Destra e Cultura. Progetti e nomi attorno al futuro MiC

Marianna Rizzini

Giorgia Meloni alle prese con il che cosa fare (e con chi)

“Liberiamo la cultura”. L’evento è lì: 20 settembre, Sala Umberto di Roma. Promuove la rivista CulturaIdentità, con altre fondazioni e associazioni gravitanti nell’area del centrodestra. Scrive il fondatore e direttore Edoardo Sylos Labini: “Ai guardiani del pensiero unico si risponde con proposte concrete… La cultura in questa campagna elettorale comincia ad affacciarsi con più frequenza…”.

 

E’ il contrario di quello che ha detto il ministro uscente dei Beni culturali Pd Dario Franceschini, nel corso dell’evento “Con la cultura si cresce”: “E’ scandaloso che nessuno a parte noi ne parli”. Ma loro, gli altri, dalla destra che si candida a governare, non si percepiscono così silenti, e non perché Giorgia Meloni abbia scandito la frase “gli artisti mi insultano perché se dicono come la pensano non li fanno lavorare”.

Tuttavia la domanda sorge, al di là dei veri o presunti complessi attorno all’egemonia culturale: che cosa vuole fare la destra, in campo culturale, e con chi? Il responsabile Cultura di FdI e deputato Federico Mollicone (visto come “futuro possibile sottosegretario al Mic”, dice un insider, “a patto che faccia dimenticare l’impuntatura contro Peppa Pig”. E però l’argomento adozione coppie gay è molto popolare presso l’elettorato di FdI). Interpellato, Mollicone indica come punto di riferimento il programma di Fratelli d'Italia, al capitolo “cultura e bellezza, il nostro Rinascimento”.

Tra le altre cose, si parla di “tutela dei professionisti del settore”, “introduzione della detrazione fiscale dei consumi culturali individuali”, “sussidiarietà e nuovo rapporto pubblico e privato”,  “abbassamento dell’Iva al 4 per cento per i prodotti culturali”. A livello di progetti sulla cultura, si muovono attorno a Giorgia Meloni anche il plenipotenziario Giovan Battista Fazzolari e Giampaolo Rossi, già consigliere Rai e autore del “manifesto dei conservatori” per la non vittoriosa candidatura di Enrico Michetti a Roma. Oltre a Marcello Veneziani (tradizione degli intellettuali di centrodestra), al giovane editore Francesco Giubilei e al filosofo post-berlusconiano Marcello Pera.

Qual è la direzione? E come far dimenticare un deficit di legittimità? Qualcuno pensa: arruolando grandi nomi pentiti della sinistra. Lo storico Alessandro Campi, già punto di riferimento del mondo intellettuale di centrodestra, si augura che nessuno cada nella “sindrome di Armando Plebe”, filosofo inizialmente marxista, poi militante con Giorgio Almirante, infine in rotta anche con lui. Intanto nell’aria fluttuano i nomi più o meno credibili per il “chi”. E il “chi” si intreccia come il “come” la destra vincerà se vincerà. Nel caso la Lega precipiti, il ministero della Cultura non andrebbe insomma al partito di Matteo Salvini che stava guardando proprio al MiC, e non soltanto con Lucia Borgonzoni, pronta a tornare dove è stata sottosegretario (si parla anche, infatti, in area Giorgetti, della figura di Alberto Samonà, assessore ai Beni regionali e all’identità siciliana, apprezzato trasversalmente per le nomine nel mondo delle sovrintendenze, nonostante l’appartenenza ideologica alla destra-destra).

Se la Lega calerà ancora; se i nomi degli autocandidati non avranno spazio (da Vittorio Sgarbi in giù); se non ci si orienterà su uomini di tv come il direttore del Tg 2 Gennaro Sangiuliano, ideatore della rubrica “Alla scoperta dei musei d’Italia”, si porrà per Giorgia Meloni il problema di scegliere per il MiC un nome forse non organico, per una sorta di “operazione Panetta” alla Cultura. Intanto ci si è portati avanti in piccolo, sul territorio, vedi la nomina della giovane direttrice d’orchestra Beatrice Venezi, stimata da Meloni, a direttore artistico di Taormina Arte. Umberto Croppi, ex assessore nella giunta Alemanno, oggi presidente di Federculture, dice di aver messo a confronto i programmi dei vari partiti sul tema: “Grandi differenze non ce ne sono”. E lo storico e giornalista Gianni Scipione Rossi, “da conservatore”, invita a “uscire dalle opposte retoriche, ché con i sogni si fa poco. Il governo che verrà cominci dal personale mancante in biblioteche e archivi. E dalla scuola, dove non si tratta di vietare i cellulari ma di spiegare che cos’è Tik Tok, magari facendo capire che oltre a Tik Tok esiste anche Leopardi”. 

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.