiva e dall’altra ribadisce il no all’invio di armi. E allora come dovrebbero difendersi: a mani nude?”. Parla di coerenza e trasparenza nei rapporti internazionali, il presidente del Consiglio. E allora i convitati di pietra della politica italiana sono diversi. Matteo Salvini in primis. Al contrario a Berlusconi e Meloni riconosce una “linea diversa sulle sanzioni a Putin”. E sottolinea che “stanno funzionando” e che bisogna continuare su questo fronte. Insomma, nel giorno del terzo decreto in aiuto degli italiani alle prese con il carovita – “come si vede abbiamo un’agenda sociale chiara” – Draghi si esibisce in una versione tutta politica. Dice no al metodo del rinvio per non affrontare le cose, prova a mettere in sicurezza il Pnrr della campagna elettorale (“la revisione dei progetti deve essere pragmatica, non ideologica: c’è ben poco da rivedere”) ma soprattutto prova a mettere un punto sulla vicenda dei finanziamenti russi dopo la telefonata con il segretario di stato americano Antony Blinken. Che gli ha confermato l’assenza di forze politiche italiane nella lista di destinatari di finanziamenti russi, riservandosi di verificare se ci fossero altri documenti a disposizione delle autorità americane. “Anche l’intelligence Usa ha confermato di non disporre di alcuna evidenza” di strani movimenti di rubli nei confronti dei partiti che si presenteranno alle elezioni.  Tutti gli chiedono cosa farà dopo il voto, se magari ritornerà di nuovo con la formula dell’unità nazionale ma i “no” di Draghi sono secchi. Non è parco di complimenti, invece, nei confronti dei suoi ministri. A partire da quello dell’Economia Daniele Franco, seduto al suo fianco (presenti anche il sottosegretario Roberto Garofoli e il responsabile dell’Ambiente Roberto Cingolani). “Ogni mio ministro lo vedrei bene in un altro governo”. Chissà se ne avrà parlato con Meloni. 
 

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.