"Giorgetti è la prova che su Salvini abbiamo ragione noi". Le voci dei ministri di FI

Valerio Valentini

Brunetta rivendica la paternità sul semipresidenzialismo, e torna sul Ppe: "Non c'è alternativa draghiana a quelle delle grandi famiglie europee". Carfagna e l'orgoglio azzurro. La Gelmini mette in guardia: "Occhio al gioco delle parti tra Lega di lotta e Lega di governo". La scazzottata nel Carroccio letta dagli alfieri di governo del Cav.

Ai parlamentari che lo chiamano per rallegrarsi, lui risponde col puntiglio di chi la ragione vuole averla fino in fondo. “Legittimarci? Più che legittimarci, ci copia, dovrei chiedergli i diritti d’autore”. Renato Brunetta ce l’ha con Giancarlo Giorgetti e con l’ipotesi del “semipresidenzialismo di fatto”: quello, cioè, che si dovrebbe instaurare con l’ascesa al Colle di Mario Draghi. “Un’idea che io sostengo pubblicamente almeno dal maggio scorso”. Ma non è, ovviamente, solo una questione di copyright. “Il nodo è politico”, aggiunge Maria Stella Gelmini. Lo dice, anche lei, solo ai suoi confidenti. Perché in realtà i tre ministri azzurri, nel commentare tra loro le dichiarazioni dirompenti del vicesegretario del Carroccio, concordano la linea del silenzio. Ma i parlamentari li cercano, chiedono lumi: e poi si spettegolano. E un po’ tutti, sulla sponda governista di Forza Italia, convengono che “d’ora in poi sarà complicato dire che le nostre critiche alla linea sovranista di Salvini sono pretestuose, visto che a muovergliele è il suo stesso vice”.

Mara Carfagna, del resto, quando aveva riunito un manipolo di parlamentari nel suo ufficio, dopo l’assemblea dei deputati che aveva sancito la rottura tra i due fronti interni al partito, era stata chiara: “A noi basterà essere coerentemente draghiani, per affermare le nostre ragioni”. E certo c’era stato chi questo atteggiamento attendista lo aveva criticato. E però anche la Gelmini è andata ripetendo in questi giorni una tesi analoga: spiegando, cioè, che forse Salvini si era illuso che gli sarebbe bastato benedire il governo Draghi, per mondarsi l’anima, “e invece la fiducia al premier non era che il primo passo di un lungo percorso che avrebbe inevitabilmente fatto emergere le contraddizioni del sovranismo”. Pareva eresia, agli occhi dei forzisti più vicini al capo del Carroccio. Pareva quasi collaborazionismo col nemico. E invece quando ieri sono stati dati alle agenzie gli stralci dell’intervista concessa da Giorgetti a Bruno Vespa, quando insomma il titolare dello Sviluppo ha riconosciuto che la svolta europeista di Salvini “è un’opera incompiuta”, anche il ragionamento della ministra per gli Affari regionali s’è ricomposto sotto un’altra luce. 

L’Europa, appunto. Il nodo resta quello. “Perché è quella la cartina di tornasole che dimostra se la maturazione europeista della Lega potrà dirsi conclusa”, insisteva Brunetta coi deputati azzurri. I quali notavano come, nel giorno in cui il Cav. volava dalla Merkel per farsi garante dell’affidabilità di Salvini, il leader della Lega annunciava un imminente incontro con la Le Pen. La stessa che Giorgetti ieri gli ha suggerito di mollare, affrancandosi pure dagli estremisti di destra tedeschi di AfD, proprio mentre Salvini, in corteo al fianco del presidente brasiliano Bolsonaro, ribadiva il suo “mai nel Ppe, né ora né in futuro”. “Sono stato criticato per aver proposto una lettura della maggioranza che sostiene Draghi attraverso gli schemi dei grandi gruppi”, s’è sfogato nelle scorse ore Brunetta. “Adesso le parole di Giorgetti, che esorta Salvini a entrare nel Ppe, dimostrano che non c’è una maggioranza ‘draghiana’ che non si riconosca nella dialettica tra le famiglie tradizionali dell’Ue, quelle che sostengono la Commissione di Ursula von der Leyen”.

E questo vale per il Draghi premier, ovviamente. Ma varrebbe anche per un Draghi presidente della Repubblica. Perché chi vuole candidarlo al Quirinale illudendosi che ciò varrebbe a toglierselo di mezzo, a ridurne influenza e centralità, a giudizio dei ministri azzurri sbaglia. “Semmai significherebbe stabilire – dicono – che su alcuni punti fermi, come l’europeismo, non sono ammessi scantonamenti”. E invece anche su questo i leghisti praticano ambiguità: da un lato rassicurando il Cav. e fomentando le sua ambizioni quirinalizie, dall’altro prospettando l’apoteosi di Draghi. Al che forse viene da prendere per buone le parole con cui la Gelmini esortava alcuni dei suoi fedelissimi a non esaltarsi troppo, di fronte alle bordate di Giorgetti contro “il Bud Spencer” Salvini. Che in fondo anche questo, fino a prova contraria, potrebbe essere l’ennesimo bisticcio senza conseguenze reali, “l’ennesima prova di un gioco delle parti tra Lega di lotta e Lega di governo”. Molto rumore per nulla?

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.