E' morto Francesco Forte, economista dalle visioni non ordinarie

Giuseppe De Filippi

Scompare a quasi 93 anni uno dei pensatori economici più lucidi nell'Italia del secondo Novecento. Vicepresidente dell'Eni, tre volte ministro, estraneo ai dogmi dei due partiti chiesa, fu uno degli architetti del riformismo del Psi di Craxi

Una vita lunga e splendidamente trascorsa tra le idee e le realizzazioni dell’economia politica. Al compianto di fronte alla morte si unisce una certa invidia per il modo in cui Francesco Forte ha potuto attraversare gli anni della nostra storia repubblicana sempre col pensiero in azione e con un ruolo nella scena pubblica. La sua vita ci fa vedere quanto quelli che coincidono con lo sviluppo dell’Italia a partire dal processo costituente dalla siano stati anni di opportunità, anche fuori dai due grandi partiti chiesa. La sua prima adesione al Psdi e poi, nel 1960, al Psi (scelta avvenuta dichiaratamente per la svolta riformista del partito), ci raccontano non certo di un’infatuazione per il socialismo o per la socialdemocrazia, ma la ricerca di uno spazio in cui proporre analisi, visioni e soluzioni non ordinarie per l’epoca, si direbbe non retoriche, perché estranee all’ossequio banale verso il progressismo.

La sua formazione (anche) americana lo aveva reso immune dalla fiducia nei grandi obiettivi comuni perseguiti dalle rappresentanze, o dalle guide, politiche. Negli anni della grande passione nazionale per l’appartenenza militante Forte aveva scelto di seguire idee laterali rispetto alle grandi correnti, come quelle che venivano studiate nella scuola della Public Choice, guidata dal futuro premio Nobel e soprattutto ispiratore di affermazioni elettorali e di realizzazioni politiche James Buchanan. Idee che ben si mischiavano con un certo pragmatismo e anti-idealismo propri della scuola italiana di scienza delle finanze, in cui era stato formato e in cui si era perfettamente trovato a suo agio. Tanto da essere scelto da Ezio Vanoni come suo supplente all’Università di Milano e poi, da lì, aver proseguito nell’insegnamento universitario con vari incarichi e cattedre, tra Urbino, Torino, Roma, la Calabria.

Anni di opportunità, si diceva, in cui il molto promettente professore eterodosso trovava stimoli e impegni all’Ocse e al Fmi, oltre a incarichi di studio e insegnamento presso varie importanti università americane e britanniche. Per niente provinciale, chiaro, anzi antesignano, tra gli italiani dell’epoca, di una formazione culturale atlantista e di una cultura molto arricchita da frequentazioni anglosassoni. Il tutto restando un socialista italiano degli anni Sessanta e senza affettare quel sussiego da Ivy League che altri mettevano anche per un solo mese estivo passato a fare qualche ricerca presso università americane o quell’aria da frequentatore della City assunta da chi aveva varcato, per un salutino a qualcuno, la porta di qualche banca inglese. Quindi, formazione e contatti internazionali e poi via con l’impegno in Italia e in Europa, ma, ripetiamo, senza assumere l’aria da profeta del vincolo esterno, sempre un po’ rifugio di chi, in fondo, negli italiani non aveva alcuna fiducia e forse un po’ li detestava. Forte, invece, amava il suo paese delle opportunità. Trovandone, per sua e nostra fortuna, anche in un luogo di potere economico come l’Eni, dove ebbe spazio l’allora giovane professore per ricerche e studi, diventandone poi anche vicepresidente negli anni Settanta. E il Psi riformista dava, sempre a quel giovane professore, l’incarico di responsabile economico.

Bettino Craxi lo conosceva bene, comuni le frequentazioni nel mondo innovativo del riformismo socialista, specialmente di matrice milanese. E Forte fu uno dei maggiori protagonisti dell’azione del Psi craxiano in politica economica, come ministro delle Finanze e poi degli Affari Europei, prima nel governo di Amintore Fanfani e poi in quelli di Craxi, e partecipando a una stagione ricca di neuroni e di ambizione, e assumendo un ruolo di spicco pure in un gruppo eterogeneo, coraggioso e competitivo. Non faceva conto cinicamente sul vincolo esterno, come dicevamo, ma si impegnava per una partecipazione italiana consapevole e fattiva alle vicende europee. Abituato a confrontare le idee con la pratica si è messo anche alla prova dell’amministrazione, da sindaco di Bormio, nella provincia di Sondrio che gli era cara e da dove venne eletto deputato e senatore. E fu in grado di restare sulla scena pubblica anche dopo il taglio brutale dell’esperienza craxiana. Tornando pienamente un intellettuale capace di un sempre interessante e originale mix tra pensiero non ortodosso e senso comune.

Dal febbraio del 1929, in cui era nato a Busto Arsizio, figlio di un magistrato, ha attraversato la nostra storia nazionale senza fermare mai il cervello né la penna. Tanti i suoi saggi di politica economica e quasi quotidiana la partecipazione pubblicistica al dibattito di politica economica. È morto poco prima di arrivare a 93 anni e scrivendo fino all’ultimo. L’editore Rubettino fa sapere che è ora in stampa un saggio scritto da Forte con Maria Luisa Trussardi, in inglese, su Fashion and Luxury Fashion in the Third Millennium. E non si potrebbe pensare nulla di più efficace di questo lavoro postumo per testimoniare una vita italiana ma non provinciale, coraggiosa, intelligente.

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