Sovranismo bifronte

Cari Salvini e Meloni: o con l'occidente o con Orbán

I sovranisti italiani rivalutano l'Europa ma sono i primi a complimentarsi con il presidente ungherese riconfermato alla guida del paese, che strizza l'occhio alla Russia e sfida apertamente Bruxelles

Questa vittoria è così grande che si vede anche dalla luna, ha detto Viktor Orbán dopo il trionfo elettorale di domenica, “sicuramente si vede anche da Bruxelles”, ha precisato il premier ungherese facendo poi l’elenco dei nemici battuti: la sinistra del suo paese, la sinistra internazionale, la burocrazia europea, la macchina di George Soros e perfino il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, che gli aveva chiesto di dire da che parte sta, se con lui e l’occidente o se con Putin. Il fronte sovranista europeo si è ringalluzzito, la francese Marine Le Pen e il suo alleato italiano Matteo Salvini, leader della Lega, ma in Italia anche Giorgia Meloni ha detto:  Orbán ha battuto “un’accozzaglia elettorale” che comprendeva la sinistra e la destra estrema “per l’occasione stranamente considerata presentabile” e nessuno in Europa lo ha ringraziato “per aver accolto centinaia di migliaia di profughi ucraini”. Meloni – che si contende i favori di Orbán con Salvini in vista di un gruppo europeo comune al quale lei può ambire poco perché è alleata con i polacchi che hanno appena scaricato l’Ungheria e scardinato la compattezza del gruppo di Visegrád  – ha anche dichiarato: “L’Ungheria è membro della Nato e dell’Ue e sta rispettando gli altri impegni assunti. E’ interesse dell’Europa riappassionare gli ungheresi alla causa comune e chiudere spazi alle ingerenze di Russia e Cina, ma per farlo, Bruxelles deve innanzitutto rispettare la loro volontà. Che oggi, ancora una volta, ha parlato chiaro”.

 

La contraddizione è evidente: Orbán non vuole chiudere gli spazi alle ingerenze della Russia e della Cina, vuole chiuderli a quelle che lui considera le ingerenze europee, non c’è una causa comune. Il premier ungherese non considera il diritto europeo primario rispetto a quello ungherese, mette veti sui provvedimenti europei che richiedono l’unanimità, si è scontrato con il resto dell’Ue sulle politiche migratorie (a discapito dell’Italia, paese di primo ingresso), sul Recovery fund, sullo stato di diritto, sulla legge anti Lgbt, sul Green deal, su Hong Kong e oggi anche sul sostegno all’Ucraina. Le procedure di infrazione aperte dalla Commissione si sono dimostrate inefficaci, gli altri governi europei non hanno mai avuto la determinazione per sanzionare l’Ungheria: l’assenza di una concreta ingerenza dell’Ue contro la deriva orbaniana è il problema, non la mancanza di comprensione nei confronti di Orbán. La guerra della Russia all’Ucraina ha spazzato via infingimenti e illusioni: i sovranisti italiani che festeggiano Orbán non possono al contempo essere credibili nell’azione di isolamento contro Vladimir Putin né nella costruzione di nuove alleanze in chiave antiputiniana. Devono scegliere anche loro: Orbán vuol dire Putin, vuol dire rifiutare le alleanze occidentali, in casa e in Europa, e diventare il cavallo di Troia degli interessi di Vladimir Putin e di Xi Jinping, svendendo proprio la  sovranità ungherese.