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Più Europa, meno demagogia

Il caro energia spinge i populisti a rinnegare il loro anti europeismo. Un cortocircuito da sballo

Claudio Cerasa

C'era un tempo nel quale Meloni e Salvini volevano che l'Italia si allontanasse dall'Ue. Ora sono disposti a cedere un po’ della propria sovranità all’Europa, accettando finanziamenti in cambio di vincoli

Tra i piccoli miracoli politici realizzati da Mario Draghi durante la sua esperienza a Palazzo Chigi ce n’è uno che riguarda una novità imposta dal presidente del Consiglio all’interno del dibattito pubblico. La novità è ben visibile in questi giorni, in questi giorni di grande crisi energetica, e la si può riscontrare ogni qualvolta un leader con un passato populista, un leader come Giorgia Meloni o un leader come Matteo Salvini, formula le sue proposte per provare a risolvere i problemi dell’Italia.

 

C’è stato un tempo durante il quale è capitato spesso di assistere a scene di questo tipo: c’è un problema che si manifesta, il problema suscita interesse nell’opinione pubblica, l’opinione pubblica chiede risposte immediate al problema in questione e alla fine la politica con tendenze populistiche finisce per scaricare ogni colpa sull’Europa. Su tutto. C’è stato un tempo, dunque, durante il quale l’Europa veniva identificata, in modo quasi automatico, come se fosse l’origine di ogni male, come se fosse un virus più che un vaccino. Ma se si osserva oggi ciò che dicono sull’energia i leader con tendenze populistiche si scoprirà che magicamente la cura Draghi ha prodotto un effetto imprevisto sull’agenda dei partiti nazionalisti. E inaspettatamente oggi anche i vecchi partiti anti europeisti di fronte alle grandi emergenze non possono fare altro che chiedere all’Europa di essere più presente, e non più assente, nella nostra vita.

 

E così succede che Giorgia Meloni, alla guida di un gruppo parlamentare europeo che da sempre considera ogni cessione di sovranità all’Europa come una violazione della sovranità di un paese, dica che l’Europa dovrebbe fare molto di più, sull’energia, e dovrebbe lavorare per essere più integrata, più solidale e più decisa “nel fissare con urgenza un tetto al prezzo del gas”. Messaggio chiaro, anche se forse involontario: di fronte alle grandi crisi, un paese europeo per essere padrone del proprio destino la mano dell’Europa deve avvicinarla e non allontanarla.

 

Stessa storia – e stesso spasso – quando si vanno a leggere le dichiarazioni di alcuni esponenti della Lega, consapevoli che per quanto gli interventi nazionali possano essere incisivi, e in alcuni casi possono esserlo, nessun intervento potrà essere più incisivo di un intervento a livello europeo. E dunque ecco la proposta messa nero su bianco ieri mattina da Massimiliano Romeo: serve subito un recovery europeo. Avete capito bene: la Lega, lo stesso partito che in passato ha fatto di tutto per sabotare il recovery pandemico, oggi chiede all’Europa non di lasciare gli stati liberi di fare quello che diavolo vogliono contro il caro energia ma chiede di fare di più. Chiede di mettere in campo maggiore solidarietà. E lo fa sapendo che non c’è recovery europeo che non funzioni con una logica storicamente detestata dai sovranisti: cedere un po’ della propria sovranità all’Europa, accettando finanziamenti in cambio di vincoli, per proteggere il proprio paese.

 

Problema: ma oltre a evocarla, l’Europa, è possibile che vi sia una qualche risposta a breve termine dalla Commissione europea contro il caro energia? Il price cap nonostante alcune aperture tedesche è più difficile del previsto. Il disaccoppiamento del prezzo del gas da quello dell’elettricità è uno scenario già più concreto. E la possibilità di avere un altro recovery per l’energia potrebbe manifestarsi attraverso una formula magica che potrebbe passare dalle mani del commissario Paolo Gentiloni: la creazione di alcune obbligazioni europee, sul modello già sperimentato con il fondo Sure contro la disoccupazione durante la fase più acuta della pandemia, da utilizzare come scudo nel caso un eventuale razionamento portasse a chiusure massicce di imprese.

 

La strada è lunga, il tempo è poco, la crisi morde, la bollette salgono ma una buona notizia c’è: anche il vecchio populismo anti europeista ha compreso che la difesa della sovranità del proprio paese passa dalla difesa della sovranità europea. Non è tutto, ma non è poco.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.