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il populismo in mutande

Dalla giustizia all'energia. Tutte le retromarce che Draghi ha imposto (e imporrà) ai partiti anti-sistema

Claudio Cerasa

Dopo il caso Bonafede, la riforma del Csm fa fare all’Italia un altro passetto per affrancarsi dalla Repubblica delle procure. Lo show dei populisti che rinnegano se stessi. E il prossimo step: le trivelle, oh yes

Conta il merito, certo, ma conta anche la traiettoria. E la traiettoria ci dice che l’Italia, dopo anni di traumatica immersione nel populismo, continua a fare passi ulteriori per uscire da quella stagione infernale, anche con il sostegno degli stessi partiti che quella stagione, oltre che alimentata, l’avevano favorita. Ci sono molte chiavi di lettura che si possono utilizzare per commentare le decisioni adottate ieri dal Consiglio dei ministri, che con un tratto di penna ha approvato all’unanimità la riforma del Consiglio superiore della magistratura e della legge sull’ordinamento giudiziario, la terza del così detto “pacchetto giustizia” dopo quelle del processo civile e penale. Ma la chiave di lettura forse più interessante che si può usare, per inquadrare la traiettoria imboccata dal governo, è quella che riguarda il messaggio di fondo che si trova dietro alla scelta di vietare ai magistrati che hanno ricoperto cariche elettive di qualunque tipo o incarichi di governo (nazionale, regionale o locale) al termine del mandato di tornare a svolgere alcuna funzione giurisdizionale.

  

Una scelta ben più dura rispetto a quella prevista nel ddl presentato nel 2020 dall’ex ministro della Giustizia Alfonso Bonafede (nel cui testo si prevedeva soltanto che i magistrati, dopo il rientro, non potessero accedere a incarichi direttivi per un periodo di due anni). E la chiave è tutta in un concetto: separazione dei poteri, per quanto possibile, e un piccolo argine contro alcune derive della Repubblica giudiziaria, quella fondata sull’egemonia assoluta delle procure.

 

La riforma del Csm non è risolutiva, come spiega oggi sul Foglio l’ex vicepresidente del Csm Michele Vietti, ma è una riforma che se viene unita alla controriforma sulla giustizia fatta a luglio dal governo Draghi per superare le follie sulla prescrizione introdotte nel 2019 da Lega e M5s con la riforma Bonafede indica una direzione interessante: un po’ meno potere ai magistrati, un po’ più potere alla politica. E il fatto che a promuovere questa svolta progressiva dell’Italia siano gli stessi partiti che nel passato hanno provato con successo a mettere la nostra democrazia un po’ meno nelle mani del Parlamento e un po’ più nelle mani delle procure offre sensazioni simili a quelle che abbiamo vissuto negli ultimi anni. Sensazioni simili a quelle osservate nel 2020, quando i populisti sono stati costretti a mettere da parte il loro amato codice degli appalti per ricostruire il più in fretta possibile il Ponte Morandi.

 

Sensazioni simili a quelle osservate nei primi mesi della pandemia, quando i populisti sono stati costretti a sospendere il decreto Dignità che limitava il tempo a disposizione delle imprese per i contratti temporanei per evitare un crollo occupazionale.  Sensazioni simili a quelle osservate quando i populisti, dopo anni di battaglie contro il Tap, la Tav, il Terzo valico, sono stati costretti a magnificare i benefici del Tap, della Tav e del Terzo valico. Sensazioni simili a quelle offerte nel 2020 dai populisti nemici dei vaccini che improvvisamente hanno cambiato il proprio algoritmo trasformandosi in difensori dei vaccini.

   

Sensazioni simili a quelle offerte nel febbraio del 2021 quando i populisti nemici dell’Europa e dell’euro sono stati costretti prima a rimangiarsi tutto quello che avevano detto contro il Recovery plan e poi a votare la fiducia a un governo che ha messo al centro del suo programma l’irreversibilità dell’euro. Sensazioni simili, infine, a quelle che probabilmente vivremo la prossima settimana. Quando il governo, così come risulta al Foglio, approverà una deroga per provare a raddoppiare la sua capacità di estrazione dal gas in Italia, portando l’estrazione a circa 6-7 miliardi di metri cubi di gas, e lo farà con il sostegno di alcuni partiti e di alcuni ministri che nel lontano aprile del 2016 si schierano apertamente per il no nel referendum (che non raggiunse il quorum) contro le trivellazioni, per provare a impedire l’attività di estrazione di petrolio e gas entro le 12 miglia dalla costa (tra i nomi presenti nel comitato del No c’era la Lega, c’era il M5s, ma c’erano anche Renato Brunetta e Roberto Speranza e c’era il Pd vicino a Michele Emiliano). Il merito conta, ma conta anche la traiettoria. E la traiettoria del governo Draghi, con la complicità dei vecchi populisti, continua a essere quella giusta: mettere in mutande il populismo italiano.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.