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Fine delle restrizioni

Draghi “smilitarizza” la Lega. Basta allo stato d'emergenza Covid 

Carmelo Caruso

Il premier annuncia le nuove misure e condanna l’aggressione all’Ucraina: “I soprusi non vanno tollerati”

Ha smilitarizzato i separatisti No pass, il nostro Donbas anti restrizioni, mentre su quello vero, sulla crisi ucraina, ha precisato che “le prevaricazioni e i soprusi non devono essere mai tollerati”. Al Teatro del Maggio musicale fiorentino, circondato dalle talari (“Eccellenza!”) e da uomini con scarpe Ferragamo, Mario Draghi ha annunciato che il 31 marzo non verrà “prorogato lo stato d’emergenza”. Mai più zone colorate, scuole sempre aperte. Ma finiscono anche le quarantene da contatto. Cade l’obbligo delle mascherine. Il Green pass verrà gradualmente eliminato “a partire dalle attività all’aperto. Vale a dire, fiere, sport, e spettacoli”. E adesso Matteo Salvini cosa fa?

Si sa già, mentre si scrive, qui a Firenze, che l’intenzione di Salvini è non votare alla Camera una parte del provvedimento sul dl Covid. Mercoledì è stato il primo a congratularsi per la notizia della mancata proroga dello stato d’emergenza. Masticava, e male, perché, non essendo uno stupido, ha  capito che, dopo l’annuncio di Draghi, la sua battaglia era fuori tempo, fuori fase. E’ un po’ come i trucchi che sperimentava Frank Capra nei suoi film: ombrelli che non si aprono, coltelli che non tagliano, bicchieri senza fondo. E diciamola per intero. Draghi ha disinnescato l’altro mortaio della Lega: l’immigrazione. Arrivato a Santa Maria Novella, per partecipare al convegno dei vescovi del Mediterraneo, il premier ha piegato il suo intervento sui migranti perché “più volte ho ribadito l’importanza di una gestione condivisa, equilibrata e umana delle migrazioni”. Si riferiva all’Europa e chiedeva, ma non con la malagrazia sovranista, “un’assunzione di responsabilità collettiva altrimenti l’azione europea non potrà mai essere giusta ed efficace”.

 

Fuori da Palazzo Chigi si libera e si scopre. Aveva in programma due tappe istituzionali, ma il dovere si è fatto poi ricordo. Era accaduto a Bologna, mesi fa, e si è ripetuto a Firenze. E’ la città in cui Draghi è ancora il “professore Draghi”, la città dove ha insegnato e dove ha conosciuto il poeta Mario Luzi. Ecco perché ha citato la sua sensibilità ermetica, i versi sulla Firenze  illuminata “da un’alchimia celeste”. E’ stato un riferimento pronunciato da chi sa che sarebbe stato apprezzato e applaudito. E’ vanità o si chiama preparazione, cura della parola? Raccontano che questo passaggio sia opera del suo capo di gabinetto, Antonio Funiciello (era presente) ma appunto lo raccontano. Se ne scrivono sempre tante e si cerca sempre di avere qualcosa di non detto, a volte si inventa anche. Altre volte no. Si comprende poco che la forza di questo presidente è la riservatezza. Seduto in platea, al Teatro del Maggio fiorentino, tra gli altri, c’era l’imprenditore della moda, Leonardo Ferragamo, che ha il cognome con la forma della scarpa e che ha provato descrivere, a spiegare, il Draghi riservato.

 

Il presidente del Consiglio ha infatti voluto omaggiare questo capitolo d’eccellenza, visitare, di mattina, i laboratori di Sesto Fiorentino, conoscere le sue maestranze. Gli chiediamo: ci dice chi l’ha chiamata? “Eh no. Questo non si dice”. Ferragamo ne parla come sono soliti fare gli artigiani che si proteggono dagli indiscreti. Dunque è  stato lei a invitare il premier? “E’ stato il presidente che ci ha scelto”.  Si discute spesso  su cosa sia simpatia. Il premier, ad esempio, è simpatico? E’ più importante essere simpatici o essere affidabili? Ferragamo sorride e rivela che il premier, lasciando i laboratori, ha detto la frase “giusta e quindi simpatica”. Draghi, aggiunge sempre Ferragamo, li ha gratificati con questa carezza: “L’Italia non siamo noi, ma siete voi. Voi la fate grande, noi al massimo possiamo fare qualcosa, anzi, la facciamo per farvi crescere ancora”. Entrato in teatro ad attenderlo c’era Matteo Renzi a cui era stato assegnato un posto in terza fila. In prima c’era l’ex ministro del M5s, Alfonso Bonafede. Prima che arrivasse Draghi, Renzi è riuscito farsi spostare in prima. E dato che in prima c’era appunto Bonafede, e dato che lui è Renzi, ha fatto in modo che il suo posto fosse più centrale di quello di Bonafede.

 

Ha ragione Renzi quando dice che a volte i voti non contano. Conta il “saperci fare”, l’influenza. Sull’Ucraina c’è qualcuno che ci sta “sapendo fare”? Mercoledì pomeriggio la posizione dell’Italia, di Draghi, era “sanzione e pace”. Ma gioovedì potrebbe essere perfino scoppiata una guerra. Draghi vola per partecipare al Consiglio europeo straordinario. Si attende. Tutto quello che si poteva dire, e che ha detto Draghi, era questo: “In momenti di crisi dobbiamo ancora più difendere i valori in cui crediamo e che ci guidano”. Mentre lo diceva, dal convento di Santa Maria Novella si vedevano uscire preti ortodossi, con le loro barbe bianche. Il cardinale Bassetti benediceva invece i passanti. Kiev sembrava però  lontanissima. I giornalisti politici spiegavano che il passaggio sull’Ucraina era meglio “se coperto dagli esteri” e si spostavano a teatro dove invece la notizia era però a cavallo “tra politica e sanità”. Il dilemma: titolare sull’Ucraina o sulla fine dello stato d’emergenza? Nessuno può davvero dire se queste visite di Draghi siano “prove di empatia”. Una cosa è vera: si diverte. Dario Nardella, dal palco, gli suggeriva: “Presidente, vada avanti senza esitare”. La piccola figlia del sindaco, con la mamma, quando ha sentito dire a Draghi che gli studenti non avrebbero indossato le mascherine ha esclamato: “Evviva!”. Alla fine, all’uscita, una donna l’ha tirata in aria. Il suo rossetto era rosso.

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio