L'intervista

"Altro che Giorgetti! Il semipresidenzialismo lo ha inventato la sinistra". Parla Cesare Salvi

La storia di una riforma (mancata) dalla Bicamerale a Draghi

Carmelo Caruso

Rilanciato da Giorgetti, accarezzato da Craxi, bocciato da Fini (e Berlusconi) è tornato il "semipresidenzialismo". "Metterebbe fine a delle ambiguità". Intervista a Cesare Salvi, l'ex ministro dei Ds che aveva formulato la proposta di legge

Roma. Lo hanno inventato loro e se lo sono preso gli altri. Enrico Letta farebbe bene a chiamare (lo ha fatto il Foglio) quel galantuomo di Cesare Salvi, ex ministro del Lavoro, parlamentare con il Pci, Pds, Ds,  e spiegare a Giancarlo Giorgetti quanto si sta per elencare. 1) “Il semipresidenzialismo è di sinistra”; 2) “La tua proposta sul semipresidenzialismo ci piace, ragioniamoci seriamente”; 3) “Ma tu, che ci fai ancora nella Lega?”. Grazie al ministro dello Sviluppo economico è tornata infatti una chimera naufragata con la Bicamerale. Si chiama “semipresidenzialismo” e il primo a immaginarlo è stato proprio Salvi che oggi dice: “Il semipresidenzialismo non è di destra, non è di sinistra ma è accettabilissimo per la sinistra. Sulla Carta (costituzionale) è come se ci fosse senza esserci.  Non è forse di sinistra avere un presidente della Repubblica incoronato dal popolo?”.

Tutto è cominciato con l’idea (ma quante ne ha?) di Giorgetti. Ha raccontato a Bruno Vespa (e si semplifica) che Draghi può essere tranquillamente eletto al Quirinale e svolgere il ruolo di super presidente del Consiglio. La frase esatta è questa: “Uno come lui anche da lì può guidare il convoglio”. La sinistra (e si comprende pure Giuseppe Conte) ascoltando questo Giorgetti “vespizzato” si è infuriata. La proposta già cassata. Ma perché? Ricorda Salvi: “E’ stata la sinistra, e in quel caso io, a suggerire questa speciale forma di governo che, come spiegherò, farebbe finalmente chiarezza su molti aspetti ‘aperti’ della Carta”.

 

Era il 1998 e i protagonisti, “diciamo”, erano D’Alema, Berlusconi, Occhetto, Prodi (non è che sia cambiato poi molto). Confusa con “presidenzialismo”, che profuma di Francia, e di marescialli (De Gaulle), il semi(presidenzialismo) ha avuto scarsa fortuna a sinistra che sempre rimprovera e lo definisce come “qualcosa di destra”. E invece? “E invece – racconta Salvi – è stata la destra con Berlusconi e Fini a fare fallire il (semi)presidenzialismo, quella proposta che avevo presentato come norma e che prevedeva l’elezione diretta del capo dello stato”. Voleva insomma i marescialli? “Certo che no! Volevo un bilanciamento dei poteri ma soprattutto fare ordine dal punto di vista giuridico”. Quando Giorgetti si immagina il semipresidenzialismo sogna da sveglio. Sergio Mattarella, e si sa, espresse (era il primo governo Conte) un veto su Paolo Savona come ministro. Oscar Luigi Scalfaro si oppose alla nomina di Cesare Previti come titolare della Giustizia (governo Berlusconi).

I giuristi come Salvi, da anni, si interrogano sull’istituto della “controfirma” presidenziale, eredità dello Statuto Albertino. “E poi – ancora Salvi – la carta prevede che il presidente, recito, ‘autorizza la presentazione dei disegni di legge di iniziativa del governo’. Ma se non lo fa? Cosa accadrebbe se si rifiutasse? E’ la solita separazione fra dottrina e prassi”. Si vuole dire che anche senza l’elezione diretta, il capo dello stato possiede poteri iper-presidenziali, tutti contenuti nell’articolo 87 della Carta: nomina dei funzionari dello stato attraverso dpr, è capo delle Forze armate, capo del Csm… Salvi aggiungeva l’elezione diretta, la distinzione dei poteri di “controfirma”. Si scatenò un dibattito, si scrissero interventi, si fece polemica, che è il buon lievito dei giornali. Sempre Salvi: “Si opposero, legittimamente, Repubblica, L’Espresso. E poi editorialisti come Angelo Panebianco, Ernesto Galli della Loggia”. Berlusconi? “Persona straordinaria e simpatica. Ci lavorò sul serio, ma quando comprese che non serviva a fare cadere Prodi, lasciò perdere”. La Lega? “C’era Miglio che aveva un ascendente su Bossi. Era favorevole al semipresidenzialismo”.

 

Il “no” arrivò da destra, da Gianfranco Fini. “Per lui il semipresidenzialismo era troppo poco”. Memoria a parte, per Salvi, il paradosso è un altro, questo: “Abbiamo presidenti di regione che chiamiamo governatori. Hanno più potere di quelli americani. Il loro è un semipresidenzialismo esasperato. Curioso che poi ci spaventiamo del semipresidenzialismo di governo”. Perché la sinistra lo teme? “E’ sempre passato come un sistema craxiano e il rischio, per la sinistra, è l’autoritarismo. In realtà, come si vede, a conti fatti, la sinistra era favorevole”. Giorgetti è di sinistra? “Non è uno sciocco. Questa qualità va oltre la destra e la sinistra”. Cosa può fare Draghi al Quirinale? “Impedire alla destra di fare cose alla polacca. Penso che Giorgetti lo voglia lì anche per questo”. Il “professor Salvi” aggiungerebbe, se potesse, l’investitura popolare. Quindi anche lei vorrebbe Draghi presidente della Repubblica? “Al Quirinale sarebbe una garanzia e i suoi poteri, come detto, non contrastano”. Il Parlamento riuscirà a votarlo? “E chi lo capisce cosa ha in mente questo Parlamento? Io non ci riesco”. E però ha anticipato Giorgetti. “Diciamo che Giorgetti mi ha fatto tornare giovane”. Il semipresidenzialismo è di Salvi? “E se dicessimo che è una buona idea?”. In asse con Giorgetti. Inciucio? “Che bello”.

Di più su questi argomenti:
  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio