analisi della sconfitta

Il flop al nord di Conte trasforma il M5s nella Lega Sud di Letta

Luciano Capone

Dalle amministrative i grillini escono con le ossa rotte. Il loro ruolo, oggi, è di scudieri dei democratici nel meridione

I risultati delle elezioni serviranno sicuramente a fare chiarezza sull’identità del M5s. Il movimento si presentava a questa tornata elettorale con un collegio alla Camera, perso senza presentare una candidatura, e due città, Torino e Roma, entrambe perse malamente. Pare confermarsi una legge che, a parte qualche piccola eccezione, vede sistematicamente gli amministratori grillini incapaci di riconfermarsi. Difficilmente gli elettori, dopo averli sperimentati, gli conferiscono un secondo mandato. L’esito era talmente scontato a Torino che la sindaca uscente, Chiara Appendino, ha rifiutato di candidarsi e il M5s difficilmente riuscirà a superare il tetto del 10 per cento. Ma le cose sono andate male anche a Roma, città simbolo per il M5s, dove la punta di diamante Virginia Raggi non è riuscita ad arrivare al ballottaggio fermandosi al 20 per cento dei consensi: un risultato misero per un sindaco uscente che cinque anni fa aveva vinto al ballottaggio col 67 per cento.

La sconfitta è da addebitare in gran parte alla vecchia gestione, ma può dirci qualcosa anche sul nuovo corso di Giuseppe Conte. Il primo elemento riguarda la campagna del Nord che Conte, da neo leader del partito, aveva inaugurato con una lettera alla città di Milano in cui indicava una rinnovata attenzione del nuovo M5s ai ceti produttivi del nord. L’esito della campagna è fallimentare. A Milano Layla Pavone, la candidata voluta proprio da Conte, è data attorno al 3 per cento, alla pari con il fuoriuscito Gianluigi Paragone che si è presentato con un’agenda No euro e No vax. A Bologna il contributo del M5s alla travolgente vittoria di Lepore del Pd è ininfluente e comunque, secondo le proiezioni, sotto il 5 per cento. A Trieste, la città del ministro e super contiano Stefano Patuanelli, le proiezioni danno la candidata del M5s al 3 per cento e sotto al candidato No vax del movimento 3V. A Torino, città governata dal M5s, come detto i consensi sono attorno al 9 per cento (nel 2016 Appendino prese il 30 per cento al primo turno e il 55 per cento al secondo).

 

L’altro elemento riguarda la classe dirigente. Conte vuole rinnovare il partito, ma sembra intenzionato a ripartire dalle due personalità molto popolari nella base ma sonoramente bocciate dagli elettori: Appendino e Raggi. Il terzo nodo che il leader del M5s dovrà sciogliere è quello della strategia: ritorno alle origini (né destra né sinistra) o alleanza strutturale col Pd? La prima opzione, à la Di Battista, non sembra percorribile anche perché il M5s non è più credibile in quel ruolo anti casta e anti sistema. Resta la seconda, che diventa inevitabile dopo la sconfitta elettorale. La prospettiva più concreta per il M5s, dopo il fallimento della sua classe dirigente alla prova del governo e l’incapacità di prendere consensi significativi nel nord, è quella di diventare un junior partner del Pd radicato nel Mezzogiorno. Il M5s può insomma diventare per Enrico Letta una Lega Sud. E Conte il suo Bossi.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali