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Importare l'ipocrisia?

Claudio Cerasa

Salvini e Meloni alla carica della “disastrosa gestione” di Biden del ritiro afghano. Ma non dicono che la scelta fu del loro idolo Trump. E non capiscono che esportare la libertà è una priorità dell’occidente

Esportare la democrazia o importare l’ipocrisia? Tra le reazioni più surreali registrate nelle ore successive alla riconquista di Kabul da parte dei talebani ce ne sono due che più delle altre hanno contribuito a far esplodere il rilevatore automatico di cialtronismo presente nel dibattito politico italiano. I protagonisti delle performance, come spesso accade quando i ragionamenti si spostano dal piano della sostanza a quello della demagogia, sono stati Matteo Salvini e Giorgia Meloni, che in un’escalation di ipocrisie senza fine sono arrivati a criticare il presidente americano, Joe Biden, per la scelta di ritirare le truppe dall’Afghanistan.

Non ci sarebbe nulla di male a criticare Biden per il modo indegno in cui l’America si è dileguata dall’Afghanistan. Ma Salvini e Meloni, da veri campioni olimpici nella disciplina della maratona dell’ipocrisia, sono riusciti nella non semplice impresa di risultare a loro volta indifendibili pur attaccando l’indifendibile approccio scelto dal presidente americano sul caso afghano. La prima ipocrisia, persino interessante, è quella che arriva da Matteo Salvini, pieno di sdegno per la decisione americana di “lasciare le donne e i bambini nelle mani dei tagliagole islamici, dopo anni di battaglie e di sofferenze”. La seconda ipocrisia, altrettanto affascinante, è quella che arriva da Giorgia Meloni, piena di disgusto per la “disastrosa gestione del dossier Afghanistan da parte dell’amministrazione democratica Biden, che fomenterà gli integralisti e che avrà gravi ripercussioni anche per la nostra sicurezza”. Chiosa di Meloni: “Diamo il ben tornato alla cinica dottrina Obama-Clinton-Biden: ‘Se non puoi vincere, crea caos’”.

Le frasi di Meloni e Salvini rappresentano non solo un formidabile manifesto della falsità politica ma sono anche il riflesso di un fallimento strategico di una dottrina politica di cui i leader nazionalisti in questi anni sono stati portavoce. Non bisogna essere degli scienziati della politica per ricordare che il ritiro delle truppe americane è stato solo confermato da Biden ed è stato invece deciso nel febbraio del 2020 dallo stesso Donald Trump che i sovranisti all’amatriciana oggi dimenticano di citare (e gli stessi repubblicani oggi molto indignati con Biden sono stati pizzicati martedì dal Washington Post mentre goffamente cancellavano una pagina dal sito ufficiale del Gop, quella in cui si elogiava Trump per il negoziato raggiunto con i talebani per far ritirare le truppe americane entro il maggio 2021, “in cambio di un accordo con i talebani per non consentire l’utilizzo dell’Afghanistan per il terrorismo transnazionale”). Non bisogna essere degli scienziati della geopolitica per notare che i liberali per Trump, dopo aver osannato ogni rutto del trumpismo (viva l’isolazionismo) e dopo aver tifato per il ritiro dell’America dal mondo (Yankee go home), ora sono lì a rimproverare Biden per aver fatto quello che aveva iniziato a fare Trump (è l’America first, bellezza). E non bisogna essere degli scienziati della diplomazia per rendersi conto che ciò che sta accadendo in Afghanistan in fondo è solo un mix tossico di ciò che i sovranisti hanno teorizzato per una vita: isolazionismo strategico, autodeterminazione dei popoli, disimpegno dell’occidente, pacifismo senza orizzonti, ostilità nei confronti di ogni tentativo di esportare la democrazia.

 

L’incapacità infine di comprendere che per provare a governare i flussi migratori provenienti da paesi asfissiati da regimi sanguinari occorre esportare in quei paesi un po’ di quella democrazia che i teorici più o meno consapevoli dell’American first chiedono di non esportare più. Per quanto possa essere difficile da ammettere, il disastro dell’America di Biden è figlio di una drammatica stagione culturale in cui la difesa della libertà nel mondo ha via via trovato sempre minori sostenitori tra le forze politiche di tutto il pianeta. E il terrore diffuso per quello che potrebbe accadere in un Afghanistan nuovamente sotto scacco dei talebani è lì a testimoniare in modo dirompente quanto sia pericolosa per tutti una dottrina isolazionista che torni a considerare le violazioni delle libertà che si registrano in giro per il mondo come un problema che riguarda solo chi subisce quelle violazioni.

Lo sdegno mostrato dai Salvini e dalle Meloni, vecchi amiconi di Steve Bannon, gran teorico anche lui del ritiro dell’America dall’Afghanistan, è dunque un manifesto non contro la dottrina del nemico Biden ma contro la dottrina dell’amico Trump, e dunque anche contro la propria, ed è uno sdegno che in qualche modo ci conferma quello che i sovranisti si ostinano a negare da anni: in un mondo interconnesso come quello in cui viviamo, dove il battito d’ali di una farfalla può provocare un uragano, una guerra, una pandemia dall’altra parte del mondo, chi sceglie di isolarsi crea un senso di protezione effimero e accetta di lasciare il futuro delle nostre libertà nelle mani degli stati canaglia. La pandemia ci ha ricordato che il futuro della libertà del mondo passa dalla capacità del mondo di mettere a frutto la cooperazione tra le società aperte. L’Afghanistan, per quanto possa essere difficile da ammettere, è lì a ricordarci quanto possa essere pericoloso smettere di considerare l’esportazione della libertà una priorità dell’occidente. E’ quello che ha fatto Biden. Ma è quello che da anni chiedono di fare gli amici di Trump. Quando si dice la faccia come il culto.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.