Rita Dalla Chiesa nel suo programma televisivo "Italia si" negli studi Rai (Ansa) 

Rita dalla Chiesa: la carabiniera del Cav.

Michele Masneri

La figlia del prefetto rinuncia al “Gf Vip” per un seggio in Parlamento con Forza Italia, e fa saltare la fiction in ricordo di suo padre. Una vita tra Forum e caserma

La storia, si è già detto, si ripete tre volte, la prima in tragedia, la seconda in farsa, la terza in serie tv, ma la serie tv anzi la fiction Rai su Carlo Alberto dalla Chiesa, il prefetto di ferro ucciso dalla mafia a Palermo proprio 40 anni fa, non andrà in onda. Una decisione presa per par condicio dopo la candidatura della figlia Rita, che correrà per Forza Italia alle prossime elezioni. La fiction, intitolata “Il nostro generale”, starring Sergio Castellitto, è dunque sospesa, e questo è il primo effetto diciamo sistemico della discesa in campo della Ritona nazionale, uno dei punti salienti di questa pazza campagna elettorale estiva.

 

Pazza fino a un certo punto, perché pochi come lei incarnano “layers”, gangli, di italianità diversi. La discendenza eroica antimafia; poi la lunga carriera a Mediaset, come officiante in uno dei riti dell’Italia del palinsesto diurno, Forum; l’amore celeberrimo e televisivo con il compianto Fabrizio Frizzi. Adesso la candidatura con Forza Italia, suggellata da una scelta che genera una frase leggendaria: “non correrò al Grande Fratello Vip, ho scelto di essere candidata”, che entra nel novero di quelle frasi storiche; “qui si fa l’Italia o si muore”; “fatta l’Italia bisogna fare gli italiani”, “O Roma o morte”.

  

O Roma o Orte, scriveva Flaiano. Ma lei correrà piuttosto nel collegio Molfetta 2. Scandalo, lamentele, per Rita candidata. La figlia del prefetto di ferro con Berlusconi! E poi, la questione del “calato dall’alto”, tutto ciò che è negativo oggi è calato dall’alto, dal rigassificatore al termovalorizzatore al candidato. Ciò che è calato dall’alto è ovviamente il simmetrico del chilometro zero e della filiera corta e dei “territori” e dunque dal basso. Alto e basso son poi il segreto del mix vincente di Rita, che non è affatto “calata” nel collegio Molfetta 2, è a km zero come un tarallo Senatore Cappelli. “Non sono stata catapultata in Puglia”, ha detto.

 

Non solo sta battendo il Salento col suo ultimo libro “Il mio valzer con papà”, edizioni Rai, ma “La Puglia la conosco benissimo, palmo a palmo, da tanti anni. Qui si sono conosciuti mia madre e mio padre. Le origini della mia famiglia nascono proprio da Bari, dalla caserma dei Carabinieri del Lungomare. Le radici profonde sono qui”. E’ vero, e non è questione di passare da Canale 5 a Molfetta 2: entrambi i suoi nonni, uno generale e uno colonnello, erano di stanza lì quando i suoi genitori si conobbero lì e iniziò un corteggiamento da “Pane amore e fantasia” (con buona pace di Gina Lollobrigida, che corre per il Senato con “Italia sovrana e popolare” di Marco Rizzo). 

 

Ma torniamo a Bari: lì il giovane futuro prefetto di ferro sente suonare Chopin dalle finestre della caserma, si informa, è una bella ragazza, Doretta, ma sono gli anni della guerra, lui le scriverà due lettere al giorno, lei fa un fioretto che se lui tornerà vivo dal fronte, lo impalmerà. Tra tutti i santi, si appella a quella delle cause impossibili: Santa Rita.

 

E chissà come sarà questa fiction misteriosa, ma sembra uno spinoff di “Carabinieri”: e se ce ne fosse una su di lei dovrebbe essere proprio “la Carabiniera”: nata nel 1947 a Casoria, dove il padre era ancora solo tenente; venuta alla luce lì, sul tavolo della caserma; e vorrebbe fare pure lei la carabiniera, ma all’epoca non si poteva; poi trasferita in giro per l’Italia a seguito del padre; liceo a Milano al Parini ma poi trasferita dalle suore marcelline, per temprarne il carattere, fin da allora ribelle. Il primo grande amore, Mario, come te sbagli, 19enne tenente, ma poi ne sposerà un altro, Roberto Cirese, carabiniere elicotterista, da cui avrà la figlia Giulia, che lavora in tv pure lei, e che ha dato a Rita il nipote Lorenzo.

 

Quindi adesso la carabiniera scende finalmente in campo, finalmente perché tante volte è stata tentata, sondata, titillata. Nel 2016 Giorgia Meloni le chiese di candidarsi per il comune di Roma, ma lei rifiutò, disse, per motivi di famiglia, ufficialmente, in realtà “Lei mi è sempre piaciuta molto, mi è sempre stata simpatica, è una donna cazzutissima”, ma “molte cose ci dividono”.  

 

“Amo la politica”, ammette Rita nel suo “Io mi salvo da sola”, altro memoir mondadoriano. “Le mie battaglie sono per i diritti civili, per i gay, contro la caccia, contro le armi, contro le pellicce, contro lo sfruttamento degli animali nei circhi e negli zoo, il rispetto per l’essere umano di qualunque razza, religione o orientamento sessuale, per la solidarietà e l’accoglienza. Sono battaglie che, chi mi segue in tutto quello che faccio, in televisione o sui social, conosce da sempre, le porto ormai avanti da tanti anni”. E il 22 luglio ha pubblicato la foto delle due carabiniere femmine che si sono sposate col picchetto d’onore, “i Carabinieri sono oltre ogni pregiudizio”. 

 

“Ha un senso laico dello Stato molto forte. Non è certo il tipo da Dio, Patria, Famiglia”, conferma al Foglio Giuseppe di Piazza, direttore del Corriere della Sera-Roma, che all’epoca era un cronista dell’Ora di Palermo, e la conobbe al primo anniversario della morte del padre, per poi divenirne amico, e la ricorda “sempre a Milano nei successivi anniversari, anche sotto la pioggia, imperterrita”. Ma adesso, in Puglia, al lancio della campagna elettorale a Bari: “Berlusconi ha gli stessi valori con i quali sono cresciuta io, al di là di quello che possano dire”. 

 

Però alla candidatura a sindaco di Roma Ritona rinunciò, Meloni si adombrò, per rimediare Ritona accetta di aprire il comizio conclusivo al Pincio, ma anche lì Ritona dirazza, “voglio fare cambiare idea a Giorgia”, dice alla platea non molto riflessiva che inizia a fischiarla, ma lei mica si mette paura anzi rilancia, “sulle battaglie per i diritti”, e giù fischi, la salverà inopinatamente Salvini che prende la parola dopo di lei, e con lombardo pragmatismo dice alla folla “vabbè ma se io devo andare dal dentista serve che sia bravo a cavarmi un dente, non mi interessa il suo orientamento sessuale”. 

  

Insomma, Ritona è sempre coerente con sé stessa, nei secoli fedele. Con Meloni continua ad avere un ottimo rapporto, e qualche mese fa la difese: “Le donne di sinistra attaccano Giorgia perché vogliono far credere che una donna, se di destra, sia di serie B. Lo fanno sempre. È un atteggiamento tribale che si somma allo snobismo, cioè alla convinzione infondata delle donne di sinistra di essere superiori”. E “snobismo”, nel vocabolario di Rita, è grave quasi come “mafia”. La sua cifra è un garbo da Martha Stewart del 112, da Ellen Degeneres della Benemerita, i suoi capelli immutabili biondi, i tailleur pastello con cui è entrata per anni nelle case degli italiani nascondono una rarità in Italia, una media borghesia liberale rarissima, ancorché militaresca e assai pop.

 

Al matrimonio col suo carabiniere, che oltre che elicotterista era pure titolato, altre dame con cappello le chiedono: ma lei si chiama dalla Chiesa e poi? Sperando in predicati nobiliari. Lei fugge dal matrimonio. Va poi a lavorare in una boutique: “mi ha insegnato moltissimo”; “ho imparato a contrastare la maleducazione delle persone; e a fare dei pacchetti regalo perfetti”. E qui c’è appunto la grandezza di Rita dalla Chiesa, la Rita nazionalpopolare. Nel suo libro emerge chiaramente che ci sono due poli nella sua vita, Capalbio e le televendite di materassi, come lo yin e lo yang.

