Chi l'avrebbe detto che nel 2022 sarebbe stato uno dei pilastri della prima stagione a Cinque Stelle, e anche della seconda, a doversi separare dal corpaccione martoriato del Movimento, accusato di governismo
“Insieme per il futuro”. Non appena si affaccia sugli schermi dei computer il nome della cosa — la scissione di Luigi Di Maio dal M5s — ecco che un’altra immagine sale alla mente: è la fine del febbraio 2013, l’anno dello tsunami tour di Beppe Grillo e loro, i Cinque Stelle, sono stati appena catapultati in Parlamento con percentuali inattese, letteralmente dal nulla. E’ il day after e loro sono lì, assiepati in un hotel in zona san Giovanni, impauriti dal dire troppo e dal dire poco, guardati a vista da ancora improvvisati addetti stampa, che impongono un cautelativo mezzo-mutismo fino a nuovo ordine dalla casamatta casaleggiana. Dichiara solo Alessandro Di Battista o quasi (gli altri sono Luigi Di Maio e Paola Taverna). Non si poteva infatti parlare per sé, allora, nel M5s arrivato dai “vaffa day” alla Camera e al Senato, figuriamoci scindersi. Non si poteva neanche parlare in tv, pena l’espulsione (mitologico nel genere il processo a Marino Mastrangeli, reo di partecipazione a un talk show, per non dire di Adele Gambaro, rea di aver detto a Grillo “il Movimento non è il tuo giocattolo”).
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