al consiglio d'europa

Mattarella: "Con questa atroce invasione Russia si è messa fuori da regole internazionali"

Il presidente della Repubblica ha fatto visita a Strasburgo all'organizzazione che promuove i diritti umani e la democrazia, da cui è appena stata espulsa la Russia. "La responsabilità delle sanzioni ricade sul governo non sul popolo russo. La comunità internazionale lavori per un cessate il fuoco". Il discorso integrale

redazione

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella è intervenuto questa mattina all'assemblea del Consiglio d'Europa, il consesso cui partecipano i paesi che aderiscono all'organizzazione (cosa diversa rispetto al Consiglio europeo, organo dell'Ue) nata nel 1949 per promuovere i diritti umani e la democrazia. Vi fanno parte 46 paesi (per lo più dell'Unione europea). Fino a marzo vi aderiva anche la Russia, che però è stata espulsa dopo l'invasione dell'Ucraina. Il discorso di Mattarella è previsto per le ore 12. 

Il discorso integrale del presidente Mattarella

 

Signor Presidente dell’Assemblea Parlamentare, Signora Segretaria Generale del Consiglio d’Europa, Signore e Signori parlamentari, Ambasciatrici e Ambasciatori, Signore e Signori,

sono lieto di potermi indirizzare a questa Assemblea che esprime nel modo più largo il sentimento dei popoli d’Europa. È motivo di grande soddisfazione per me effettuare a Strasburgo – sede di molteplici istituzioni europee - il primo viaggio all’estero da quando il Parlamento italiano e i rappresentanti delle Regioni hanno voluto nuovamente conferirmi l’incarico di Presidente della Repubblica Italiana.

Rendo omaggio al Consiglio d’Europa, alle sue Istituzioni, a voi che siete espressione dei Parlamenti di 46 Paesi membri, in rappresentanza di 700 milioni di cittadine e cittadini del nostro continente.

Permettetemi un particolare ringraziamento al Presidente Tiny Kox per questa opportunità, per le sue gentili parole; e grazie a tutti voi per l’accoglienza. Porgo un caloroso saluto alla Segretaria Generale Marija Pejinovi Buri, la cui guida in questa Organizzazione considero preziosa, come ho avuto modo di dirle in occasione del nostro colloquio dello scorso novembre, al Palazzo del Quirinale, e di ribadirle nell’incontro che abbiamo avuto questa mattina.

Il Consiglio d’Europa ha sempre avuto la vocazione a essere la “casa comune europea” e ha saputo svilupparla nei decenni che hanno fatto seguito alla sua istituzione, come testimonia anche la sua attuale ampia rappresentatività.

Una casa che, se è stata specchio fedele delle divisioni e delle difficoltà manifestatesi fra le diverse comunità nazionali, ha saputo essere anche espressione del coraggio di unità dell’Europa, spesso prefigurando quanto si è potuto successivamente costruire, sotto altri profili e in altri ambiti, come la Unione Europea. Tanti i traguardi di civiltà conseguiti dal Consiglio d’Europa. Sul terreno della abolizione della pena di morte, della lotta al razzismo, della libertà di espressione, della tutela della diversità culturale, della protezione dei diritti dei bambini, dello sviluppo di politiche per la gioventù.

Inoltre, parafrasando il mugnaio di Potsdam, nel nostro Continente si può dire: “c’è un giudice a Strasburgo”, frutto della Convenzione europea dei Diritti dell’uomo - sottoscritta a Roma - con l’attività sviluppata dalla Cedu.

Il Consiglio d’Europa ha saputo, cioè, consolidare le prerogative dei cittadini, aggiungendo alla tutela dei singoli ordinamenti statali quella derivante dalla applicazione della convenzione, in casi di violazione di diritti da parte degli Stati. Perché non c’è ragion di Stato che tenga nel caso di violazioni dei diritti della persona.

Più liberi, più sicuri, più coesi. E penso alla Carta Sociale Europea contro le disuguaglianze e le povertà, lanciata in Italia, a Torino, nel 1961. Questi sono impareggiabili risultati della costruzione tenace di una casa comune quale il Consiglio d’Europa. Progresso per centinaia di milioni di cittadine e di cittadini europei, fieri di ritrovarsi sempre più in un unico demos.

Il Consiglio d’Europa è figlio di quella spinta al multilateralismo che caratterizzò gli anni successivi al Secondo conflitto mondiale, insieme al sistema delle Nazioni Unite. Una spinta basata su una considerazione elementare: la collaborazione riduce la contrapposizione, contrasta la conflittualità, aumentando le possibilità di composizione positiva delle vertenze. Non fu facile imboccare la via della riconciliazione. Così come non è stato facile giungere alla condivisione di una comune eredità; avere il coraggio di passare, nel rapporto tra gli Stati, dal diritto della forza alla forza del diritto.

Costruire una pace duratura è stato un processo lento e graduale che ha saputo evitare il rischio di una terza guerra mondiale, sfiorato con la guerra di Corea e il blocco di Berlino, e ha saputo passare, in quegli anni lontani, attraverso la regolazione della condizione dell’Austria sotto clausola di neutralità e il superamento della crisi di Cuba. Quanto la guerra ha la pretesa di essere lampo – e non le riesce - tanto la pace è frutto del paziente e inarrestabile fluire dello spirito e della pratica di collaborazione tra i popoli, della capacità di passare dallo scontro e dalla corsa agli armamenti, al dialogo, al controllo e alla riduzione bilanciata delle armi di aggressione.

E’ una costruzione laboriosa, fatta di comportamenti e scelte coerenti e continuative, non di un atto isolato. Il frutto di una ostinata fiducia verso l’umanità e di senso di responsabilità nei suoi confronti. Come ci ricordava Robert Schuman “la pace non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano. Se perseguiamo obiettivi comuni, per “vincere” non è più necessario che qualcun altro debba perdere. Vinciamo tutti insieme.

L’esempio è stato contagioso, tanto da fare diventare Strasburgo la meta obbligata di quanti raggiungevano libertà e indipendenza, per rafforzarla e consolidarla. E’ stato così in diversi casi; ma, naturalmente, per stare insieme occorre rispettare le regole che ci si è dati. Si giustifica per questa ragione la parentesi della Grecia dopo il colpo di stato militare.

Decenni dopo, i popoli centro-europei, baltici e del Caucaso poterono scegliere, a loro volta, di aderire al Consiglio d’Europa e, con questa decisione, di schierarsi per la salvaguardia dei diritti umani, la vigenza dello Stato di diritto, lo sviluppo della democrazia. Come ha sottolineato il presidente della Repubblica Italiana, Sandro Pertini - intervenendo dinanzi a questa assemblea giusto 39 anni fa, il 27 aprile 1983 - occorre talora saper esercitare il “coraggio della rinuncia”, quando la separazione di un Paese membro dal Consiglio d’Europa appare necessaria per non tradire l’ispirazione che ha dato vita a questa istituzione.

 

L’obiettivo hitleriano che condusse alla Seconda guerra mondiale era quello di fare della Germania la potenza prevalente con un ruolo dominante su altri popoli e altri Paesi. Fu un disegno che coinvolse regimi di numerose altre nazioni - il Regno d’Italia fra queste - e che fu battuto dalla coscienza civile internazionale. Ma il registro della storia ci ricorda come stabilità e pace non siano garantite una volta per sempre: ce lo testimoniano drammatiche e tristi vicende nei Balcani, nel Caucaso, nel Mar Nero.

La pace non si impone automaticamente, da sola, ma è frutto della volontà degli uomini. Viviamo oggi, nuovamente, l’incubo – inatteso perché imprevedibile - della guerra nel nostro Continente. Si pratica e si vorrebbe imporre l’arretramento della storia all’epoca delle politiche di potenza, della sopraffazione degli uni sugli altri, della contrapposizione di un popolo – mascherato, talvolta, sotto l’espressione interesse nazionale - contro un altro.

Imperialismo e neo-colonialismo non hanno più diritto di esistere nel terzo millennio, quali che siano le sembianze dietro le quali si camuffano. Non è più il tempo di una visione tardo-ottocentesca, e poi stalinista, che immagina una gerarchia tra le nazioni a vantaggio di quella militarmente più forte. Non è più il tempo di Paesi che pretendano di dominarne altri. L’opzione è stata effettuata da tempo con il passaggio delle relazioni internazionali dalla estraneità agli aspetti giuridici alla civiltà del diritto.


Di fronte a un’Europa sconvolta dalla guerra nessun equivoco, nessuna incertezza è possibile. La Federazione Russa, con l’atroce invasione dell’Ucraina, ha scelto di collocarsi fuori dalle regole a cui aveva liberamente aderito, contribuendo ad applicarle. La deliberazione di questa Assemblea parlamentare - del Consiglio d’Europa - di prendere atto della rottura intervenuta è coerente con i valori alla base dello Statuto dell’organizzazione, che indica la strada di una unione più stretta delle aspirazioni comuni ai popoli europei.

