Foto di Roberto Monaldo / LaPresse  

crepe nel governo

Sul catasto Draghi e Salvini vanno allo scontro frontale

Valerio Valentini

Il premier non è disposto ad assecondare i capricci del leader del Carroccio. Ed è una fermezza dettata dalla consapevolezza che dopo arriverà la ratifica del Mes, e dopo di quella sarà la volta dei balneari: insomma Salvini è chiamato a dire una volta per tutte da che parte sta

A metà tra lo sberleffo e lo sconforto. “Hi Mario, here is Joe, Joe Biden. Sorry, Mario, but what is catsto?”. Eppure pare evidente che la celia di questo manipolo di deputati di Forza Italia tradisca un certo nervosismo. Perché certo, è vero quel che dice l’azzurro Antonio Martino, e cioè che “sarebbe assurdo far cadere il governo nel bel mezzo di una guerra mondiale, per una baruffa parlamentare”, e però è anche vero che lo scontro è reale, se di buon mattino Mario Draghi sente l’esigenza di mettersi in contatto diretto con Matteo Salvini, ripetergli quel che da tempo va sostenendo, e cioè che approvare la delega fiscale “è una questione di serietà”, e invece le manovre di ostruzionismo che il Carroccio ha reiterato martedì sera, quando al vertice di maggioranza al Montecitorio è andato anche Francesco Giavazzi, consigliere economico del premier, serie lo sono ben poco. Il negoziato si rivela infruttuoso, però, perché alla fine nessuno dei due recede.


Ed è così che a ora di pranzo la sottosegretaria all’Economia, Maria Cecilia Guerra, viene mandata in commissione Finanze a rinnovare platealmente l’ultimatum. “La questione è dirimente”, dice lei. “Dirimente in che senso?”, chiedono, maligni, i meloniani. “Nel senso che se l’articolo 6 della delega, quello che riguarda il catasto, non viene approvato così com’è, l’esperienza del governo può dirsi conclusa”. E’ l’inizio del rodeo. Le urla dei leghisti Massimo Bitonci e Alberto Gusmeroli si sentono fin nei  corridoi del quarto piano di Montecitorio: “Se Draghi vuole usare la scusa della guerra per commissariare il Parlamento, sappia che questo aut aut è  irricevibile, e vergognoso”. Tutto sul grugno della Guerra, la quale si stringe nelle spalle come fa chi sa di aver eseguito un ordine dall’alto, e nulla può. Da Palazzo Chigi l’indicazione sarebbe in effetti quella di andare alla conta, forti di un vantaggio numerico certo, benché risicatissimo, di un paio di voti. Ma significherebbe spaccare la maggioranza, perché di fronte alla prova di forza del governo, Forza Italia e i totiani starebbe con Lega e FdI


 E allora Luigi Marattin, presidente renziano della commissione, uno che da mesi fa qual che può per conciliare l’inconciliabile, per ammorbidire sia l’intransigenza di Palazzo Chigi sia quella del Carroccio, prende tempo, rinvia tutto all’indomani, ovvero a oggi. Restano poche ore di trattative, dunque. Verranno spese per cercare un accordo su una risoluzione proposta proprio da Forza Italia: un emendamento in cui verrà scritto in modo ancor più esplicito quel che è già detto nella delega, e cioè che l’indagine governativa, della durata di cinque anni, per ridefinire i parametri delle rendite catastali degli immobili, avverrà a invarianza di gettito. In sostanza: nessuna nuova tassa sulla casa. Ma la soluzione resta comunque intricata. Perché, quand’anche la mediazione passasse, significherebbe spaccare il centrodestra, inaugurare una “fase Ursula”. E non è un caso che tra Palazzo Chigi e Arcore ci sia un filo diretto, in queste ore, per ristrutturare la confidenza tra Draghi e il Cav.; né è un caso che Gianni Letta sia attivissimo, e che mercoledì il capogruppo azzurro alla Camera, Paolo Barelli, impegnato nelle trattative, abbia ricevuto le telefonate in serie dei ministri azzurri: “Qui ne va della tenuta del governo”


 Sì, perché Draghi non è davvero disposto ad assecondare i capricci di Salvini, stavolta. Ed è una fermezza dettata dalla consapevolezza che dopo il catasto arriverà la ratifica del Mes, e dopo di quella sarà la volta dei balneari: insomma Salvini è chiamato a dire una volta per tutte da che parte sta. Tanto più che  ancora ieri, al Senato, i leghisti (insieme ai grillinii, va detto) disertavano in massa il voto finale sul dl Covid, approvato con soli 193 voti favorevoli e con assenze eclatanti, come quella del capogruppo Massimiliano Romeo (oltreché che della vicepresidente del M5s, Paola Taverna). E insomma è forse perché maneggia da vicino la materia che uno come Massimo Garavaglia, ministro del Turismo di stretta fede giorgettiana, prova ancora a a suggerire a tutti di non impiccarsi sul catasto, che in fondo “è solo un’indagine che durerà cinque anni”. Segno che davvero, allora, c’è chi pensa di arrivare allo scontro frontale con Palazzo Chigi? Di certo c’è che mercoledì sera Salvini ha inviato un messaggio a deputati e senatori: stamane, alle 8.30, cioè un paio d’ore che riprenda la discussione della delega fiscale alla Camera, tutti convocati alla Sala Umberto, al centro di Roma, per comunicazioni urgenti. Non sembra nulla di buono.

Di più su questi argomenti:
  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.