La ratifica obbligata del Mes pone a Salvini un problema sul governo del 2022

Valerio Valentini

L'Italia bacchettata a Bruxelles per i ritardi sul Fondo salva stati, che Draghi e Macron vorrebbero sfruttare per modificare il Patto di stabilità. Ecco perché, a prescindere da come andrà la partita del Quirinale, per il leader della Lega restare in maggioranza non sarà scontato. Lo spettro della Meloni, la tentazione dell'opposizione. Giorgetti avverte: "Super Mario non accetterà la palude"

Daniele Franco dice che quello ricevuto da Bruxelles è un “memento”. Della serie: ti  ricordi del Mes? Pietra dello scandalo di un’intera legislatura, parola magica che accende le zuffe e sovverte gli equilibri dei governi, il Meccanismo europeo di stabilità è ancora lì, sospeso a mezz’aria sull’inconcludenza della politica. Ma il richiamo dell’Eurogruppo vale non solo per i tecnici del Mef, ma anche per chi,  su tutti Matteo Salvini, in queste ore s’interroga sul governo che verrà dopo la risoluzione del rebus quirinalizio.

E infatti Dario Stefano,  presidente della commissione Affari europei del Senato, proprio agli imminenti nuovi assetti politici pensa quando avverte che “la ratifica del Mes, a qualunque premier toccherà approvarla, è una di quelle scelte imprescindibili per l’Italia nelle prossime settimane. Ed è una scelta che sta lì a ricordare che far parte di un governo europeista, guidato da Draghi o da altri, comporta precise responsabilità e impone di accantonare certi slogan”. E chissà quanto consapevolmente, il senatore del Pd batte sulla linea di faglia dei pensieri del leader della Lega. Il quale, a cavallo di quel solco, continua a  tentennare: restare al governo, magari assumendo anche i gradi di ministro nel rimpasto vagheggiato, oppure uscirne, libero e vitale nelle praterie dell’opposizione per l’anno che porta alle nuove elezioni politiche? Chi raccoglie le confidenze di Salvini, dice che il capo è combattuto. E certo molto dipenderà dall’esito della partita del Colle.

O forse no? Giancarlo Giorgetti, che in questi giorni ha evitato la trincea delle trattative grazie a un viaggio ministeriale in Croazia, è convinto che l’agenda di governo dell’Italia nel 2022 sarà  obbligata in ogni caso. Se Mario Draghi va al Quirinale, non potrà che indirizzare l’esecutivo nel solco europeo. “Ma anche se dovesse capire che non può farcela, cercherà comunque di avere nel nuovo presidente della Repubblica una spalla funzionale al suo gioco: e cioè costringere  i leader della maggioranza a rigare dritti”. Questo il ministro dello Sviluppo lo dice per far capire che non tutti i profili che girano in questi giorni come “quirinabili di centrodestra” sono utili alla causa: perché se Draghi non dovesse sentirsi tutelato, se dovesse vedere in un capo dello stato a lui sgradito il fantasma di un anno passato a lasciarsi logorare dalle bizze dei partiti, saluterebbe tutti. Ieri la nomina di Carlo Comporti, indicato dal premier come nuovo componente della Consob è finita con l’impaludarsi al Senato, dove il grillino Primo De Nicola ha sollevato chissà che sospetti di conflitti d’interesse, chissà che incompatibilità coi precedenti incarichi ricoperti a Bruxelles. Tutto sospeso, tutto rinviato. Eccolo, il pantano che Draghi non accetterebbe. Eccolo il timore di Giorgetti.

E però questi e altri analoghi allarmi risuonano nelle orecchie di Salvini come un avvertimento di altro tipo. Perché Giorgia Meloni ha già programmato una mozione contro la liberalizzazione delle concessioni balneari: “Noi sulla Bolkestein non abbiamo cambiato idea, spero neppure gli altri del centrodestra”, dice il capogruppo di FdI, Francesco Lollobrigida. La riforma del Patto di stabilità impone all’Italia di giocare d’intesa con Parigi: ma davvero, dopo che Draghi ha firmato con Emmanuel Macron il Trattato del Quirinale, dopo che insieme al presidente francese l’ex capo della Bce ha ipotizzato sul Financial Times le modifiche delle regole sui vincoli di bilancio, Salvini potrà, stando in un governo che agisce “nel segno di Draghi”, spendersi come vorrebbe per sostenere quella Marine Le Pen che del leader di En Marche è il principale avversario?

E qui appunto si arriva al Mes. E cioè alla più indicibile di tutte le abiure che Salvini dovrebbe accettare, per restare al governo. “Chi vota questa riforma smetterà di essere compagno di strada della Lega”, arrivò a dire l’ex ministro dell’Interno poco più di un anno fa, col tono di chi non solo accusava l’allora premier Giuseppe Conte di aver approvato nottetempo la ratifica del Mes in piena pandemia, ma minacciava anche Forza Italia. Seguirono conferenze stampa,  ultimatum, appelli alla piazza. Ora Franco, due giorni fa, dai colleghi europei si è sentito bacchettare, per quanto amichevolmente.  Il presidente dell’Eurogruppo, Paschal Donohoe, irlandese tutto d’un pezzo, e il direttore del Fondo salva stati, il tedesco Klaus Regling, si sono fatti sentire. Anche perché l’Italia, insieme alla Germania ancora in attesa del pronunciamento della Corte di Karlsruhe sulla costituzionalità del Mes, è l’unico stato membro  in ritardo nella ratifica. 

Che però risulta strategica, ora, anche per un’altra ragione. Nel paper firmato dai consiglieri economici di Draghi e Macron, quello in cui Palazzo Chigi e l’Eliseo indicano una via condivisa per la revisione del Patto di stabilità, è proprio il Mes che viene suggerito come possibile contenitore della nuova Agenzia europea della gestione del debito, quella che dovrebbe sovrintendere alla mutualizzazione delle spese fatte in deficit dagli stati membri durante i due anni della pandemia. E come potrebbe, chi sta al governo reclamando l’abbandono della stagione dell’austerity europea, contestare la ratifica di un trattato che diventerebbe essenziale nell’architettura dei nuovi vincoli europei? E’ anche a questo che Salvini dovrà pensare, nelle trattative sul Quirinale sul quel che ne seguirà.

Di più su questi argomenti:
  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.