La responsabilità della sanzione adottata ricade interamente sul Governo della Federazione Russa. Desidero aggiungere: non sul popolo russo, la cui cultura fa parte del patrimonio europeo e che si cerca colpevolmente di tenere all’oscuro di quanto realmente avviene in Ucraina. Non si può arretrare dalla trincea della difesa dei diritti umani e dei popoli.


 

Si tratta di principi che hanno saputo incarnarsi nella storia della seconda metà del ‘900 e, a maggior ragione, devono sapersi consolidare oggi. La ferma e attiva solidarietà nei confronti del popolo ucraino e l’appello al Governo della Federazione Russa perché sappia fermarsi, ritirare le proprie truppe, contribuire alla ricostruzione di una terra che ha devastato, è conseguenza di queste semplici considerazioni. Alla comunità internazionale tocca un compito: ottenere il cessate il fuoco e ripartire con la costruzione di un quadro internazionale rispettoso e condiviso che conduca alla pace.


 

Un grande intellettuale, Paul Valery - passato attraverso le due guerre mondiali - richiamava i concittadini europei a prendere coscienza di vivere in un mondo “finito”. “Non c’è più terra libera” - scriveva - nessun lembo del globo è più da scoprire. Se nessuno è più estraneo a nessuno, si interrogava il presidente Pertini, non è giunto il tempo che gli uomini apprendano a essere in pace con se stessi? Potremmo oggi aggiungere: in un mondo sempre più interconnesso, nel quale sono sostanzialmente venute meno le distanze geografiche, in cui ciascuna persona può comunicare, e sovente comunica, in tempo reale, con interlocutori in ogni parte del mondo, non c’è posto, è anacronistico parlare di sfere territoriali di influenza.


 

Il contesto internazionale appare carico di contraddizioni, a partire dalla stessa Federazione Russa, responsabile della violazione di tutte le principali carte definite nell’ambito degli organismi multilaterali, che si trova paradossalmente a invocare l’intervento dell’Organizzazione Mondiale del Commercio contro le sanzioni imposte dalla comunità internazionale. Mentre il conflitto ha ulteriormente indebolito il sistema internazionale di regole condivise – e il mondo, come conseguenza, è divenuto assai più insicuro - la via di uscita appare, senza tema di smentita, soltanto quella della cooperazione e del ricorso alle istituzioni multilaterali.

Sembrano giungere a questa conclusione anche quei Paesi che, pur avendo rifiutato sin qui di riconoscere la giurisdizione della Corte Penale Internazionale, ne invocano, invece, oggi, l’intervento, affinché vengano istruiti processi a carico dei responsabili di crimini, innegabili e orribili, contro l’umanità, quali quelli di cui si è resa colpevole la Federazione Russa in Ucraina, riconoscendo in tal modo il necessario ruolo di quella Corte.

Se la voce delle Nazioni Unite è apparsa chiara nella denuncia e nella condanna ma, purtroppo, inefficace sul terreno, questo significa che la loro azione va rafforzata, non indebolita.  Significa che iniziative, come quella promossa dal Liechtenstein e da altri 15 Paesi, per evitare la paralisi del Consiglio di Sicurezza dell’Onu vanno prese in seria considerazione. La guerra è un mostro vorace, mai sazio. La tentazione di moltiplicare i conflitti è sullo sfondo dell’avventura bellicista intrapresa da Mosca. La devastazione apportata alle regole della comunità internazionale potrebbe propagare i suoi effetti se non si riuscisse a fermare subito questa deriva. Dobbiamo saper scongiurare il pericolo dell’accrescersi di avventure belliche di cui, l’esperienza insegna, sarebbe poi difficile contenere i confini.


 

Dobbiamo saper opporre a tutto questo la decisa volontà della pace. Diversamente ne saremo travolti. Per un attimo, esercitiamoci - prendendole a prestito dal linguaggio della cosiddetta “guerra fredda” - a compitare insieme parole che credevamo cadute ormai in disuso, per vedere se ci possono aiutare a riprendere un cammino, per faticoso che sia. Distensione: per interrompere le ostilità. Ripudio della guerra: per tornare allo statu quo ante.

Coesistenza pacifica, tra i popoli e tra gli Stati. Democrazia – come ci insegna il prezioso lavoro della Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa – come condizione per il rispetto della dignità di ciascuno. Infine, Helsinki e non Jalta: dialogo, non prove di forza tra grandi potenze che devono comprendere di essere sempre meno tali.