 

Non sarò come le mie amiche che hanno casa a Capalbio”,  dice, “l’aria annoiata di chi frequenta le case di Capalbio…”; l’altro polo sono le televendite, che lei rivendica orgogliosamente, nello specifico, di materassi (tutti gli accadimenti fondamentali della sua vita accadono durante le televendite di materassi: a causa di queste verrà cacciata dall’ordine dei giornalisti – tessera 50281 - e durante una televendita di materassi accadrà qualcosa che la farà andar via dalla sua creatura più famosa, Forum, agorà giudiziaria televisiva che va avanti con successo da trentasette anni). 

 

Lì il mistero perdura, si dice che al termine della registrazione dello stacchetto Eminflex venne convocata, e le dettero la fatale notizia: sei fuori. Qualcuno sostiene che fosse a causa di una concorrente che si disse terremotata dell’Aquila ma non lo era. Comunque, finiva il regno di Ritona a Forum, con il jingle e la bilancia più celebri d’Italia, ben 19 edizioni, dal 1988 al 1997 e poi dal 2003 al 2013, e sui malèfici social ci sono torme di vecchi fans che la rivogliono, Ritona, Santa Rita, a Forum. Tutti la vogliono, ma pochi se la pigliano, Rita, perché è orgogliosa, litigiosa, fa sempre come vuole. Nel 2013 appunto a Forum arriverà la longeva Barbara Palombelli, e Ritona allora viene chiamata da Cairo, Cairo “simpatico, istrionico, convincente”, con cui però litiga, perché lui vorrebbe fare un simil-Forum, e non se ne fa niente.

 

Ai tempi d’oro, il successo era tale che nel 1992 si produsse uno spinoff, “Affari di famiglia”, sempre con Santi Licheri, il più celebre giudice televisivo, a determinare le liti tra parenti “e soprattutto le più brutte, quelle tra nuora e suocera”, diceva lei nello spot, sempre tailleurata e rassicurante (ma poi, nella vita che non imita la tv, ecco che a un’assemblea di condominio lei, reduce da migliaia di puntate di Forum, viene messa in mezzo e piovono gli improperi per certe perdite e certo amianto). Meglio la giustizia televisiva, meglio la tv della realtà.

 

“Ecco i miei giudici”, come “ecco i miei gioielli”, ha scritto in un post su Instagram accompagnando una vecchia foto di lei con Santi Licheri e Tina Lagostena Bassi, altra giudicessa leggendaria del tribunale palatino. In quella trasmissione che bonariamente componeva le liti della Repubblica mentre il suo editore vagava di processo in processo. E’ uno dei tanti cortocircuiti di Ritona: garantista, antigiustizialista, ha votato per il sì al referendum per la giustizia di giugno. Anche qua, realtà e televisione si fondono e si inseguono

 

Come nella gestione della vita di famiglia. La famiglia è variegata, e costellata di lutti, che hanno avuto un peso, raccontano, sul carattere di Rita (oltre al padre, oltre a Frizzi, è mancato il primo marito carabiniere, e recentemente pure il marito della figlia). Il fratello Nando, “il prof”, propalatore della memoria paterna, scrittore impegnatissimo antimafia, a partire dal best e long seller “Delitto imperfetto”, bocconiano, deputato, senatore, già sottosegretario all’Istruzione, è molto area C, molto impegno civile, molto Pd.

 

Da poco rimasto vedovo della moglie Emilia, premiata dal sindaco Sala con l’Ambrogino d’oro, il loro figlio Carlo Alberto, chiamato come il nonno, ha aperto la catena di ostelli di successo “Ostello bello”, dopo anni di viaggi avventurosi. “Tutto molto milanese”, racconta al Foglio una dama per l’appunto di Capalbio. Mentre Ritona “è sempre stata molto Roma, molto Mediaset, dove entrò in quota Psi, e molto televendite di materassi”. Scontro di civiltà. In realtà c’è anche una terza sorella, la meno famosa, la più giovane, Simona, ha 70 anni e ha una lunga militanza nelle file del Pci/Pds/Ds (dal 1985 al 1990 è consigliere regionale per il Pci, poi è eletta al parlamento col Pds nel 1992 e nel 1994. Vive a Catanzaro).

 

Ma tutto si tiene nel mondo di Rita, nonostante i cortocircuiti e i lutti. Il giorno della morte di Falcone nel 1992 c’è anche la finale di miss Italia in tv, la prima che condurrà Fabrizio Frizzi, suo storico compagno. A Viale Mazzini non sanno cosa fare: andare in onda o no? Lo share o l’onore? Alla fine prevale il sì, Frizzi e Milly Carlucci tutti in ghingheri appaiono su Rai Uno. Caponnetto si incazza. Si incazza pure Nando, ma poi in una nottata di spiegazioni e con una lettera di Frizzi a Caponnetto se ne verrà a capo. 

 

Già, Frizzi, “Fabrizio”, in una storia d’amore che ne ha poche simili per durata e impatto, in Italia. Lui dieci anni di meno, lei che teme il giudizio dei suoi (“I miei fratelli penseranno che mi sono bevuta il cervello”). Lui povero in canna con la sua 127 azzurro metallizzato, lui che la chiama di notte e le porta i cornetti. Lui e lei anni dopo convocati da Berlusconi in via dell’Anima, che trovano due astucci con due orologi d’oro per convincere lui a passare a Mediaset, ma non succederà mai, e il Cav. che telefona a casa come uno stalker (e lei: “presidente, mai che chiami me per farmi i complimenti per Forum”; “ma tu vai benissimo, io ho bisogno di lui”).

 

Frizzi che si innamora di un’altra, Frizzi che si rompe una spalla una sera scivolando (poi dice il karma) su una macchia d’olio a piazza del Gesù, storica sede della DC. Frizzi e dalla Chiesa che iniziano la loro storia in tv e la chiudono in tv, le migliori trasmissioni della nostra vita (“Pane e marmellata” dal 1985 e 1986 e poi nel 2015, reunion per “La posta del cuore”, e poi lui tre anni dopo morirà). 

 

Alla tv, dalla Chiesa è arrivata dopo una rubrica su “Gioia”, dove si occupava di moda. Poi a Rai 2, a un rotocalco che si chiama “Tivu Tivu”, e poi Mediaset, chiamata da Arrigo Levi. Tutto torna in casa dalla Chiesa. Il dolore per la morte della mamma, prima della strage di Palermo, morta letteralmente di crepacuore quando dalla Chiesa a Torino era in prima linea contro le Br: lei definita dal vescovo di Torino al funerale “vittima silenziosa del terrorismo”, in una messa tenutasi in un garage della caserma, perché la cattedrale non sarebbe stata sicura. E l’incoraggiare il padre a risposarsi con la giovane Emanuela Setti Carraro, crocerossina incontrata a una parata militare a Padova, che morirà anche lei nella strage di via Carini. Proprio la figlia convincerà il padre a ufficializzare quell’unione, nonostante si autodefinisca “iena gelosa e possessiva”: “Guarda che il generale dalla Chiesa non può avere una fidanzata clandestina”. Nel film “Dimenticare Palermo” era interpretata da Giuliana De Sio. 

 

Intanto la fiction mancata continua ad avere ripercussioni. Maurizio Gasparri ha detto che la decisione di non mandarla in onda è “vergognosa”. Lo scrittore Emanuele Trevi: “era meglio se dalla Chiesa entrava al Grande fratello Vip, si impara più lì che in parlamento”. Insomma il caso dell’estate o uno dei tanti di questa squinternata estate elettorale post Draghi. Di cui lei sembra a un certo punto una testimone perfetta, abituata com’è a stare sia dalla parte della storia più nobile del Paese, lutti e tragedie e grandezza, e dall’altra della sua squinternatezza televisiva. In fondo cos’è questa campagna elettorale se non una colossale televendita di materassi? Rita dalla Chiesa prossimo ministro della Giustizia? In un Draghi-bis distopico (lei nella realtà lo stima e lo rivorrebbe indietro)? E magari Fabrizio Bracconeri sottosegretario? Il “roscio”, co-conduttore di Forum, si candidò alle europee con Fratelli d’Italia nel 2014, ma non passò. Era il suo braccio destro ai tempi d’oro di Forum. 

 

E lì, si ricordano invece litigi con Ambra al Centro Palatino, sono gli anni di “Non è la Rai”, quando le registrazioni del programma che faceva impazzire gli italiani partivano subito dopo “Forum”, e lì divergenze sull’aria condizionata, perché le lolite che si dimenano la vogliono gelida e la signora di Forum quasi spenta (l’aria condizionata è la sua kriptonite, finirà pure in ospedale per sospetto infarto, ma è un coccolone preso per l’aria). Sempre al Palatino litiga con la security di Berlusconi in visita da Milano, vorrebbero che lei togliesse la sua vecchia Micra rossa, lei si oppone. Litiga con Aldo Grasso, che criticherà la suddetta scelta di Frizzi di andare in onda comunque la sera della strage di Capaci e, alla morte di Frizzi, nel lutto generale, scriverà: “riflettiamo su un Paese che non si ferma per Falcone ma si ferma per Frizzi”. Risposta di Rita: “ha perso la solita ottima occasione per tacere”.

 

Litiga con D’Alema da Santoro nel 2013 che la definisce “populista”, forse con preveggenza; litiga con lo stesso Santoro, che per coincidenza è anche lui protagonista di questa campagna elettorale, l’ex conducador di Samarcanda, che ora scende in campo con un partito ma anche con un giornale, “una nuova start up che si chiamerà Mondo Nuovo” (vabbè). 

 

Dicevamo, scazzo memorabile tra i due: quattro anni fa nel corso della docufiction “M” dedicata a Aldo Moro, dove viene tirata fuori ancora una volta la vecchia questione sempre smentita di Carlo Alberto dalla Chiesa che sarebbe stato tesserato della P2. “Ci sono di mezzo gli avvocati”, dichiara Ritona. Quelli veri, non quelli di Forum. E poi; “Santoro per me è inqualificabile, uno scorretto da cui non accetto né lezioni di giornalismo, né che nomini mio padre”. Un altro nemico era Andreotti, che evitò, unico tra i politici di allora, il funerale del generale dalla Chiesa con la disgustosa scusa che “amo i battesimi più che i funerali”. Vicino alla famiglia, ricorda Giuseppe Di Piazza, fu soprattutto Alfredo Biondi, liberale poi nelle file di Forza Italia che era l’avvocato di parte civile nel processo per l’uccisione del generale. 

 

Sul fronte amici c’è Al Bano – lei prese le parti di Loredana Lecciso in un altro capitolo che tenne l’Italia e le Puglie col fiato sospeso, la diatriba Romina vs Lecciso. E adesso, dicono, Al Bano le sta dando una mano per la campagna. Altra grande amica è Mara Venier. I veri nemici stanno invece sui social: duecentomila followers su Twitter, duecentocinquanta mila su Instagram, più di Calenda Ritona rincorre uno a uno i suoi hater. Li denuncia, gli risponde, li prende per le corna. Al suo grande amore per gli animali – è tutto un rituittare cuccioli da adottare, canili in pericolo, maialini abbandonati e perfino un “caprone morente su scogliera a Punta Mesco: nessuno interviene” –  sorge sui mostruosi social una nemesi mortale, un gruppo che per ragione sociale indurrebbe a pensare che Ritona è zoofila.

 

Lei denuncia, strilla, tutto in caps-lock: TI VENGO A CERCARE! E insegue tutti, e querela tutti, da brava carabiniera. Lei del resto si sente al sicuro solo in caserma, “ogni volta che vedo una pattuglia li vorrei fermare, salutare, offrire loro un caffè”, scrive. Sul fronte musicale le piace ascoltare Giorgia e Alessandra Amoroso (ah, Ritona nazionalpopolare!). Tra i suoi amori più segreti ci fu pure Bruno Lauzi, che le dedicò una canzone, Il tuo amore, e le disse: guardami, la canterò per te, a Sanremo, correva l’anno 1965, lei diciannovenne freme ma il padre carabiniere disapprova, Sanremo non si guardava in caserma, dovette scappare per trovare un televisore. Ma poi finì tutto, anche perché su un rotocalco uscì un pezzo intitolato: “Lauzi innamorato di una Carabiniera”. E la ragazza-Carabiniera tornò in caserma: ma ancora per poco.

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).