L'intervista

Cingolani: “La transizione ecologica è un compromesso, o non è niente”

Valerio Valentini

Il passaggio dalle fonti fossili alle rinnovabili deve essere né troppo veloce (danneggerebbe la sostenibilità sociale), né troppo lenta. Il ministro alla Festa del Foglio

Al Festival dell’Innovazione del Foglio ha partecipato in video collegamento anche il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani. Gli abbiamo chiesto per cominciare di indicarci tre elementi nello scenario urbano delle nostre città che oggi non siamo abituati a vedere e che nel futuro prossimo è verosimile e magari auspicabile che diventino comuni.


“Partiamo da un presupposto: circa un terzo dell’anidride carbonica viene prodotto dai sistemi manifatturieri, un quarto dalla mobilità e un quarto o poco meno dalle perdite energetiche degli edifici. Dal punto di vista tecnico bisogna andare ad attaccare questi tre grandi emettitori, i più importanti. A condizioni diverse, in futuro mi aspetto di vedere una mobilità elettrica, che viaggi su un gran numero di mezzi pubblici, magari dentro una struttura urbanistica diversa, tra le vie della città del futuro in cui tutto dista quindici minuti. Insomma, un grande cambiamento nel modo di muoversi dell’essere umano nei centri abitati. Mi aspetto di vedere industrie che abbiano fortemente ridotto o trasformato il consumo di energia. Un esempio su tutti: una grande acciaieria che oggi lavora grazie a centrali a carbone può essere convertita utilizzando forni elettrici. Terzo grande scenario: case costruite con criteri diversi. Al momento, con il governo, siamo impegnati nell’aumentare l’isolamento termico e energetico delle abitazioni per evitare lo spreco. Ma in futuro ci troveremo ad abitare in case costruite secondo architetture e metodologie diverse. Fino a qui un’analisi incrementale, il miglioramento di ciò che abbiamo ora. Nel futuro più remoto, dal 2040 o 2050 in poi, dovremo pensare a una struttura di città diversa, a una mobilità diversa e persino il concetto stesso di urbanizzazione verrà messo in discussione. Parlare con gli architetti fa capire anche cosa vuol dire progettare il bosco verticale o utilizzare l’edilizia in legno. Ci sono idee totalmente nuove che si distaccano molto dalle tecnologie odierne: diamogli il tempo di evolvere. Nel frattempo, realizziamo i tre punti fondamentali: isolamento degli edifici, mobilità e abbattimento della CO2 nel settore industriale”. 


In questo senso, lei dice spesso che la transizione non deve essere troppo lenta né troppo veloce: può spiegarci questo paradosso? 


“In generale, la sostenibilità è un concetto di equilibro tra istanze diverse e spesso opposte. La transizione, come strumento fondamentale della sostenibilità, deve rappresentare un compromesso. Se si attua una transizione troppo veloce, si accelera la sostenibilità ambientale, ma si danneggia quella sociale. Viceversa, se si rallenta la transizione, si favorisce la sostenibilità sociale, ma si rischia di non rispettare gli accordi di Parigi sul clima. Facciamo un esempio per intenderci meglio. Prendiamo il caso del settore automotive: in uno scenario del tutto ipotetico, oggi potremmo pensare di regalare a tutti un’auto elettrica. Bene, avremmo l’illusione di possedere auto a zero emissioni, ma si tratterebbe di auto caricate a energia elettrica che noi oggi produciamo bruciando carbone o gas: l’effetto netto non sarebbe pulito come lo vogliamo. L’eccesso opposto è il seguente: acceleriamo il progetto del Pnrr che prevede di installare 70 miliardi di watt di impianti rinnovabili nei prossimi 9 anni – una cifra mostruosa: 8 gigawatt all’anno contro gli 0,8 che produciamo attualmente. Quando la produzione di elettricità sarà verde al 75 per cento, compreremo la auto a energia rinnovabile. Beh, a quel punto sarebbe troppo tardi. No, la transizione deve essere sviluppata in maniera sostenibile: l’offerta di energia rinnovabile va alzata il più rapidamente possibile, contemporaneamente alla domanda. Occorre trovare il giusto compromesso tra preservare la competitività industriale, i posti di lavoro e il re-skilling della manodopera, ma farlo in assoluta velocità, perché i tempi della transizione ecologica sono stringenti: entro il 2030 dovremo raggiungere la decarbonizzazione al 55 per cento ed entro il 2050 la Net zero emissions. Non possiamo perdere un giorno. Di questo siamo tutti convinti. Il punto resta non ideologizzare e trovare il giusto compromesso”.

 


Che cosa pensa delle preoccupazioni espresse dal ministro dello Sviluppo economico Giorgetti e dal presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini sulle ricadute occupazionali nel settore dell’automotive e nei suoi distretti? L’Europa ha fissato obiettivi ambiziosi con il pacchetto Fit for 55: è possibile che il governo italiano, per via di queste preoccupazioni, chieda di rivedere i parametri di quel piano? 


“Prima osservazione. La Fit for 55 è una strategia ambiziosa e così deve essere. L’Europa è il continente leader e l’Italia svolge un ruolo importantissimo nel contesto europeo. E’ altrettanto evidente che l’Unione europea fissi parametri ambiziosi in attesa del feedback dei parlamenti degli stati membri per poi trovare una sintesi a livello prima nazionale e poi europeo. Il percorso mi sembra ineccepibile. Seconda osservazione: riguarda l’automotive, ma anche tanti altri settori: si parla di processi industriali di dimensioni colossali. La stessa Commissione europea ha chiesto di realizzare gli obiettivi entro nove anni. E in ogni stato ci sono specifiche realtà che chiedono salvaguardia. Non voglio fare deroghe sulla transizione, ma per alcune nicchie particolarmente eccellenti si può fare una riflessione. Vorrei anche aggiungere un punto: ricordiamoci che la Motor Valley ha risorse tecnologiche e umane così avanzate che sono sicuro troveranno non una, ma più soluzioni per superare questi ostacoli. Detto questo, per alcune nicchie potranno esistere forme di flessibilità. E se questo compromesso non troverà il favore dei nostri colleghi europei, d’accordo: è la democrazia. Al momento ci troviamo in una fase di discussione. Io sono un sostenitore di Fit for 55: modello e ambizione sono corretti. Sul resto, una discussione si può provare”. 

 


Qualcuno ha storto il naso quando ha notato che parte dei fondi stanziati nell’ambito del Pnrr saranno destinati all’efficientamento degli impianti termovalorizzatori. Ci si è chiesti: ma come, si realizza la transizione ecologica col più vituperato degli strumenti? Venendo a Roma, rappresenta un’anomalia o una virtù il fatto che la Capitale non abbia nelle sue immediate vicinanze un termovalorizzatore?


“Il Pnrr non ha stanziato un solo euro per gli impianti di termovalorizzazione perché le direttive europee lo escludono. Nei regolamenti attuativi c’è scritto che se un termovalorizzatore ha bisogno di lavori di manutenzione e aggiornamento, questi vanno eseguiti. Ma il piano non prevede nuovi impianti. Appena terminata la deadline per la presentazione del piano, la Commissione ha specificato che i termovalorizzatori non vanno esclusi, ma gli stati membri possono finanziarli con le loro risorse. Il punto è che sono previsti stanziamenti per 2,2 miliardi per nuovi investimenti in economia circolare. Dobbiamo guardare al futuro e il rifiuto deve diventare una risorsa. Il tentativo di realizzare una cinquantina di nuovi impianti su proposte innovative, che dipendano dalle caratteristiche locali, è molto importante. Sta per partire un bando, vedremo le proposte che arriveranno. Nei prossimi dieci anni dovremo arrivare a una fortissima differenziazione del rifiuto, auspicabilmente tra il 75 e l’80 per cento. Se arriveremo a questi valori, riusciremo a riciclare il 65 per cento e, al netto del resto, in discarica finirà soltanto il 10 per cento dei rifiuti prodotti. Non voglio eludere la domanda su Roma: non conosco la percentuale della città nella differenziazione, ma se siamo intorno al 50 per cento bisogna aumentarla ed evitare di pensare a discariche per il futuro. E’ il caso di essere chiari: quest’operazione non si realizza in un anno”.  

 


Lei è entrato in qualità di ministro tecnico in un governo costruito su complicati equilibri politici. Apprendemmo il suo ingresso grazie a una card postata sulla pagina Facebook ufficiale dal Movimento 5 stelle, in cui lei era compreso nella delegazione e arrivò anche la benedizione di Beppe Grillo sul suo nome. Nel giro di poco tempo, lei è diventato il nemico del M5s. Come ha vissuto questa “transizione” tutta politica?

Non penso assolutamente di essere il nemico dei Cinque stelle. Ho con i colleghi ministri – con tutti, anche con i Cinque stelle – rapporti assolutamente costruttivi. Stiamo tutti remando nella stessa direzione. Ho una vasta base di contatti tra i parlamentari, parlo molto con loro: alcuni non condividono il mio approccio troppo tecnico, vorrebbero che mi lasciassi andare di più a concessioni di tipo ideale. Il mio compito di tenere i conti energetici in ordine può non andare bene a tutti. Con Beppe Grillo ci parlo e con lui condivido l’idea per cui sia necessario impostare una politica energetica da qui al 2040 o al 2050. Il Pnrr è scritto e finanziato, durerà 5 anni: il presente è questo e mi rifiuto di pensare che il futuro siano i prossimi 72 mesi. Adesso il problema è l’implementazione del piano: discutiamone e, se qualcosa non va, correggiamola. Il futuro non è più neppure il 2025, ma dal 2030 in poi, quando dovremo far camminare con le nostre gambe e senza aiuti la transizione ecologica ed energetica. Se non avremmo impostato bene il posizionamento, la direzione e l’infrastruttura, dal 2027 in poi diventerà pesante mantenere la giusta velocità e tenere la corretta direzione. Qualche giorno fa ho incontrato il presidente Giuseppe Conte con la sua delegazione perché voleva parlare di problemi energetici e io sono ben contento di farlo. Da questi incontri non può che nascere una nuova consapevolezza. I nostri figli tra vent’anni ci giudicheranno sulla base di quanto siamo stati bravi a decarbonizzare il pianeta in cui vivranno. Se non saremo stati in grado, si troveranno a vivere in un’Italia desertificata con città costiere pericolosamente al di sotto del livello del mare. Credo che il fatto che la nostra efficacia sia misurabile nel futuro dai nostri figli ci abbia responsabilizzato tutti”.


Prima della pausa estiva le commissioni Ambiente di Camera e Senato hanno approvato con un blitz un provvedimento che subordina l’attuazione di alcuni progetti previsti dal Pnrr e di sua competenza al parere favorevole delle commissioni stesse. Come se non si fidassero di lei. Lo ritiene un incidente?

“Ho il massimo rispetto per l’attività parlamentare. Detto questo, dobbiamo aggiungere 72 gigawatt nei prossimi nove anni, otto all’anno. Vedremo se ci riusciremo. Tra breve renderemo pubblica una road map in cui inseriremo le aste, in modo che tutti sappiano quando si terranno nei prossimi 5 anni. Abbiamo redatto un piano e gli investitori sono pronti. Se riusciremo nel nostro intento, vorrà dire che non sarà stato un incidente. Se ci accorgeremo che sta trionfando l’ideologia Nimby, bisognerà fare una riflessione sul perché”.

 

La road map sembra guardare lontano, vuol dire che il governo durerà fino al 2023? 

“La road map vale per tutta la durata del Pnrr, circa 70 mesi. Servirà agli investitori per conoscere la data delle aste. Abbiamo varato il decreto Semplificazioni per rendere credibile la chiamata, abbiamo accelerato molto la pipeline dei permessi perché non ci volessero tempi interminabili per installare un impianto. In più, io ho il dovere di lasciare al mio successore un piano chiaro. Si potrà anche cambiarlo, ma negoziando prima con l’Europa”.
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.