La sfida tra Salvini e Meloni per accaparrarsi le macerie di Forza Italia. E pure Calenda ci spera

Valerio Valentini

La Lega spera di sommare alla propria debolezza quella del Cav., cercando di arginare lo strapotere della leader di FdI. Che è invece convinta che i pochi azzurri superstiti, il 26 settembre, busseranno alla sua porta. Nel Terzo polo puntano ad allargarsi, e guardano con fiducia ai tanti trasferimenti a livello locale. Dalla Lombardia alla Sicilia, la fotografia del tracollo annunciato dei berlusconiani

Chissà se davvero, come malignano i colonnelli lùmbard, forse istigati da quella vecchia volpe di Bobo Maroni, nell’umiliazione di Giancarlo Giorgetti nelle liste elettorali ci sia una logica, e che questa vada ricercata “nella volontà di Salvini di volersi fondere con Forza Italia subito dopo il voto, affidando agli azzurri la corrente moderata”. E chissà se davvero, come dice chi raccoglie i suoi sfoghi più riservati, Giorgia Meloni s’è convinta che Fratelli d’Italia possa diventare la casa di “tanti conservatori moderati”, cioè appunto dei forzisti in rotta il 26 settembre. Sta di fatto che la disfida interna al centrodestra tra Donna Giorgia e il Capitano pare consumarsi anche qui: nel rivendicare a sé le spoglie del partito del Cav., sapendo che anche Calenda è interessato alla questione.

Va detto che il confronto vede i due contendenti principali, Meloni e Salvini, partire da posizioni di forza non proprio equivalenti. E anzi, nella speranza di chi, nel Carroccio, parla di fusione, di chi fa notare come il contenitore inaugurato alle scorse amministrative siciliane, Prima l’Italia, si presterebbe proprio all’occorrenza, c’è senz’altro un principio di timore, forse di disperazione: arginare lo strapotere meloniano unendo due debolezze, quella di FI e quella della Lega. Per non sfigurare, insomma. Per non condannarsi entrambi, Salvini e Berlusconi, al ruolo di portatori d’acqua. E chi, dalle parti di Via Bellerio, accarezza questa suggestione, lo fa aggrappandosi a certi pettegolezzi, a certe confidenze che arrivano da Arcore. Quelle secondo cui, ad esempio, nell’istruire i suoi candidati, il Cav. li avrebbe catechizzati grosso modo così: “E se vi chiedono se è la Meloni la premier in pectore, rispondete che per governare ci vuole esperienza e credibilità, e che nessuno più di me ha queste doti, e che dei partiti di centrodestra l’unico che non ha mai governato è proprio FdI”. Eccolo, l’indizio: dunque il vecchio Silvio tifa per Matteo? Dunque quella mezza investitura davanti alla torta del quasi-matrimonio, mesi fa, non era solo una lusinga del momento?

Meloni in verità i suoi convincimenti li fa derivare da più logiche premesse, più basilari: e cioè dalla scommessa della sua vittoria, dal sostanziale annichilimento degli altri componenti della coalizione, e dunque dalla previsione che i parlamentari di FI, rimasti sparuti e spaesati, nella prossima legislatura, ci metteranno poco a decidersi di andare da lei a mendicare un posto, a chiedere asilo. E dunque i suoi piani di espansionismo ai danni del Cav. può coltivarli nell’ambizione, forse nell’imprudenza, di non dovere neppure domandare il permesso al diretto interessato. Succederà perché è una legge di natura, non per gentile concessione del patriarca di Arcore.

Come che sia, la scommessa di Salvini e Meloni muove dalla stessa certezza: e cioè che il risultato di FI potrà essere, per dirla con le parole di un pretoriano di Via della Scrofa, “o positivo o negativo: nel primo caso sarà terribile, nel secondo caso sarà un disastro”. I sondaggi, certo, ma anche i sommovimenti locali, stanno lì a corroborare questo fosco presagio. Francesco Battistoni, commissario forzista nelle Marche, ha sfruttato la sua vicinanza con Antonio Tajani per ottenere il collegio blindato di Ascoli, anziché giocarsela sul proporzionale. A Varese, il senatore uscente Giacomo Caliendo, da commissario s’è invece dimesso quando ha scoperto che era stato relegato in posizioni di rincalzo. Le stesse a cui sembra condannato il brianzolo Andrea Mandelli, che pure da vicepresidente della Camera uscente sperava in un trattamento di favore, e  invece ora rinuncia perfino a mugugnare perché, si lascia scappare, in FI “è ormai un attimo a finire nel girone dei traditori”.

E siccome molto del malumore azzurro segue una precisa direzione, ecco che a credere di poter fare la parte del terzo che gode, tra i due litiganti Salvini e Meloni, è Carlo Calenda. Il quale viene costantemente aggiornato, specie dagli ex forzisti già entrati in Azione, sugli acquisti da quel fronte. E allora, certo, si spiegano le scelte in Sicilia: Giuseppe Castiglione capolista a Catania, Gaetano Armao candidato alla regione, rispondono alla stessa scommessa di attrarre voti (e dirigenti) in uscita da FI. In Basilicata, dove anche Salvini ha molte rogne interne, l’esclusione del sottosegretario Giuseppe Moles, sacrificato per fare spazio a Elisabetta Casellati, ha spinto più di un dirigente locale a bussare alle porte dei Pittella, intanto traslocati nel Terzo polo. In Campania le defezioni sono state perfino clamorose. E anche in Abruzzo l’ennesima garanzia offerta a  Nazario Pagano ha prodotto una mezza sedizione, con vista su Italia viva. In Lombardia, invece, l’emorragia è prodotta soprattutto da amministratori locali che stanno lasciando FI e liste civiche connesse in attesa di futuri sviluppi. Quello di Gabriele Albertini è il caso più celebre, e si sa; ma poi c’è anche Pietro Zanantoni a Muggiò, in transito verso la Buona Destra del Terzo Polo, e di Carlo Barbieri a Voghera, già passato con Azione, tutti ex sindaci delle loro città. Luca Masneri, invece, di Edolo è sindaco in carica, e così Stefano Tramonti a Carpenedolo: entrambi nel bresciano, e anche loro hanno le valigie in mano. E insomma è da qui che passa la fiducia di Renzi e Calenda. Che sorridono sornioni, del resto, quando leggono che il Cav., nel suo kit per il buon candidato azzurro, ha raccomandato ai suoi di attaccare proprio loro, i due gemelli diversi del Terzo polo. “Segno che sa che siamo noi quelli più attrattivi, per l’elettorato moderato”. Per reclamare l’eredità di FI, insomma, dal 26 aprile toccherà mettersi in fila.

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.