La sfida

Anticipare Conte e guidare la battaglia interna del M5s: ecco il senso della mossa di Di Maio

Valerio Valentini

"Non giocherò sulla difensiva" spiegava il ministro degli Esteri. Che ora, senza il peso del ruolo di garanzia, potrà giocare la sua partita, tutta politica, nel M5s. I contiani non la prendono bene

Un passo indietro, per fare un salto in avanti. Bruciare i tempi, per accelerare l’evolvere degli accidenti. Alla fine la responsabilità di sbloccare lo stallo alla messicana nel M5s se l’assume Luigi Di Maio. E’ lui, infatti, con una lettera inviata a Beppe Grillo e Giuseppe Conte – pubblicata integralmente sul Foglio – a fare il grande annuncio: “Ho deciso di dimettermi da presidente e membro del Comitato di Garanzia del Movimento 5 Stelle”, scrive il ministro degli Esteri.

 

E forse è vero quel che subito si dice, con una certa dose di malizia, nelle file dei contiani di stretta osservanza, e cioè che “Luigi sapeva che Giuseppe stava pensando di indire a breve una votazione per escluderlo da quel ruolo, e allora ha fatto lui la mossa, per non subirla”. Sta di fatto che la decisione di Di Maio non sembra affatto voler preludere a una resa, né a una tregua armata. “Non mi piace giocare sulla difensiva, non ce lo possiamo permettere”, aveva sibilato nelle scorse ore ai suoi confidenti, il capo della Farnesina, con criptica allusività. E allora eccolo, lo spariglio.

 

Dimettersi da responsabile del Comitato di garanzia per poter giocare, all’interno del Movimento, un ruolo ancor più politico. “Ho preso questa decisione perché voglio continuare a dare il mio contributo, portando avanti idee e proposte”, scrive Di Maio. “Voglio dare il mio contributo sui contenuti, voglio continuare a fare in modo che si generi un dibattito positivo e franco all’interno della nostra comunità. Un confronto che ci permetta davvero di rilanciare il nuovo corso del Movimento 5 Stelle”.

 

E insomma, sotto la patina di una retorica democristiana ormai assimilata dal ministro degli Esteri, il messaggio è chiaro: svincolarsi da un incarico che impone e presuppone imparzialità, come quello di massimo responsabile del “tribunale” interno del M5s, e dispiegare la sua offensiva politica contro Conte. Il tutto, prima che fosse proprio l’ex premier a rimproveragli questa incoerenza, questa doppiezza. La memoria corre insomma al famoso “che fai, mi cacci?” di berlusconiana memoria, quando il Cav., per respingere l’attacco di Gianfranco Fini, gli contestò proprio questo: “Vuoi fare dichiarazioni e attività da uomo politico? Bene, ma allora non puoi farle da presidente della Camera”.

 

E così, si parva licet, nella scombiccherata entropia grillina la dinamica è assai simile. Dimettersi, per rilanciare: ecco il piano di Di Maio, che pure nell’ottobre scorso molto aveva brigato per accaparrarsi quel ruolo, e aveva poi rivendicato il plebiscito degli attivisti online a suo favore come una dimostrazione di forza da esibire al neoeletto presidente del M5s, Conte. “E’ fondamentale ascoltare le tante voci esistenti, e mai reprimerle”, scrive oggi Di Maio, come a volersi intestare fino in fondo la corrente degli antagonisti, di quelli che non vogliono morire contiani. Per andare dove, poi, chissà. Al momento, nella lotta del fango a cinque stelle, non c’è nessuno che s’azzarda ad alzare davvero lo sguardo, a chiedersi quale sia la direzione che prenderanno gli eventi.

 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.