L'intervista

“Attento, Pd: non è il voto sullo Zan a definire il perimetro del centrosinistra”. Parla Zanda

Valerio Valentini

"Renzi si decida: il rapporto con Riad e con FI va chiarito. Ma i dem non devono precludersi il dialogo col centrodestra non sovranista". Intervista al decano dei senatori del Pd

Le reazioni più accalorate, quelle dettate dall’ansia del momento, Luigi Zanda le guarda col sopracciglio bonariamente alzato di chi ne ha viste troppe, per pensare che questa, che anche questa, sia l’ennesima fine del mondo. “Certamente una giornata triste, non c’è dubbio. Ma andrei cauto a parlare di rotture insanabili, di spartiacque definitivi”. Ne parla Enrico Letta, a modo suo. Ne parla anche il suo vice Peppe Provenzano. Sbagliano? “No, hanno ragione, e però…”. E qui il senatore del Pd sospira: “E però dico che non è il voto di ieri ad aver definito il perimetro del centrosinistra, non è dall’esito di uno scrutinio segreto certamente grave sul ddl Zan che il Pd deve elaborare la sua politica delle alleanze. Fare questa equivalenza sarebbe un errore. E non tanto perché annunciare che il campo progressista si restringe al solo Pd col M5s e Leu vuol dire rassegnarsi a restare in minoranza nell’Aula del Senato di qui fino alla fine della legislatura, ma anche perché quella del voto segreto è una logica spesso perversa, dettata non necessariamente da grandi tattiche politiche, ma più spesso da dubbi personali,  da manovre di piccolo cabotaggio. E del resto andare alla caccia dei franchi tiratori, provare a identificarli, oltre che contarli, è un esercizio, più che sbagliato, inutile”.  Eppure c’è chi, nel suo partito, i colpevoli ha saputo additarli subito nei renziani. Al che viene da pensare come mai, se la logica che avrebbe portato il leader di Italia viva a saltare la barricata per andare a destra era davvero così evidente e scontata, come mai si sia arrivati a un voto segreto contando invece sul sostegno dei suoi dodici senatori presenti in Aula.

Zanda: "Renzi chiarisca i rapporti con Riad e Forza Italia"

“È chiaro che qualcosa non è andato come doveva, e che alle dichiarazioni di voto dei vari gruppi non è corrisposto un atteggiamento conseguente dei rispettivi parlamentari”, osserva Zanda, che gli umori dell’Aula di Palazzo Madama sa interpretarli come pochi. “Quanto a Italia viva – prosegue – a me pare invece che se Renzi deve sciogliere delle ambiguità, queste non siano soltanto in merito al voto segreto dei suoi. Ma semmai sul fatto che sembra avere parecchi interessi extrapolitici, o quantomeno extraparlamentari, come dimostra il suo viaggio a Riad nel giorno del voto su una legge così importante per i diritti civili”. Non solo, secondo Zanda, il leader di Italia viva “dovrebbe spiegare se l’accordo con la Forza Italia di Gianfranco Miccichè, annunciato in vista delle regionali siciliane, è un fatto che resta confinato sull’isola o se è invece il preludio di un cambio di strategia strutturale su scala nazionale. È da lì che passa la risoluzione del rebus per capire se Renzi, che è stato il leader del Pd, si riconosce ancora nel centrosinistra, o se ha invece  deciso di andare a destra”. 

 

Insomma, questo Ulivo rischia davvero di essersi ristretto prima ancora di nascere, col tabù del Pd verso il suo ex segretario, col Nazareno al centro del fuoco incrociato di veti e improperii tra Conte e Calenda, che pure dovrebbero essere due futuribili alleati. “Il lavoro del Pd dovrà essere un lavoro paziente e oculato – spiega ancora Zanda – che non tiene conto delle fibrillazioni quotidiane e che guarda alla scadenza del 2023. L’alleanza tra Letta e Conte, di natura eminentemente tattica, se ben coltivata potrà evolvere e maturare. Col centro di Renzi e Calenda permangono delle incognite. Ma il Pd non deve dimenticare che, al di là del gioco delle alleanze, c’è almeno un 40 per cento di elettorato potenziale che può e deve essere richiamato a casa, e che s’è disperso tra l’astensione, il M5s e i  partiti sorti dalle varie scissioni. Di qui al 2023, dovremo essere in grado di parlare a quelle persone, ben sapendo che Mario Draghi sta cambiando la politica in modo forse perfino più radicale di quanto lui non possa immaginare”.

E come? “Imponendo una leadership tutta fondata sul prendere sul serio i problemi, ammetterli con onestà e spendere parole di verità per spiegare come risolverli. Vista lunga e passo certo. Se ne uscirà, da questa fase, forse con una democrazia più matura, retta da un bipolarismo chiaro e coerente”. In cui la destra farà la destra, e la sinistra la sinistra? “Questo inizio di secolo ha imposto fratture nuove”, dice Zanda: “Oltre alla contrapposizione tradizionale tra progressisti e conservatori, c’è anche quella tra chi segue l’interesse di lungo periodo e chi esercita l’egoismo del consenso istantaneo. D’altronde anche la destra sbaglierebbe a pensare di essere uscita rinsaldata dal voto di mercoledì al Senato. Le loro contraddizioni permangono tutte: la competitività muscolare tra Lega e FdI è sempre lì, e la distanza tra FI e il fronte sovranista è evidente, al netto dei tatticismi del momento”.

 

Eppure anche con FI, dice Letta, il dialogo è chiuso, dopo il voto sullo Zan. “Non c’è dubbio che votare contro il ddl è una scelta che allontana l’Italia dall’Europa – ammette il senatore dem – E però FI è un partito sanamente conservatore, che sta nel Ppe, che non ha nulla a che fare con leader illiberali come Orbán. Io credo che, pur nella distinzione dei ruoli e degli schieramenti, il Pd farebbe bene a tenere aperto un dialogo costruttivo con quella parte di FI meno incline alle derive sovraniste”.

Anche in vista della sfida per il Colle, di cui qualcuno ha voluto vedere proprio nel voto segreto sullo Zan una prova generale? “Il voto per il Quirinale avrà logiche diverse, che dipenderanno dalla sapienza con cui i partiti sapranno prepararlo”, conclude Zanda. “Che ora si parli di Draghi e di Mattarella è in fondo inevitabile, perché sarebbe ipocrita negare che, ciascuno per delle sue specifiche virtù, incarnano un modello di autorevolezza e saggezza che sarebbero una garanzia per il paese e per tutto il Parlamento. Ma mancano tre mesi, ancora. La strada è lunga, e questo frastuono certo non aiuta”.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.