(foto EPA)

La politica può fare molto contro la speculazione sulle materie prime

Paolo Cirino Pomicino

Il mondo si è sviluppato nella ricerca, nella sanità, nella tecnologia senza che ci fosse un mercato finanziario sulle materie prime così drogato: ecco perché è arrivato il momento di adottare deì correttivi

Nel lontano 2015, chi scrive, mise in guardia le élite politiche mondiali sulla crescita impetuosa degli scambi dei futures, i famosi derivati finanziari con un sottostante di grano, petrolio, caffè, gas o altre materie prime. Dalla metà degli anni ‘90 i prezzi di queste materie prime sono state oggetto di volatilità e di fluttuazioni con una tendenza verso l’alto. Fluttuazioni dei prezzi che poco avevano a che fare con l’andamento della domanda e dell’offerta mentre invece, diedi conto in un mio libro, erano strettamente legate all’andamento dei flussi finanziari che arrivavano sui mercati delle materie prime. A quell’epoca, in pochi anni, i flussi finanziari, infatti, erano impazziti. In termini nominali le posizioni sui futures sulle commodities alimentari erano passati dai 137 miliardi di dollari del 1998 a 1.595 miliardi del 2012 e più specificamente i contratti (futures) sul grano erano passati dai 118 mila del 1988 a 412 mila sempre nel 2012. E sempre nel 2015 il valore nominale dei derivati finanziari scambiati al di fuori dei mercati regolamentati (in prevalenza scambi di futures sulle materie prime) era, secondo la Banca internazionale dei regolamenti, di 650 mila miliardi di dollari, quasi 10 volte il pil mondiale.

Questi numeri moltiplicateli ad oggi per più volte ed avrete lo specchio di cosa significa la grande finanza quando si riversa sul mercato delle materie prime. Scambi, inoltre, che avvengono al di fuori dei mercati regolamentati e quindi difficilmente monitorabili. L’ultimo dato che siamo riusciti ad avere è stato quello dell’ICE di Londra (intercontinental exange) che ha registrato tra settembre e dicembre del 2021 un aumento di due milioni di scambi in più sui futures del gas che non a caso in quei mesi arrivò ad oltre 80 euro a chilowattora. Insomma la finanziarizzazione della economia dall’inizio degli anni novanta ha avvelenato la economia di mercato favorendo l’uso finanziario del capitale piuttosto che quello produttivo ed alimentando, così, grandi ricchezze e povertà di massa di cui le disuguaglianze nelle grandi democrazie liberali sono la più drammatica delle testimonianze. Se tutto questo si concentra sul mercato delle materie prime come è avvenuto intorno al 2000 dopo lo scoppio della bolla “informatica”, gli effetti negativi sulle popolazioni mondiali e sull’intero sistema produttivo internazionale diventano devastanti.

 

La crisi finanziaria del 2008 e poi la pandemia del 2020 ed infine la guerra russo-Ucraina hanno ulteriormente favorito questa distorsione dell’uso del capitale con la esplosione delle bollette e le sofferenze del sistema industriale. Le nostre élite politiche sembrano non avvertire la pericolosità di questa situazione tanto che i governi nazionali, a cominciare dal nostro guidato da Mario Draghi, tenta di intervenire sugli effetti dando i bonus energetici per famiglie ed industrie invece che proporre interventi radicali sulle cause e cioè sul mercato delle materie prime che sono la vita del mondo. Comprendiamo che questo concentrato di potere finanziario intrecciato da venti anni a questa parte con la grande informazione nazionale ed internazionale è diventato un potere quasi imbattibile. Il G20, a cominciare dal G7, devono però sapere che nel confronto tra l’occidente democratico e l’oriente largamente autocratico, in corso da un anno a questa parte, la rabbia sociale che corre sotto traccia nelle nostre amate democrazie liberali rischiano di farle saltare se la politica democratica non recupera il proprio primato per garantire un equilibrio sociale ed economico dentro le nazioni e tra le nazioni diverso dall’attuale.

Tanto per capire meglio l’avversario che abbiamo di fronte, guardiamo da vicino il più grande mercato del mondo sui derivati finanziari con i sottostanti prodotti agricoli che resta quello di Chigago denominato CME, una borsa fondata nel 1898. Questa borsa è quotata a Wall Street con un valore di oltre settanta miliardi di dollari e con azionisti del valore di Blackrock, Vanguard, Capital group e altre grandi società di gestione mentre nel gruppo degli intermediari tra chi vende e chi compre spiccano Goldman Sachs, Morgan Stanley e via via la grande finanza americana ed europea. Ecco chi abbiamo di fronte. Ma la posta in gioco è la vita del mondo e delle democrazie liberali che certo non potranno sopravvivere dando i bonus per le materie prime a famiglie e ad imprese.

Il mercato delle materie prime va chiuso, ecco la misura necessaria ed urgente. Il mondo si è sviluppato nella ricerca, nella sanità, nella tecnologia, insomma nel benessere sempre più diffuso senza che ci fosse un mercato finanziario sulle materie prime così drogato e senza che il capitalismo finanziario fosse favorito rispetto all’uso produttivo del capitale. La finanza deve ritornare ad essere una infrastruttura al servizio della produzione smettendo di essere una industria a se stante come dicono da tempo gli studi di molte banche centrali anch’esse intimidite dallo strapotere dell’intreccio finanza-informazione. Aspettiamo di essere smentiti e presi a ceffoni se diciamo cose inesatte o, al contrario, di essere guidati in questo ripristino di un equilibrio economico diverso in un mondo libero ma drammaticamente disordinato e insidiato nel profondo dalla legge del più forte. 

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