Antonio Martino, campione liberale di spirito di servizio al paese

Giuliano Ferrara

Nella sua figura il gran signore, l’europeo e l’atlantista, si combinava con il wit goliardico dell’eterno ragazzo, con un impegno nella vita pubblica pieno di passione e distacco, e sempre col sorriso

Si parla tanto della leggerezza come categoria dello spirito, e spesso se ne parla in modo pedante, affastellando equivoci e bellurie ideologiche, ma in Antonio Martino c’era di leggero e amabile tutto il contrario della pedanteria, c’era lo stemperare sé stesso, i miti e le bandiere del pensiero liberale, la dottrina economica, in un’apertura scettica al diverso, al relativo, che faceva tutt’uno con il suo straordinario sense of humour. Il gran signore, l’europeo e l’atlantista figlio del mitico Gaetano, si combinava con il wit goliardico dell’eterno ragazzo, con un impegno nella vita pubblica pieno di passione e distacco, mai intimidente, sempre sorridente, incline al buon compromesso. 
Martino aveva guidato marce popolari di successo e influenza contro lo stato fiscale, era un tribuno acceso e scanzonato di quel che fu etichettato come neoliberismo, diceva cose enormi e scandalose per l’orecchio welfarista medio. 

Ma quando formammo il primo governo maggioritario nel 1994, con la vittoria di Berlusconi alle elezioni di marzo, noi che eravamo cooptati nella corte dei miracoli del tycoon, con provenienze e motivazioni diverse, fummo sorpresi dal fatto che a Martino fu riservato l’onore del ministero degli Esteri invece che la destinazione naturale, troppo “divisiva” come si dirà in seguito, del Tesoro o delle Finanze. Lui non era affatto sorpreso, aveva acuto il senso del relativo e del possibile, capiva quanto fosse vasto il fossato che separa le idee dalle cose della politica, e si acconciò con spirito brillante a ricoprire l’incarico che era stato del suo padre leggendario. 

Il liberalismo è quella grande metafora della società aperta che non si dà mai la concretezza chiusa di un corpo di dottrina, dunque il profeta della rivolta fiscale sapeva perfettamente quanta gradualità, quanti rinvii, quanti inciampi doveva percorrere la sua utopia della scuola di Chicago, il flusso di idee e di progetti che aveva portato dentro il corpaccione multiforme del partito fondato da Berlusconi, lui tessera numero due. Era un magnifico professore, è stato detto anche che era un divulgatore, ma non un animale puramente accademico, per certi aspetti anche l’opposto. Sapeva quanto sono rivoluzionarie le vere riforme, quanto dunque difficili da realizzare, borbottava, mugugnava e si batteva apertamente perché non andasse perduta con il berlusconismo di governo la sostanza di un atteggiamento liberale inaudito, coltivato in una cultura di opposizione, nel sistema italiano di pensiero e di prassi. Tanti lo ricordano nei suoi ambienti, con gli studenti, nelle conferenze e occasioni protocollari, tra la bella gente delle feste in ambasciata e delle occasioni mondane vissute con eleganza e modi da instancabile causeur, innamorato dei bagni di mare nella sua isola d’Elba, dove si spostava su barchette veloci, spuntando dal pozzetto come una sirenetta il cui canto erano i motti di spirito, il buon vivere, la sottile arte dell’understatement. Lo chiamavano “pigiamino” per il rispetto che tributava all’abitudine della siesta pomeridiana, da lavoratore sistematico e efficiente conosceva le proprie fragilità e i suoi bisogni. 

Alla sua estrema simpatia umana era associata da sempre la splendida Carol, sua moglie. Martino era molto italiano, ma di razza siciliana, e molto americano nello stile e nei riferimenti culturali, e l’Europa di cui un po’ diffidava era alla fine la vera cornice della sua vita pubblica e del suo impegno. Come tutte le persone che hanno qualcosa da offrire di prezioso, nella vittoria e nella sconfitta era sempre un blasone, una testimonianza di vitalità e di vero, non ampolloso, spirito di servizio al suo paese. Quando si dice classe dirigente si dice niente o quasi, si emette un flatus vocis. Ma con Martino era diverso, e per questo un uomo tanto divertente era anche tanto illustre. 

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.