Prospettare una sede internazionale che rinnovi radici alla pace, che restituisca dignità a un quadro di sicurezza e di cooperazione, sull’esempio di quella Conferenza di Helsinki che portò, nel 1975, a un Atto finale foriero di positivi sviluppi. E di cui fu figlia la Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa. Si tratta di affermare con forza il rifiuto di una politica basata su sfere di influenza, su diritti affievoliti per alcuni popoli e Paesi e, invece, proclamare, nello spirito di Helsinki, la parità di diritti, la uguaglianza per popoli e persone.

Secondo una nuova architettura delle relazioni internazionali, in Europa e nel mondo, condivisa, coinvolgente, senza posizioni pregiudizialmente privilegiate. La sicurezza, la pace – è la grande lezione emersa dal secondo dopoguerra – non può essere affidata a rapporti bilaterali – Mosca versus Kiiv -. Tanto più se questo avviene tra diseguali, tra Stati grandi e Stati più piccoli.

Garantire la sicurezza e la pace è responsabilità dell’intera comunità internazionale. Questa, tutta intera, può e deve essere la garante di una nuova pace. Avviandomi alla conclusione, vorrei sottolineare come la possibilità di rivolgermi a voi di persona - potendo così dare manifestazione del bisogno basilare di comunicazione diretta - è sicuramente un vantaggio. Abbiamo vissuto una lunga fase di difficoltà a causa della pandemia, con momenti drammatici. Il virus non è ancora debellato, ma abbiamo imparato a combatterlo.

Desidero, in questa sede, rendere omaggio a tutti coloro che, a costo di rischi personali, che talvolta hanno comportato il sacrificio della vita, hanno contribuito a conseguire i risultati di cui oggi ci possiamo giovare.

Penso in primo luogo al personale medico e sanitario, cui va tutta la nostra riconoscenza, ai ricercatori e agli scienziati, ma anche ai molti operatori, volontari, professionisti che a vario titolo ci hanno aiutato a superare la prova. Una volta di più abbiamo avuto conferma di quanto valga la cooperazione internazionale. La comunità scientifica internazionale ha operato al di sopra dei confini, scambiando dati, conoscenze risultati di esperienze, avanzamenti di ricerca.

Non poteva esservi richiamo più convincente; e si sperava che questo esempio di collaborazione contro un nemico comune dell’umanità, fosse recepito dai governi degli Stati, sospingendo verso la ricerca del dialogo, della condivisione, della cooperazione. Tutto ciò senza dimenticare che, se oggi possiamo sperare che il peggio sia ormai alle nostre spalle, è grazie al civismo dei nostri concittadini, al loro senso di responsabilità, alla loro collaborazione nelle misure di attenuazione della diffusione del virus e nel garantire il successo delle campagne vaccinali. Senza il loro contributo non sarebbe stato possibile sconfiggere, oltre al Covid-19, il pernicioso virus della disinformazione e della sfiducia nella scienza.

Le nostre istituzioni hanno mostrato capacità di saper reagire rapidamente, le nostre società hanno evidenziato una resilienza rassicurante. Vorrei manifestare apprezzamento per il contributo, fornito dal Consiglio d’Europa agli Stati membri, affinché la risposta alla pandemia si svolgesse entro ambiti rispettosi dei diritti e delle libertà fondamentali; ponendo sempre al centro la persona umana e la sua insopprimibile dignità.  È un aspetto da non dare mai per scontato, un successo europeo del quale possiamo andare giustamente fieri.

 

Signore e Signori, la Repubblica Italiana ha convintamente contribuito alla nascita di questa nostra Organizzazione, alla sua crescita e alla sua piena affermazione, quale punto di riferimento imprescindibile nel sistema multilaterale di tutela dei valori di libertà e di affermazione dei principi dello Stato di diritto. E’ una funzione che continua a manifestarsi preziosa, alla quale tutti gli organi del Consiglio d’Europa, e gli Stati membri, sono chiamati a concorrere. E’ quanto abbiamo puntato a ribadire responsabilmente in occasione di questa ottava presidenza italiana del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa.

La generazione dei fondatori ha saputo edificare, su cumuli di macerie materiali, morali e giuridiche, questa comunità multilaterale, guardando al futuro. Confidiamo di avere custodito fedelmente questo patrimonio; di averlo difeso come un bene prezioso. Ma se il compito non è esaurito, tocca proprio a noi corrispondere alle sfide di oggi, sviluppandone e attuandone i principi.

Un augurio di buon lavoro – quindi - a tutti noi e grazie dell’attenzione.

Di più su questi argomenti: