Matteo Salvini con Claudio Borghi e Alberto Bagnai (foto LaPresse)

Ecco le prove che Salvini sapeva tutto del “complotto sul Mes”

Valerio Valentini

La riforma del “salva stati” discussa in due Cdm gialloverdi. E alla Camera Borghi e Garavaglia espressero parere favorevole

Roma. Se davvero quello sulla riforma del Mes è “un complotto”, come Matteo Salvini va urlando da settimane, allora il leader della Lega è uno dei congiurati. Magari a sua insaputa, chissà. Ma l’ex ministro dell’Interno ha infatti contribuito a questa “congiura ai danni dell’Italia”: in almeno due Consigli dei ministri, infatti, tenuti dal governo di cui era vicepremier, si è parlato della revisione del Fondo salva stati. Senza che dalla bocca di Salvini venisse pronunciata mezza sillaba di protesta. La prima volta che un dossier contenente la riforma del Mes finisce sul tavolo del Cdm è il 21 dicembre 2018: e quel pomeriggio a condurre i lavori dell’assise è il sottosegretario Giancarlo Giorgetti. Due mesi più tardi, il 27 febbraio, si affronta nuovamente il tema: e in quel caso a svolgere le funzioni di segretario del Cdm è Riccardo Fraccaro, il ministro grillino che, essendo assenti sia Giorgetti sia il responsabile delle Politiche europee Paolo Savona, si ritrova a svolgere una breve illustrazione della riforma del Mes.

 

Ma andiamo con ordine. Il 21 dicembre il Cdm esamina, su proposta di quel Savona così strenuamente voluto da Salvini al governo, la “Relazione programmatica per il 2019 sulla partecipazione dell’Italia all’Unione Europea”: un documento in cui si illustrano le intenzioni dell’esecutivo rispetto alle principali questioni politiche, economiche e diplomatiche che l’Ue affronterà nel corso dell’anno. E, tra queste, c’è anche il Mes. Si legge a pagina 27: “Quanto al Mes, l’Italia sarà favorevole a iniziative volte a migliorare l’efficacia degli strumenti esistenti (…). Si opporrà tuttavia all’affidamento al Mes di compiti di sorveglianza macroeconomica degli Stati membri che rappresenterebbero una duplicazione delle competenze già in capo alla Commissione europea”.

 

Insomma, nessun allarme. L’Italia darà il suo assenso a patto che – in buona sintesi – non si dia seguito all’ipotesi avanzata dalla Germania di porre in capo a una sorta di Fondo monetario europeo (con alla guida un ministro unico europeo dell’Economia) il compito di tenere sotto controllo i conti degli stati membri, e in caso imporre una correzione in maniera automatica. Un punto su cui peraltro Giovanni Tria si era già imposto nel corso dell’Eurogruppo del 3 dicembre 2018, dove era stata raggiunta la prima intesa sulla riforma del Mes. Come che sia, questa Relazione viene trasmessa al Parlamento che, secondo una legge del 2012 approvata per coinvolgere le Camere nella definizione della politica europea dell’Italia, dovrà esprimersi sul merito. Ed è particolarmente interessante quel che accade alla Camera, e nella fattispecie in quella commissione Bilancio presieduta dal capofila degli oppositori del Mes, Claudio Borghi. La commissione è chiamata a esprimere un proprio parere sulla Relazione, e a esprimere parere favorevole è il relatore Alberto Ribolla. Che, guarda caso, è un leghista. Qualcosa da rilevare, sulla terribile riforma del Mes? Nulla. Se non ribadire le osservazioni già espresse dal governo nella Relazione.

 

Borghi e Garavaglia favorevoli

 

Ma non basta. Perché i deputati Luigi Marattin e Pier Carlo Padoan (Pd), chiedono conto al governo di un precedente intervento, assai critico sulla politica economica di Bruxelles, svolto da un altro leghista, Giuseppe Bellachioma. “Insisto quindi – dice Marattin – affinché il sottosegretario esprima la posizione del governo in merito”. E il sottosegretario in questione è Massimo Garavaglia. Che, guarda caso, è pure lui un leghista. E cosa risponde Garavaglia? “E’ necessario non confondere gli interventi di tipo politico, come quello del deputato Bellachioma, con la sintesi delle varie posizioni espressa nella proposta di parere del relatore, che, a suo avviso, risulta equilibrata”. Insomma, anche Garavaglia è favorevole. E Borghi? Anche il presidente della commissione, che pure non ritiene di dovere citare il Mes nel suo discorso conclusivo, conferma il parere favorevole, pretendendo però di aggiungere una postilla. E cioè “che siano adottate iniziative volte a sospendere, ove possibile, ogni determinazione conclusiva in merito, per esempio, all’istituzione di un ministro europeo dell’economia e delle finanze e all’incorporazione del trattato del Fiscal compact nel diritto dell’Ue (ipotesi già sostanzialmente archiviata, ndr), in attesa degli esiti delle prossime consultazioni elettorali per l’elezione del Parlamento europeo”. Nulla di tutto questo è presente nella riforma del Mes.

 

“Nessun automatismo”: lo dice Savona

 

Insomma, ora la Lega lamenta uno scarso coinvolgimento del Parlamento. Ma nell’occasione in cui il Parlamento fu chiamato a pronunciarsi nel merito, nessuno dei leghisti ritenne di dovere questionare alcunché, sul Mes. E che del resto ci fosse poco da protestare, lo affermava lo stesso Savona (il “mister Piano B” benedetto da Salvini) in un altro suo atto ufficiale, la “Relazione consuntiva del 2018 sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea” illustrata da Fraccaro, alla presenza dei ministri leghisti e dei due vicepremier, nel Cdm del 27 febbraio 2019. Si tratta, in questo caso, di una Relazione che dà conto di quanto il governo italiano ha fatto nel corso dell’anno precedente in sede europea. E, in riferimento alla revisione del Mes, vengono citate esplicitamente tutte le modifiche apportate o discusse nell’Eurogruppo e nell’Eurosummit del 3 e del 14 dicembre 2018: dalla modifica della Precautionary conditioned credit line alla collaborazione tra Commissione e Mes, fino all’introduzione delle CACs di tipo single limb entro il 2022. Esattamente tutte le cose oggi d’improvviso diventate pericolosissime. Eccolo il “complotto” ordito nottetempo ai danni dell’inconsapevole Salvini: tutto su una Relazione che Salvini ha ricevuto da almeno nove mesi. Una relazione che fuga qualsiasi dubbio anche rispetto all’altro spettro agitato dai dirigenti leghisti. Si legge a pagina 15: “Grazie anche all’iniziativa italiana, è stato evitato che nell’accordo finale fossero contemplate misure, chieste da diversi altri stati membri, relative a meccanismi di ristrutturazione automatica del debito sovrano e al ruolo del Mes nella sorveglianza fiscale o nell’analisi di sostenibilità del debito”.

 

Il non complotto di giugno

 

Si arriva, infine, al 19 giugno del 2019. Alla vigilia del Consiglio europeo che dovrebbe approvare la revisione del Mes, la Lega presenta una risoluzione di maggioranza, votata anche dal M5s, in cui si impegna il governo “a render note alle Camere le proposte di modifica al trattato Mes, elaborate in sede europea, al fine di consentire al Parlamento di esprimersi con un atto di indirizzo e, conseguentemente, a sospendere ogni determinazione definitiva finché il Parlamento non si sia pronunciato”. Un atto d’indirizzo che, a giudizio dei leghisti, non sarebbe stato rispettato da Conte, accusato pertanto di “alto tradimento”, come se il premier avesse approvato la riforma in via definitiva ignorando il volere delle Camere. Strano, perché nel Consiglio europeo del 21 giugno non si è approvato alcunché: e anzi, nello statement conclusivo, proprio per volere del governo italiano è stata inserita una dichiarazione che precisava come si dovesse ancora continuare a lavorare per raggiungere un accordo. Certo, questo non significa che sia possibile riaprire il negoziato, come ha detto ieri il ministro dell’Economia Gualtieri, visto lo stato di avanzamento della negoziazione. Una negoziazione che, però, è avvenuta senza che nessuno impedisse a Salvini di averne contezza. Anzi: viene da pensare che, se questo “complotto” s’è consumato sotto i suoi occhi, Salvini – per citare il suo slogan usato contro i “traditori della patria” – “o è complice o è incapace”.

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