Padania addio

Il cordoglio della Lega per Paolo Arrigoni tradisce la nostalgia per le origini

Andrea Emmanuele Cappelli

Trai fondatori del partito e primo governatore lombardo del Carroccio, è scomparso a Sondrio domenica scorsa. Nella sua parabola, la storia di un movimento nato indipendentista, federalista e trasversale, e dopo la cura Salvini diventato un partito nazionalista e dalla forte impronta personale

“Sei stato il primo presidente lombardo della Lega Nord e molti militanti di oggi nemmeno lo sanno”. Le parole scelte dal deputato leghista Ugo Parolo per ricordare Paolo Arrigoni (governatore della Lombardia nel 1994, scomparso domenica sera a 65 anni nella sua Sondrio) non potrebbero descrivere meglio il cambiamento epocale avvenuto in seno alla Lega negli ultimi trent’anni. La morte di Arrigoni - un politico vecchio stampo, abituato ad anteporre gli ideali alle logiche di potere - sta suscitando molta commozione in Lombardia. Lo stesso governatore Attilio Fontana, nella mattinata di oggi, ha preso congedo dal Consiglio regionale per partecipare ai funerali del suo predecessore.

 

Il personaggio, in effetti, è di quelli affascinanti: nativo di Sondrio, viene eletto Consigliere regionale della Lombardia nel 1990. Nel 1994 - dopo la convulsa fase di Tangentopoli - Arrigoni diventa il primo governatore lombardo della Lega Nord, in una giunta anomala sorretta da Ppi e Psi. Un anno dopo cede lo scettro a Formigoni e si candida a presidente della provincia di Sondrio; escluso dal ballottaggio, appoggia pubblicamente il candidato di centrosinistra, contravvenendo alle indicazioni dello stesso Bossi. Una diversità di vedute che lo porta a lasciare il partito e la politica, con una breve parentesi da candidato (non eletto) alla Camera per l’Udc di Casini nel 2008. Negli ultimi anni di vita accetta il ruolo di referente della piccola sezione leghista di Colico (Lecco), ricongiungendosi dopo un ventennio a una Lega molto diversa da quella che aveva lasciato.

 

Nel cordoglio dei leghisti, a ben vedere, c’è qualcosa di più del dolore per la perdita di un compagno di viaggio: si intravede, in filigrana, la nostalgia della Lega primigenia, quella Lega Nord di cui Arrigoni è stato membro fondatore e il cui ricordo rischia di scomparire assieme a lui. Cosa resta, oggi, dell’antico patrimonio di valori del Carroccio? “Quella Lega non c’è più” confida al Foglio Davide Boni, ex assessore regionale lombardo e leghista della prima ora, oggi iscritto al movimento Grande Nord. “Quello di oggi - prosegue - è un partito nazionale, di destra e personalizzato. Semplificando potremmo dire che un tempo c’erano i leghisti, oggi ci sono i salviniani”. L’ex leghista non usa giri di parole e nella concitazione della conversazione riaffiora il ricordo della Lega che fu, quella in cui militò anche il primo presidente lumbard del Carroccio. “Arrigoni - racconta Boni - l’ho conosciuto da ragazzo. Era una persona perbene, quasi intimorito di fronte all’incarico che gli era stato affidato: ne percepiva appieno l’importanza. Un tempo non lo si faceva per il potere ma per gli ideali. Oggi, invece, è rimasta solo la dimensione del potere”.

 

Prescindendo dai giudizi personali, è innegabile che a un ragazzo nato nel 2000 l’attuale Lega appaia molto diversa da quella fondata da Umberto Bossi nel 1991. All’epoca, concetti come quello di “federazione/federalismo” e di “indipendenza” hanno costituito per anni la stella polare dei primi militanti padani. Tanto che entrambi i termini, in fasi successive, comparvero nella dicitura ufficiale del partito (Lega Nord Italia Federale nel 1995, Lega Nord per l’indipendenza della Padania dal 1997 in poi). Nella sua prima incarnazione la Lega Nord era un movimento dichiaratamente indipendentista, nato con l’obiettivo di costituire la Repubblica Federale della Padania (1996). Un’aspirazione contenuta anche nello statuto del partito (art.1), dove si auspicava “il conseguimento dell'indipendenza della Padania attraverso metodi democratici e il suo riconoscimento internazionale quale Repubblica Federale indipendente e sovrana”.

 

Una traiettoria, quest’ultima, che con l’avvento di Matteo Salvini alla guida del partito (fine 2013 - inizio 2014) viene ampiamente corretta. È con lui che la Lega si struttura su tutto il territorio nazionale: testa di ponte di questo progetto fu il movimento Noi con Salvini (2014), funzionale a garantire un radicamento della nuova Lega nel Centro e Sud Italia. Alle politiche del 2018, per la prima volta in 25 anni di storia, la Lega si presenta alle elezioni senza il termine “Nord” sul simbolo, sostituito dalla scritta “Salvini premier”. Una palingenesi che le consente di imporsi come primo partito del centrodestra in Italia, conquistando il 17% dell’elettorato. Il nuovo corso ha dato i suoi frutti, almeno in termini di consenso. “Dipende da cosa si vuole ottenere - sospira Boni -. La Lega dell’epoca era un partito ideologico e territoriale ma trasversale: né a destra né a sinistra, per il federalismo e l’indipendenza del Nord. Oggi gli ideali che animavano me, l’ex presidente lombardo Arrigoni e tanti altri non ci sono più. Al massimo vengono riesumati una tantum per non perdere l’elettorato storico”. 

 

La “Lega originale” è quindi destinata a scomparire con i suoi dirigenti storici? “Ma no - ci contraddice Boni -. Io credo ci sia ancora un futuro perché il mondo indipendentista, autonomista e federalista è un arcipelago ancora vivo e presente nei territori. Deve solo trovare qualcuno in grado di reinterpretare questi bisogni, edificando qualcosa di nuovo. Persino io, oggi, non posso che essere un semplice testimone di questo cambiamento”. Il primo governatore leghista in Lombardia non c’è più ma i suoi valori resistono ancora tra le cascine e nelle vallate del Nord.